Al cinema “First Man” di Damien Chazelle

sceneggiatura Josh Singer cast Ryan Goslin (Neil Armstrong) Claire Foy (Janet Armstrong) Jason Clarke (Edward Higgins White) Kyle Chandler (Deke Slayton) Corey Stoll (Buzz Aldrin) Lukas Haas (Michael Collins) Ciarán Hinds (Gene Kranz) Christopher Abbott (Dave Scott) Patrick Fugit (Elliott See) Pablo Schreiber (Jim Lovell) Ethan Embry (Pete Conrad) genere  biografico prod Usa, 2018 durata 141 min.

 

Alla sua terza prova, dopo il discreto Whiplash (2014) e la supervalutata superciofeca La-La-Land (2016), con questo verbosetto biopic su Neil Armstrong, il primo uomo ad aver calcato il suolo lunare, Damien Chazelle si conferma regista “per famiglie”. Il che vuol dire autore affidabile e sicuro per un prodotto medio, di buona fattura e senza tanti grilli per la testa, che soddisfi la voglia di intrattenimento di un pubblico non particolarmente esigente. Non a caso il prologo è il classicissimo quadretto di vita familiare “Made in Usa” che peraltro ritorna, puntuale come un esattore delle tasse, a ogni svolta drammaturgica del narrato, che sia un conflitto di caratteri o un avvenimento luttuoso come la morte di alcuni astronauti. Eppure il più giovane (e mal riposto) Oscar della storia non è proprio digiuno della materia, tanto che pesca, non a piene mani, ma con discrezione da un Robert Altman d’annata, poco conosciuto sia ai cultori del regista di Nashville sia del genere fantascienza: Conto alla rovescia (1968). Là, come qui, in primo piano non è tanto l’impresa che porta il primo bipede sul satellite quanto le
relazioni umane (amore e amicizia in primis) che formano il vissuto dei protagonisti e del loro entourage. Il sottile filo che unisce i due film a 50 anni di distanza si fa sempre più evidente con lo scorrere dei minuti e acquista particolare rilievo nella sequenza della “passeggiata” sul suolo lunare con il minuscolo giocattolino fanciullesco portato di nascosto dal protagonista. Qui il braccialetto della figlioletta morta, là il topino di plastica che diventa un’incredibile bussola spaziale e salva l’eroe dal naufragio cosmico. Proprio la parte finale è la più interessante del film di Chazelle. Il primo e finora unico a rendere in modo credibile e suggestiva la scenografia lunare. Anche perché mette finalmente a tacere l’insopportabile e ripetitiva colonna sonora. A quale scopo far risuonare arpe&violini nello spazio se non far rivoltare nella tomba il povero Stanley Kubrick? La prima ora abbondante ci dà invece la sensazione di un “già visto” di disneyana memoria che rasenta lo stucchevole. Qui siamo a Casa Spilberg, ma la differenza col papà di Topolino è ormai impercettibile. Il cast è perfetto, con Ryan Goslin dal fisico e volto giusti per il signor nessuno Armstrong passato alla storia quasi suo malgrado e una bella corona di comprimari che tengono botta in ogni scena.

 

E allora perché vederlo?

A chi ha le tempie grigie, per ricordare la diretta di Tito Stagno e il battibecco con Ruggero Orlando. A chi non le ha, per andarsela a vedere su Youtube: era il 20 luglio 1969, le 20,17 Utc, 22,17 ora italiana, 15,17 a Houston, Texas.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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