La magia di Escher
Palazzo Forti Verona
Fino al 30 marzo 2009
La mostra è uno degli eventi del festival scientifico “Infinita….Mente”, ideato dall’università di Verona e indirizzato ai temi delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale.
Le straordinarie immagini di Maurits Cornelis Escher appartengono sicuramente a questo ambito, in equilibrio tra ricerca matematicamente rigorosa e fantasiosa creatività.
Escher descrive architetture e oggetti che appaiono allo stesso tempo assurdi e assolutamente credibili e veri. Questa dualità che si presenta solitamente in contrapposizione perchè l’una diventa la negazione dell’altra, in Escher non solo convive, ma diventa il miracolo della sua arte. Questo è possibile perché ogni segno è gestito dall’artista entro geometrie rigorosamente logiche e le sottili sorprese sono abilmente dissimulate in un contesto assolutamente naturale che rivela l’inganno solo ad una osservazione attenta e ripetuta. Solo allora l’inganno trascina l’osservatore all’interno delle inquietanti situazioni di conflitto tra visione e percezione che costituiscono il senso, o il non-senso, dell’intera produzione artistica di Escher.
La mostra propone tutti gli ambiti di ricerca di Escher, dalla divisione ciclica del piano, alle tassellature regolari, a quelle con trasformazioni progressive, propone gli studi sui corpi geometrici, le simmetrie, i paradossi percettivi, ma anche le vedute e le allegorie.
Queste figure, che oggi si potrebbero disegnare con una certa facilità utilizzando gli strumenti informatici capaci di gestire agevolmente le complesse trasformazioni geometriche che stanno alla base di ogni opera, sono invece state elaborate manualmente dall’artista con una tecnica grafica meticolosa, con la straordinaria capacità di immaginare spazi suggestivamente impossibili e con una profonda conoscenza delle leggi della prospettiva e della geometria.
La mostra è strutturata secondo un percorso didattico che permette al visitatore di comprendere tutto l’iter elaborativo di Escher: l’input matematico, gli studi dal vero, le successive restituzioni grafico-descrittive e quindi le interpretazioni caratterizzate dai paradossi percettivi.
Nella prima sala è descritto il nucleo fondante degli studi di Escher sulle architetture impossibili: il triangolo di Penrose.
Si tratta della impossibile costruzione a tre travi ideata dal fisico e matematico Roger Penrose, descritta nel 1958, in un articolo pubblicato sul British Journal of Psychology e intitolato “Impossible objects: a special type of visual illusion”, è una figura ottenuta con un inganno grafico, componendo con apparente continuità alcune rette sghembe che, come tali, nello spazio reale tridimensionale non avrebbero alcuna possibilità di intersecarsi, mentre nel disegno la loro distanza può essere annullata e generare una struttura apparentemente reale.
Il secondo momento del percorso espositivo propone gli studi descrittivi e realistici di paesaggi, minerali, insetti e oggetti che Escher interpreta attraverso il disegno a matita e a inchiostro o con tecniche molto impegnative quali l’acquarello, la xilografia e la litografia, che evidenziano la sua abilità grafica e la grande proprietà nell’uso delle tecniche incisorie.
Sono particolarmente seducenti le illustrazioni di un libretto del 1932, XXIV Emblemata, ciascuna introdotta da un motto latino e completata da un epigramma in quattro versi, perché inducono alla riflessione secondo il percorso mentale del paradosso adottato nelle successive architetture impossibili e che, in qualche modo, anticipano.
Ad esempio, l’immagine notturna di una rana in uno stagno ( Emblemata XIV ) è introdotta da
“ più grande di ogni rumore è il silenzio” una affermazione apparentemente contraddittoria che sorprende il lettore e lo costringe a riflettere sulla composizione.
Infine si arriva alle famosissime Metamorfosi, Sole e Luna, Concavo e convesso, Galleria di stampe, Mani che disegnano, Relatività, Belvedere, Cascata, Altro mondo, Nastro di Moebius II……. e a tutte le altre magiche visioni di Escher.
E’ necessario descriverle? Sono così famose che sembra superfluo parlarne, ma ogni immagine ha una sua storia, un aspetto peculiare che verrebbe voglia di raccontare.
La xilografia Nastro di Moebius II ( dal nome del matematico tedesco che nel 1858 per primo ne studiò le caratteristiche topologiche ) descrive una situazione apparentemente impossibile perché ogni formica cammina all’infinito percorrendo entrambe le facce del nastro con un unico, continuo movimento, ma la condizione è assolutamente concreta tanto che se ne può realizzare il modello chiudendo ad anello una striscia di carta dopo averne ruotato un estremo di 180°, appunto il nastro di Moebius.
Al contrario la litografia Mani che disegnano descrive una situazione fortemente realistica quasi una fotografia, ma nella quale ogni elemento nega se stesso, le due mani si disegnano vicendevolmente!
E’ possibile associare questo paradosso grafico a un paradosso sonoro? Mi riferisco a 4’ 33’’ il brano silenzioso per qualsiasi strumento che il compositore statunitense John Cage, fondamentale per la musica contemporanea, eseguì nel 1952 restando seduto davanti al pianoforte per 4 minuti e 33 secondi non suonando!
Se poi analizziamo opere come Cascata, Altro mondo, Relatività o Belvedere si è trasportati in un mondo impossibile dove i riferimenti spaziali sono annullati e dove compaiono dettagliate informazioni tridimensionali in sé accettabili, che convincono l’osservatore, ma che, a ben guardare, sono contraddittorie e hanno lo scopo di distogliere l’attenzione dalle strutture architettoniche impossibili.
I rimandi a Piranesi, a Hogarth o a Bosch sono immediati e sono sicuramente le sue maggiori fonti di ispirazione, ma è interessante anche scoprire come l’opera di Escher abbia, a sua volta, ispirato altri artisti, come per esempio il regista Vincenzo Natali che, nel suo straordinario film Cube, del 1997, al pari di Escher, stravolge lo spazio in modo inquietante, ideando un mondo da incubo costituito da un gigantesco cubo-prigione, suddiviso in tanti piccoli cubi-stanza comunicanti tramite boccaporti posti al centro delle sei facce, tutti uguali e tutti privi di ogni riferimento. La storia ha come protagonisti sei personaggi che si svegliano all’interno di questa prigione, e vagano, ognuno per suo conto, in cerca di una via d’uscita. Il parallelismo con Escher è perfetto, non tanto relativo al soggetto o riferito ai valori estetici delle sue opere, ma proprio nella metodologia adottata: un oggetto come il cubo, il più semplice, concreto, stabile e rigoroso dei poliedri, fatto diventare magistralmente luogo di negazione di tutte le certezze.
architetto Franca Pavanelli