Allacciate le cinture

regia: Ferzan Ozpetek, cast: Kasia Smutniak (Elena), Francesco Arca (Antonio), Filippo Scicchitano (Fabio), Carolina Crescentini (Silvia), Francesco Scianna (Giorgio), Elena Sofia Ricci (Dora), Carla Signoris (Anna), Paola Minaccioni (Egle), durata: 110′

Ormai la notizia è ufficiale, ma non è una bella notizia: Ferzan Ozpetek si è definitivamente italianizzato. Nel suo modo di fare cinema, naturalmente. Se “Hammam” e “Harem Suaré” erano state due opere piuttosto interessanti e fuori dal coro, “Le fate ignoranti” e “La finestra di fronte” due belle prove di maturità artistica, da “Cuore sacro” in poi il regista di origine turche ha man mano assimilato i peggiori difetti del nostro cinema, senza riuscire più a metabolizzarli attraverso il suo sguardo ironico e un po’ surreale. “Allacciate le cinture” è l’ultimo stadio della sua metamorfosi verso una cinematografia facile e indulgente. Molto attenta ai vizi e pochissimo alle virtù della provincia italica, come in un qualsiasi film alla Alberto Sordi.

L’attrazione per gli opposti unisce Elena e Antonio e la loro relazione scompiglia un bel po’ di altre esistenze: mamme, zie, amici, amiche e fidanzati di turno. Tredici anni dopo i due hanno messo su casa&bottega, hanno due pargoli, e fatto carriera (lei) come imprenditrice. Ma i sogni realizzati si infrangono (temporaneamente) sulle turbolenze della vita (da qui il titolo, secondo le stesso Ozpetek). Il lieto fine è solo rimandato, previa redenzione dell’uomo che non aveva ancora maturato le nuove responsabilità familiari.

Piuttosto ingessato all’inizio della narrazione, un po’ più fluido nella seconda parte (dopo la diagnosi della malattia di Elena) il film scorre su binari molto scontati e con trovate sceniche estremamente prevedibili. Imbarazzanti nella recitazione Arca e persino due signore della scena come la Ricci e la Signoris, colpa dei rispettivi personaggi privi di sfumature. Ottima invece la Smutniak nelle diverse fasi (non sempre coerenti) in cui la colloca il personaggio.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.

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  • Leggo con interesse le sue recensioni, piacevole novità di questo sito, ma le domando: c'è qualche film che lei pensa sia piacevole vedere? Mi dà qualche indicazione sicura? Lei dove mi porterebbe? Grazie Giovanna

  • Gentile Giovanna,
    purtroppo il cinema, in generale, sta attraversando una fase di analfabetismo di ritorno e le nuove tecnologie (3d, computergrafica ecc) servono solo per opere quali “300, l’alba di un impero”. i cartelloni delle sale offrono poco allo spettatore esigente. in questa rubrica ho segnalato in modo positivo “all is lost”, passato quasi inosservato. i film più pubblicizzati spesso sono deludenti perché risentono degli enormi interessi economici in gioco. ma non disperiamo, ogni tanto si riesce a vedere qualcosa di buono che verrà puntualmente segnalato

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