Nei cent’anni della nascita di Bruno Cassinari (1912-1992), Piacenza, sua città natale, propone un importante omaggio all’artista, focalizzato sulla sua fondamentale stagione “mediterranea” degli anni ’50.
La mostra, curata da Marco Rosci, sarà ospitata dal 17 marzo al 27 maggio dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi che la organizza in accordo con il Comitato per il Catalogo Generale dell’opera di Bruno Cassinari. In catalogo, presenti saggi di Giovanni Anzani, Silvia Ferrari Lilienau, Marco Rosci.
In mostra sarà concentrata una precisa selezione di opere, una quarantina in tutto, le fondamentali della grande stagione “mediterranea”, dal momento in cui l’artista, nell’estate del 1949, aprì il suo studio ad Antibes alla riapertura, nel 1962, dello studio a Gropparello con la rinascita della nuova stagione “terragna”: di espressionismo gestuale e materico. Sono gli anni in cui Cassinari entra in contatto con l’arte di Picasso, Braque, Chagall, a cui si integra la riflessione sulla fase finale di Matisse.
“La mostra “CASSINARI MEDITERRANEO” illustra – scrive Marco Rosci – il periodo aureo negli anni 1950 della pittura del maestro e della sua piena affermazione nella tradizione d’avanguardia europea, per sua precisa e volontaria scelta nel momento del cambio della guardia fra Parigi e New York, fra l’apertura nel 1950 dello studio estivo ad Antibes, della mostra al Museo di Antibes su invito di Picasso e della conoscenza di Chagall all’inaugurazione della villa di Maeght a Saint-Paul de Vence e il ritorno ai verdi umori delle colline padane diGropparello nel 1959. Il quadro, esposto nel 1960 nella personale alla Biennale di Venezia e subito dopo nella grande antologica a Darmstadt e a Berlino, è presente in mostra”.
“Questa si apre con l’Autoritratto del 1956, fra i suoi risultati figurali più alti ed espressionistici, strutturato come le teste della madre e delle “pupazze”, rappresentando in questo modo una delle iconografie dominanti e più tipiche del decennio.
All’inizio campeggiano le grandi tele della pesca ad Antibes, “mute cariatidi che contemplano da secoli gli arrivi e le partenze dei piccoli e grandi navigli” secondo l’autore, che dirà a Lionello Venturi nel 1955 “Credo troppo nel colore del mare, davanti a cui lavoro per tanti mesi”.
Le tele della pesca, il cui primo sbocco riccamente cromatico e fantasmagorico è rappresentato nel 1953 da Pesca con le lampare e dal Porto di Antibes, prototipo di una lunga serie di vedute a volo d’uccello, si confrontano con i grandi nudi. Questi partono dal Nudo disteso del 1951 della collezione Boschi della GAM, e dalla modella Nude, ultimo omaggio in verticale a Modigliani e nel contempo prototipo di infinite variazioni lungo tutta la vita dell’artista.
Ai nudi orizzontali si affianca, sempre nel 1952, l’omaggio picassiano della Pecora nera.
L’altra serie, con più forti agganci ai precedenti fra “Corrente” e il neocubismo della seconda metà degli anni ’40, è quella delle nature morte, con la sequenza paratattica di vasi, piatto con pesce, fruttiera barocca, in cui l’omaggio a Picasso si abbina con quello a Braque. Nella prima metà del decennio un terzo riferimento fondativo e al massimo grado “mediterraneo” è quello all’effusione cromatica matissiana, culminante nella Finestra del 1953.
Dopo di essa, nella seconda metà del decennio e nelle ultime sale esplode la sfaccettata frammentazione del campo cromatico totale, organizzato per topografie, ritmi, incastri, lungo i due filoni tematici delle “feste marine” e degli interni di atelier con modella: emblematico è il confronto finale nel 1959 fra Paesaggio (le lampare) e Modella nello studio.
Il primo filone, con la sua dominante blu profondo, corre da Mare del 1955, attraverso il vero e proprio “lapsus freudiano” dell’autore nella tela del 1956 che reca sul retro il doppio titolo Meriggio nell’atelier e Festa nel porto, con il suo culmine di intrico gestuale e informale, ai trionfali Mare e Senza titolo del 1959. Nel secondo filone, di maggior costruttività nella sua organizzazione di struttura figurale, prevale la dominante rossa, ad Aprés-midi à l’atelier del 1958 seguono l’anno successivo, a fianco di Modella nello studio, le cupe variazioni tonali in blu, rosso e nero di Atelier.
Con la breve parentesi dello studio parigino alla metà del decennio, i due filoni alternano l’atelier di Antibes con quello milanese. Ma sempre dalla metà del decennio lo sguardo e la poesia dell’artista si volgono anche ad una rinnovata organizzazione strutturale che si rivolge con più morbide pulsazioni e vibrazioni, al di là della finestra di fondo, ad una più verde natura terragna, di entroterra, ad una rinnovata liquidità cromatica padana, a più aeree policromie.
Una prima alternativa alla lancinante solarità estiva marina compare nel Giardino d’inverno del 1954, riemerge nella Collina del 1956, uno dei punti di maggior tangenza con Birolli, trionfa liricamente nel fondamentale Chiaro di luna del 1958.
La sintesi ma anche lo sbocco finale dell’intero decennio esplode nelle raggiere e nei vortici verdebruni della ritrovata Gropparello del 1959. L’Estate non più marina del 1961 e soprattutto il maelstrom padano del Grano maturo del 1964 aprono la strada ai decenni successivi.
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