Vi siete mai chiesti qual è la vera strada per tornare a casa? Quella che non sta scritta sul navigatore satellitare? Potete girare il mondo in lungo e in largo, ma alla fine quella la dovete percorrere per forza, altrimenti come potete sapere da dove siete partiti? Come potete capire dove siete diretti?
Io oggi scrivo questa pagina perché mio bisnonno Angelo tornò vivo dal Piave, perché il soldato austriaco sbagliò la mira di qualche centimetro. Angelo aveva vent’anni quando decise che il nemico non doveva più offendere la bandiera italiana rubata facendoci sopra la pipì. Così uscì dalla trincea, andò a recuperare la bandiera e la riportò indietro, facendosi sparare alla schiena. Ho raccontato questo episodio mille volte, non mi stancherò mai di farlo.
Nella mia città, come in quasi tutte, c’è il monumento ai caduti. Ogni 4 novembre vado a dare un bacio ai ragazzi che dissero ciao alla giovinezza per il sacrosanto valore della libertà. Quando penso alla libertà mi viene in mente quella scena di un film di Don Camillo in cui la maestra Cristina, mitica insegnante delle elementari di Brescello, sul letto di morte chiede a Peppone di essere sepolta con la bandiera del re, alla quale lei è sempre rimasta affezionata malgrado l’avvento della Repubblica. Peppone, che si sa è un sindaco comunista, per discutere la faccenda convoca un consiglio comunale straordinario, durante il quale tutti si schierano contro la richiesta della defunta, che secondo loro deve avere la bara avvolta nel tricolore, senza il simbolo della monarchia. Peppone ascolta tutti i pareri, poi si alza e dice: “Vi dirò che io me ne infischio del vostro parere. La Signora Cristina andrà al cimitero con la bandiera che ha voluto, perché vi dirò che io personalmente rispetto più lei morta che tutti voi vivi. E se qualcuno ha qualcosa da obiettare lo faccio volare dalla finestra.” La libertà di pensiero ci viene direttamente dai nostri padri, dai nonni, bisnonni e trisavoli che hanno combattuto per lei e grazie ai quali ci possiamo permettere i distinguo e l’Unità nazionale passa necessariamente dal ricordo di questi vecchi che non sono mai invecchiati, perché sono morti a vent’anni. Ho portato più volte i miei figli a leggere i loro nomi, mostro con orgoglio la croce di guerra e la medaglia d’oro al valor militare del Nonno Angelo, che ho fatto in tempo a conoscere.
C’è anche un discorso di Peppone: “Noi del ‘99 che abbiamo combattuto sul Monte Grappa, sulle pietraie del Carso e sul Piave, siamo sempre quelli di allora. Noi vecchi che abbiamo sul petto le medaglie al valore conquistate sul campo di battaglia ci troveremo allora a fianco dei giovani e combatteremo sempre e dovunque e getteremo l’anima oltre l’ostacolo.” Più chiaro di così si muore. Dobbiamo rispettare gli uomini i cui nomi sono ricordati sulle lapidi. Sono quelli che ci hanno riportato indietro la bandiera di cui abbiamo così poca cura. Dobbiamo ritrovare la strada verso casa, poi da lì inizieremo il nuovo lungo e difficile viaggio che ci aspetta. E se qualcuno non è d’accordo con me, lo faccio volare dalla finestra.