Da vedere al cinema: Parthenope di Paolo Sorrentino

Sorrentino gioca in Parthenope sul filo del rasoio tra realtà e finzione ammiccando, alla fine, soprattutto alla seconda, ovvero alla natura stessa del cinema

Un po’ La grande bellezza (depurato da lungaggini e compiacimenti), un po’ Youth (a tutt’oggi il miglior risultato del regista), questa Parthenope in carne e ossa è metafora patente di una città, Napoli, che ha dentro tutto e il contrario di tutto. Vitalità e allegria sfrenate, cupezza e disperazione mortali. Luogo fisico e mentale di straordinaria armonia e stridente dissonanza, mai normale e sempre eccessiva in ogni sua espressione. Teatro e palcoscenico su cui mostrarsi sino all’esibizionismo e quinta discreta dietro e dentro cui nascondersi o perdersi. E si potrebbe continuare a lungo nella serie di ossimori che condensano e rappresentano l’anima e la gente, la sostanza e l’aspetto più profondi di questo luogo. Dunque un film-verità? Assolutamente no. Sorrentino è un formidabile creatore di immagini. È il Fellini del XXI secolo con un po’ più di cattiveria e ancor più disincanto.

Parthenope e l’amore

Come la città di cui porta il nome anche la protagonista, Parthenope, amoreggia con tutti, tenendoli sulla graticola, ma non si concede veramente a nessuno. Né a Sandrino, l’amore giovanile, né a Raimondo, il fratello ipersensibile e fragile che morirà per questo desiderio inappagabile. Non al prelato lussurioso che la ammanta di paramenti sacri né, tanto meno, al Comandante (Achille Lauro) che pure ha in pugno la sua famiglia e le ha fatto da padrino. Parhenope non sarà nemmeno del camorrista con cui concepisce un figlio e con il quale assiste a un erotico rito laico (benedetto da un prete) che sancisce la pax mafiosa tra due clan criminali. Sequenza tra le migliori del film, in perfetto equilibrio tra il realismo sguaiato dei ‘bassi’ napoletani straripanti di umanità al degrado, e delicate coreografie di cestini luminosi che scendono dal cielo tra botti e tricche-tracche.

Nell’immagine Celeste Dalla Porta e Peppe Lanzetta

Senza creare un affresco, Sorrentino procede comunque per accumulo e sovrapposizione di tanti bozzetti che si intrecciano e si dipanano lungo le tappe dell’esistenza di Parthenope. Dal 1950, anno di nascita, al 2023, anno del… terzo scudetto degli azzurri. Il focus del film si concentra peraltro sui primi 30 anni del personaggio lasciando a un sommario epilogo la conclusione della vicenda esistenziale della protagonista e lasciando campo sullo schermo a Stefania Sandrelli al posto della (quasi) debuttante di stralusso Celeste Dalla Porta. Stralusso nel senso che non sarebbe stato facile per nessuna attrice ben più consumata reggere il peso di un simile personaggio e una presenza scenica così rilevante. Missione compiuta e bersaglio centrato: benvenuta nel firmamento delle stelle.

Racimolando ancora qualche appunto sparso, ricordiamo la magnifica apertura, con la carrozza rococò che arriva su una chiatta direttamente nel salotto dei Di Sangro cui fa da contraltare quella, altrettanto debordante di decori, ma nera, del funerale di Raimondo. Metafora della più generale tragedia del colera che contaminò la città nel 1973. Azzeccatissimo l’episodio con lo scrittore John Cheever (personaggio realmente esistito) e, più in generale, il lungo capitolo caprense che va ad aggiungersi, e in posizione rilevante, alla chilometrica lista dei film girati sull’isola azzurra.

Stefania Sandrelli in una scena del film

Parthenope, un film sul sacro

Sorrentino ha dichiarato che la sua opera è “un film sul sacro” e in effetti c’è molta riflessione sul tema nelle immagini che scorrono sullo schermo. Dal lungo episodio con il cardinale Tesorone al celeberrimo miracolo di san Gennaro, all’argomento della tesi di laurea di Parthenope in antropologia scelto per lei dal professor Marotta (uno straordinario Silvio Orlando): “Le frontiere culturali del miracolo”. E come disgiungere (o distinguere) il sacro dal profano, l’umano e il trascendente, l’erotico e il mistico in una realtà come quella di Napoli?

Se poi vogliamo addentrarci nei riferimenti più o meno storici che il film ci mostra lasciandoli peraltro abilmente sottotraccia, ecco che Raimondo Di Sangro, il fratello maggiore di Parhenope, ha lo stesso nome del principe di Sansevero (1710-1771) cui si deve l’omonima cappella che rappresenta uno dei vertici del barocco napoletano. A lui si deve anche la ‘carrozza marittima’ cui rimanda la carrozza della quale abbiamo già parlato e, ancora, gli studi alchemici sul sangue di san Gennaro e la sua miracolosa liquefazione.

Per quanto riguarda il prof. Marotta, un accademico con quel cognome, ma dal nordico nome di Gerardo, è esistito davvero e ha operato a Napoli per tutta la sua lunga vita durata 90 anni (1917-2007). Intellettuale di vaglia e animatore culturale, Gerardo Marotta, tra le altre cose, ha fondato nel 1975 e diretto fino alla fine dei suoi giorni l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli che ancora oggi è un punto di riferimento culturale per l’intero Mezzogiorno. L’incredibile personaggio del figlio, fatto solo di acqua e sale, non rimanda altro che al mare di cui Parthenope è a sua volta figlia. In buona sostanza Sorrentino gioca in lungo a in largo in Parthenope sul filo del rasoio tra realtà e finzione ammiccando, alla fine, soprattutto alla seconda, ovvero alla natura stessa del cinema: colossale finzione (il film) composta di migliaia e migliaia di frammenti di realtà (i suoi fotogrammi). Non a caso la protagonista ha sempre ‘la risposta pronta’ così come accade solo nei film la cui realtà drammaturgica deve restare sui solidi binari della sceneggiatura se vuole raggiungere lo scopo. Cioè se vuole ‘convincere’ lo spettatore di ciò che sta vedendo. Per rubare una battuta al film il cinema è come la guerra e la bellezza: spalanca tutte le porte.

Da ultimo, ottima la musica. In sé e per sé, ma soprattutto per l’uso che il regista ne fa nel corso del racconto. Da Cocciante a Lele Marchitelli.

Dettagli del film Parthenope

sogg e scenegg Paolo Sorrentino, Umberto Contarello cast Celeste Dalla Porta (Pathenope Di Sangro) Dario Alta (Sandrino) Daniele Rienzo (Raimondo Di Sangro) Luisa Ranieri (Greta Cool) Gary Oldman (John Cheever) Stefania Sandrelli (Parthenope anziana) Silvia Degrandi (Maggie Di Sangro) Lorenzo Gleijeses (Sasà Di Sangro) Silvio Orlando (prof. Marotta) Peppe Lanzetta (card. Tesorone) Isabella Ferrari (Flora Malva) Alfonso Santagata (il Comandante) genere drammatico prod Ita, Fr, GB 2024 durata 136 min.

Nella foto Peppe Lanzetta

 

Le immagini dell’articolo sono di Gianni Fiorito

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
Related Post