In uscita al cinema: “Attacco a Mumbai” di Anthony Maras
titolo orig. Hotel Mumbai sceneggiatura Anthony Maras, John Collee cast Dev Patel (Arjun) Armie Hammer (David) Nazanin Boniadi (Zahra) Tilda Cobham-Hervey (Sally) Anupam Kher (Oberoj) Jason Isaacs (Vasili) genere drammatico prod Australia 2018 durata 125 min.
I recenti, tragici fatti avvenuti il giorno di Pasqua in Sri Lanka hanno involontariamente dato grande attualità a questo film d’esordio del regista greco-australiano Anthony Maras che rievoca un episodio analogo avvenuto nel novembre 2008 nella metropoli indiana un tempo chiamata Bombay. Affacciata sulla costa occidentale del Paese, megalopoli con oltre 20 milioni di abitanti nonché capitale finanziaria ed economica dell’India, Mumbai è stata teatro di un attacco jihadista da parte di fondamentalisti islamici pakistani culminato con l’assalto al Taj Mahal Palace Hotel e la strage di gran parte delle 500 persone che vi si trovavano, tra ospiti e personale di servizio. Il film ricostruisce con grande accuratezza i tre lunghi giorni della carneficina puntando ovviamente, per ragioni di spettacolo, sulle microstorie di alcuni
personaggi, protagonisti loro malgrado degli eventi. A cominciare dall’ultima ruota del carro: il giovane cameriere sikh Arjun che vive negli slum della città con la moglie incinta e una bambina di pochi anni e che per una piccola mancanza rischia di essere rimandato a casa proprio il giorno della strage. Ad opera del suo capo, il grande chef stellato Oberoj, artefice a sua volta del salvataggio di alcune decine di persone. Si passa poi agli ospiti: dalla coppia di vip americani con marmocchio e baby sitter al seguito, all’oligarca russo, arrogante e spocchioso, ai fidanzatini saccopelisti che si rifugiano nell’albergo, convinti di essere al sicuro, dopo essere miracolosamente sfuggiti a un altro attentato. Il resto è l’intreccio di queste vite casualmente affiancate sotto il tiro delle pallottole e anche delle vite dei kamikaze che uccidono in nome di Allah teleguidati agli auricolari dallo spregevole imam che li ha indottrinati. Piccoli e grandi eroismi si susseguono così nel corso delle due ore di proiezione con altrettanto calibrato dosaggio di violenza, tenerezza e suspense. Fino al non consolatorio finale perché non basta avere un sacco di soldi ed essere trattati da personale in guanti bianchi per sfuggire alla morte.
E allora perché vederlo?
Perché, purtroppo, la storia si ripete. Ma quasi mai capiamo la lezione.
Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”.
Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.