DUE ANGELI CHE SUONANO
Il mio Angelo, otto anni, ha la voce di un angelo, proprio come suggerisce il suo nome. Ma è timido, e al musical che alla fine di ogni anno scolastico mette in piedi la scuola lui fa da decorazione alle quinte, giacché si stampa sul fondo della scena, cercando di mimetizzarsi dietro i compagni.
Gli altri suonano, cantano, saltano, ballano e lui lì, impalato come uno stoccafisso muto (mai sentito parlare uno stoccafisso, ma lui riesce a stare ancora più zitto). Se ne dispiace, perché gli piace la musica e perché non è contento di non essere mai protagonista, ma non riesce a comportarsi altrimenti. Lo esorto a farsi coraggio. Il giorno dopo la recita Angelo torna da scuola in preda a una specie di raptus. Prende dallo scaffale una piccola pianola che gli hanno regalato un paio d’anni fa e che non aveva mai usato e inizia a suonare. Peccato che lui non sappia suonare. Invece suona. Io e suo padre ci guardiamo: sta eseguendo una delle canzoni della sera prima. Come avrà fatto? Sarà un caso, non può essere un gesto volontario. Gli canticchio l’Habanera, che gli è sempre piaciuta. Gli dico di provare a suonarla. Tempo tre minuti la riproduce sulla micro pianola. Con qualche incertezza, ma è lei, indiscutibilmente. Non faccio commenti. Vediamo se domani lo fa di nuovo. Un conto è fare una cosa una volta, un conto è essere in grado di replicarla.
Il pomeriggio seguente non solo ripete tutto, ma accenna le note di “Tanti auguri a te”. Dice che gli piacerebbe imparare a suonare il pianoforte. È il primo desiderio che esprime da che mi ricordi. Va assecondato.
La mattina dopo metto un cartello al centro sportivo-culturale comunale dietro casa mia: cercasi maestro di pianoforte. Dapprincipio volevo scrivere “giovane”, perché un maestro giovane ha più entusiasmo di un maestro anziano. Poi decido di lasciar perdere, perché un aggettivo, quando si sta cercando qualcosa di non ben definito, limita le possibilità. E poi perché un maestro ragazzino dovrebbe essere meglio di un insegnante anziano?
Ricevo la prima telefonata. Si tratta appunto di un ragazzo, che è disponibile solo in determinati giorni e orari perché ha una montagna di impegni. Ha frequentato questo e quel corso, sa fare questo e quello, e alla fine penso che Mozart, confronto a lui, era un dilettante.
Poi mi chiama una signora sui cinquant’anni, la quale mi dice che ha una scuola ben avviata con tanti bambini, che devo assolutamente assistere al saggio annuale per vedere come insegna e che questo evento per mia fortuna è la prossima settimana. Suoneranno solo i migliori, questo è ovvio. E perché? Perché i migliori sono l’Eccellenza, sebbene anche gli altri insomma abbiano il diritto di imparare a strimpellare. Ci penserà lei a mettere mio figlio nella serie A o nella B. La signora mi dà un’idea di efficienza, di scientificità nell’insegnamento. Anche lei ha una lista di meriti e onorificenze che nemmeno Beethoven poteva vantare. Immagino i piccoli pianisti stressati che sta addestrando con metodo infallibile e mi spavento all’idea.
Mi chiamano in seguito quello professionale, quello geniale e incompreso e infine un altro che mi chiede una cifra astronomica. Ma chi è, per chiedere così tanto, la reincarnazione di Chopin?
Infine mi chiama Angelo. “Ho settantotto anni, ma sono ancora abbastanza bravo.” Quasi si scusa per la sua età, come se fosse un cattivo biglietto di presentazione. La prima cosa che mi chiede e perché voglio che mio figlio impari a suonare il piano. Rispondo che la volontà non è la mia, ma la sua. Dice che allora la cosa gli interessa, che è flessibile con gli orari, perché è vecchio e non ha grandi impegni, e che chiede poco perché le lezioni a casa non sono un grande impegno.
“Vediamo se il bambino ha predisposizione.” Che bello! Finalmente c’è qualcuno a cui interessa ancora il talento. Qualcuno che non prescinde da esso, pur senza andare a scomodare lo stucchevole e abusato concetto di Eccellenza. “Vediamo anche se ha passione.” Ottima osservazione. Certo, perché senza passione, che è dedizione e sacrificio, il talento non serve a niente. Infine il maestro Angelo mi spiega che se il piccolo Angelo ha talento e passione, imparerà a suonare bene. Altrimenti suonerà e basta, se e finché la cosa lo diverte.
Grande saggio. Così, senza pensarci un attimo, scelgo il maestro omonimo dell’allievo.
Fisso la prima lezione per venerdì e solo dopo, in seguito a una piccola indagine, scopro che il vecchio Angelo ha insegnato per più di trent’anni al conservatorio Giuseppe Verdi e che è un compositore. Non me l’aveva nemmeno detto.
Mi vergogno di aver solo pensato di scrivere l’aggettivo giovane sull’avviso che ho appeso in biblioteca. Non vedo l’ora di sapere come si troveranno insieme questi due Angeli separati da sette decenni, e se saranno accomunati dalla musica.
Cosa c’è di più bello per un Angelo, arrivato a una certa età, che insegnare a un suo simile l’uso delle ali?
( Contributo di Clementina Coppini)
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cara clementina,sei proprio una brava mamma...sono sicura che qualche angelo,il terzo del gruppo, ha voluto vedere i 2 omonimi insieme e tu hai saputo decifrare il messaggio...ho 2 bambini e prego tutti i giorni che gli angeli li guardino.sono certa che mi ascoltano...
auguri di vita elena
Grazie di cuore, Elena. Mia madre si chiamava Angela. Magari il terzo angelo è proprio lei.
un caro saluto a te e ai tuoi bambini