sceneggiatura Paolo Sorrentino, Umberto Contarello cast Toni Servillo (Silvio Berlusconi/Ennio Doris) Elena Sofia Ricci (Veronica Lario) Riccardo Scamarcio (Sergio Morra) Kasia Smutniak (Kira) Euridice Axen (Tamara Morra) Roberto De Francesco (Fabrizio Sala) Dario Cantarelli (Paolo Spagnolo) Giovanni Esposito (Mariano Apicella) Ugo Pagliai (Mike Bongiorno) Ricky Memphis (Riccardo Pasta) Roberto Herlitzka (Crepuscolo) Anna Bonaiuto (Cupa Caiafa) Alice Pagani (Stella) Mattia Sbragia (Fedele Confalonieri) Max Tortora (Martino) Lorenzo Gioielli (sen. Antonio Valori) genere grottesco prod Ita-Fr, 2018 durata 100 min
Nella seconda parte di “Loro”, loro sono proprio loro. Lorsignori, come si diceva una volta. I ricchi, i potenti, gli affaristi, i politici. Nani e ballerine sono ancora in scena, ma un po’ più bassi e un po’ meno danzanti per lasciare tutto il campo ai protagonisti, ai primattori. Che mostrano “il lato oscuro della forza”, il “cupio dissolvi” della loro stessa ragion d’essere. «L’altruismo è il miglior modo di essere egoisti» dice un ispirato Ennio Doris al non ancora ex Cavaliere e niente si può dire di meglio del mercato parlamentare delle vacche che pone fine al secondo governo Prodi. Il banchiere costruito intorno a Silvio è una delle new entry di questa seconda parte del film di Sorrentino dedicato ai (pochi) fasti e (molti) nefasti degli anni d’oro del berlusconismo. Considerato, come nel primo, una malattia epidemica nazionale, un cancro che corrode e corrompe come solo un sisma può fare su scala equivalente, anche se per molto meno tempo. Non a caso, i titoli di coda scorrono sui cumuli di macerie dell’Aquila terremotata, su cui siedono vigili del fuoco stravolti dalla fatica, da cui emerge, faticosamente, un simulacro di bellezza. Nel mezzo, fra Ennio alias di Silvio e Silvio alias di se stesso infagottato nel giubbottone della Protezione Civile che promette dentiere nuove e new town altrettanto smaglianti ai senzatetto del capoluogo abruzzese, si consuma la discesa agli inferi di una casta totalmente autoreferenziale, priva di scopo più ancora che di etica. Torna in campo il piazzista, si consuma il divorzio da Veronica, si canta e si balla al ritmo di “Meno male che Silvio c’è”, ma è tutto più logoro, più stanco, più consunto. Un dejà-vu circense che annoia ormai gli stessi padroni del carrozzone. Che si contentano (si fa per dire) di coniare fulminanti battute a retorica giustificazione del nulla che li assedia: «Io conosco il copione della vita». «Le relazioni sociali sono complesse. Per gestirle ci vuole un asociale». «Ho il carisma del ruscello: porto a valle la freschezza e l’acqua con cui dissetarsi». È il rovescio triste del Bunga-Bunga, che si dissolve nel “Voi che sapete” dalle “Nozze di Figaro” di Mozart. È la giostra dei cavalli che ha finito la sua patetica corsa. È il Berlusconi prigioniero di una gabbia piena di farfalle. Sorrentino, lo abbiamo già detto a proposito della prima “anta” del dittico, scrive per metafore. Metafore molto chiare, ma sempre sorprendenti, a loro volta retoricamente fulminanti. Lo stile è meno barocco perché più barocchescamente ridondante è la materia trattata. Con lunghi dialoghi (Ennio-Silvio, Silvio-Valori, Silvio-Stella, Silvio-Veronica, Silvio-Fidel, Silvio-Crepuscolo, Silvio-Mike Bongiorno) che rimpiazzano le scene di massa della prima parte. Ed è giusto che sia così: perché “Loro 1” eravamo noi, “Loro 2” sono proprio “Loro”.
E allora perché vederlo?
Perché anche il più visceralmente filoberlusconiano, in fondo in fondo, di Silvio ne ha un po’ le tasche piene.