Ad esserci stati sono forse in pochi, ma a conoscerla sono davvero in parecchi: tutti quanti abbiano mai transitato sull’autostrada A4 Torino-Milano-Venezia nel tratto tra Verona est e Vicenza, all’altezza del casello di Soave-San Bonifacio. Anche all’occhio più distratto non può sfuggire la scenografia del castello scaligero arroccato sopra una collina, con le forti mura merlate che scendono a contenere la città medioevale sottostante, come una Madonna con le braccia protese a proteggere il suo popolo. E tutto intorno, vigneti a perdita d’occhio, come se qui le persone vivessero soltanto di vino, il che in un certo senso è vero. A Soave, famosa per il suo bianco omonimo, l’epiteto di città del vino calza proprio a pennello: siamo infatti di fronte al più esteso vigneto contiguo d’Europa, 6.000 ettari di viti e un numero imprecisato di cantine sociali e private, la più antica ancora in attività risalente al 1901. Il che, con 500 mila ettolitri, rappresenta il 40 % dei tutta la produzione vinicola DOC della provincia di Verona, il 60 % delle DOC venete e il 14 % di quelle italiane. Senza contare che questo territorio confina con altri due importanti comprensori vitivinicoli, il Bardolino e il Valpolicella. Insomma a chi piace bere, e bere bene, qui si trova nel posto giusto. Un paesaggio tanto piacevole da spingere recentemente il Ministero dell’Agricoltura ad assegnare a Soave il riconoscimento di “Paesaggio storico rurale d’Italia”, titolo accordato finora soltanto ai comprensori vinicoli veneti di Conegliano e di Valdobbiadene. La sua fortuna, climatica e pedologica, è di trovarsi alla confluenza in pianura di tre vallate pedemontane provenienti dai monti Lessini – val d’Illasi, val Tramigna e val d’Alpone – che convogliano acqua ed un terreno alluvionale composto da fertili rocce vulcaniche e calcaree ricche di minerali. Qui, in vigneti che arrivano fino ai 500 m di altitudine e che ricamano il terreno come fossero le trame di un gigantesco telaio, si producono i vini Soave classico, il Lessini Durello spumante, il Valpolicella e l’Amarone rossi, tutti DOP, e il Recioto passito DOCG, prodotti da uve Rondinella, Corvina, Corvinone, Garganega Trebbiano e Durello, tutti vini con un buon equilibrio tra le componenti acide, zuccherine e scipide, senza che nessuna prevalga sulle altre, con un corredo aromatico dove spiccano i sentori floreali di sambuco e quelli fruttati di pesca e albicocca. Il territorio può anche essere esplorato percorrendo la Strada del Vino Soave, un percorso di 80 km su tre diversi itinerari che oltre al vino (vigneti, cantine ed enoteche), tocca anche località di interesse turistico e artistico, nonché produttori di olio, salumi e formaggi, ristoranti e agriturismi.
Forse non sono in molti a sapere che la vite potrebbe addirittura essere originaria proprio di queste contrade, essendo stata qui rinvenuta la progenitrice della vite vecchia di oltre 40 milioni di anni, un tempo di durata siderale. Tra i reperti presenti nel Museo paleontologico di Bolca, famoso in tutto il mondo per gli stupendi pesci esotici pietrificati magnificamente conservati tra le lastre di roccia della Pesciara e vecchi di 50 milioni di anni, sono presenti infatti fossili vegetali appartenenti alla famiglia delle Ampelidee, appunto genitrice della vite selvatica europea. Durante l’Era Terziaria la valle dell’Alpone, odierno sito di vigneti, si presentava completamente ricoperta dal mare, tranne un atollo dall’afoso clima tropicale. Qui si sarebbe generata la vite, mischiatasi successivamente con le varietà provenienti dall’Oriente, come è accaduto per gran parte dei vitigni europei. Secondo gli specialisti la nascita di ceppi storici come la Garganega – la madre del Soave – sarebbe da attribuire all’ibridazione tra le uve retiche autoctone, derivanti da Ampelidee, e i vitigni giunti dal bacino del Mediterraneo. Dal punto di vista storico la prima citazione del vino Soave si deve a San Zeno, vescovo di Verona, che nel IV sec. scrisse un sermone di istruzione per la vinificazione, e poi allo storico Cassiodoro (485-580) in epoca tardo romana, che ne elogia le qualità, mentre lo Statuto Ezzeliniano del 1228 detta le regole di lavorazione per una buona qualità finale. Nel XVI sec. intervengono importanti innovazioni: dalle viti attaccate agli alberi si passa ai vigneti a palo secco, si afferma la vite a pergola e la coltura a viti basse. Nel 1931 il Soave è il primo vino italiano ad essere riconosciuto come “vino tipico pregiato”, antesignano della DOC che arriverà nel 1968, trent’anni dopo per il Recioto di Soave DOCG, nel 2011 per il Durello; il comprensorio si estende su tredici Comuni.
Ma, anche se di gran lunga la principale, il vino non costituisce per fortuna l’unica risorsa di questa area. Dopo i vigneti, a dominare il paesaggio sono gli ulivi (terzi gli alberi di ciliegie), qui presenti con le varietà Grignano e Favarol da cui si ricavano apprezzati oli extravergini, oli aromatizzati, sottoli e condimenti in vasetto, prodotti cosmetici all’olio. Si possono visitare diversi frantoi, dove effettuare anche degustazioni e acquisti, per vedere il ciclo di produzione. Tra i più qualificati il Frantoio Bonamini in val d’Illasi , dotato di Museo storico, premiato con ben cinque medaglie d’oro come miglior olio DOP fruttato leggero al mondo. Dopo l’olio i formaggi, provenienti soprattutto dalle malghe dell’ alta Lessinia: si comincia dalle diverse varietà del Monte Veronese DOP, dal tenero fino al duro grattugiabile, per passare ai vari formaggi stagionati “ubriachi” – la vera specialità del posto – immersi cioè per un certo periodo nelle graspe dell’uva fino ad assumere colori e sapori diversi come il brontolon, l’embriago e el stracon, per finire con gli speziati ai diversi sapori, a ricotta, stracchino e caprini vari .
Da affiancare una serie di salumi altrettanto eccellenti: la sopressa De.Co. di Brenzon, un salamone puro di suino insaporita all’aglio oppure senza, il prosciutto crudo di Soave quasi senza grasso, la coppa al Durello, immersa per un mese nel vino bianco, l’ossocollo, sopressa e coppa insieme, il Crudo alpino (lonza affumicata e aromatizzata) e lo Speck casereccio, il tutto da mangiare rigorosamente con pan biscotto (altra specialità locale), un pane fragrante cotto due volte una volta a settimana.
Dunque un comprensorio ricco e benestante, pieno di risorse e prediletto da Dio, dove tutti vivono bene e nessuno deve emigrare per lavorare. Eppure si può sempre fare di più e meglio, come pensa un gruppo di imprenditori locali che sotto il marchio di Rete d’imprese per promuovere l’accoglienza e valorizzare le eccellenze locali “in Soave” hanno dato vita al marchio “Soave Wine Park”. Tra le iniziative in cantiere la creazione di un parco di bici e minicar elettriche non inquinanti a disposizione dei turisti, l’affidamento a uno chef rinomato per la creazione del gustosissimo “Risotto Soave” interamente realizzato con prodotti locali come riso, vini, oli, formaggi e salumi. Il ragionamento è semplice: una zona tanto ricca di risorse, in particolari enogastronomiche, intercetta al momento non più di alcune decine di migliaia di turisti all’anno, troppo pochi rispetto al potenziale, mentre due poli contigui – quello di Venezia-Padova ad est e quello di Verona-Garda ad ovest- arrivano a diversi milioni ogni estate. Occorre quindi riuscire ad attirare una parte di tali flussi, per rendere giustizia al territorio e incrementarne l’economia. Come? Non occorrono miracoli, nè bacchette magiche, ma semplicemente informazione precisa, costante, mirata. Come questa che speriamo induca molti a partire!
Info: in Soave, tel. 045 619 04 07, www.insoave.com