Tutti noi, che abbiamo compiuto ottant’anni, siamo in fibrillazione come nuovi protagonisti della campagna vaccinaria. Terminato il giro degli operatori sanitari, a mezzo quello delle RSA, tocca a noi. Giro di telefonate nei giorni scorsi per capire come affrontare l’ingresso virtuoso nel portale, soddisfazione per esserci riusciti – con più o meno supporti: qualche figlio, qualche farmacista- ora è iniziata la trepida attesa. Ancora giri di telefonate apprensive per sapere se qualcuno/qualcuna è stato contattato, persino un po’ di invidia per chi ha già fatto la prima dose (“Ma come, è più giovane di me!!!“, si sente dire in molti casi), voglia di capire su quali basi si fonda la graduatoria degli accessi, richiesta di trasparenza.
Appello a minimizzare l’ansia: è ovvio che ci vorrà del tempo se hanno cominciato da chi ha centodieci anni…Niente di nuovo. Quello che c’è di nuovo, invece, è la percezione che questa trepida attesa è meglio tenerla tra noi, non parlarne troppo in giro. Perché non appare come condivisa e apprezzata da tutti la scelta di onorarci della precedenza. Persino da qualcuno di noi. Che si chiede e chiede se non fosse più saggio e più giusto cominciare dai giovani. O dagli insegnanti. O da qualche altra categoria più produttiva. Sembra di essere tornati all’inizio del primo lock down, quando di fronte alla tragica catena di morti dei vecchi e alla drammatica carenza degli ospedali, delle terapie intensive, dei respiratori si poneva il problema della “scelta”. Si levarono grida di disapprovazione, o sussurri di disagio di fronte alla brutale conclusione del presidente della regione Liguria, che senza mezzi termini metteva il suggello alla necessità di lasciare indietro chi aveva meno possibilità di farcela, chi era meno necessario alla collettività, chi era meno produttivo. Suo rapido dietrofront e riconversione nello stuolo dei buoni, dei compassionevoli, di chi onora il padre e la madre, di chi apprezza la saggezza dei vecchi e non ritiene né etico né giusto privarsene…. Intanto si accumulavano le bare dei vecchi, improvvisamente diventati corpi deboli, bisognosi, vulnerabili, invitati a recludersi in casa per non aumentare l’aggravio sulla sanità. Dalla prima attenzione ai corpi fragili dei vecchi (e meno a tutto quello che li rende più fragili, ad esempio l’assenza di assistenza domiciliare adeguata, non solo sanitaria, ma anche sanitaria), si è passati a posizionarli nell’ultima gerarchia dei corpi sacrificabili. Esempio fulgido qualche Paese nordico, con la spietata precedenza a chi ha qualche chance di farcela: è stato istituito come principio, come scelta giusta, dolorosa, ma necessaria. Quindi, intimiditi, esibiamo oggi la giustificazione, come a scuola: non per desiderio di vita vogliamo il vaccino, ma per non gravare sulla comunità con la nostra ingombrante eventuale presenza negli ospedali. Non per il desiderio di vita (che è anche nostro) perché sarebbe preso per ostentazione, per eccesso di visibilità.
Come avveniva nel primo lock down, si sono contrapposte due generazioni: i giovani e i vecchi. E la stessa contrapposizione ricompare oggi, sui criteri di precedenza al vaccino. Ma allora cosa significa la ridondante sottolineatura del principio della cura, dell’interdipendenza, del “non possiamo salvarci da soli”, che dovrebbe essere il principio base della convivenza civile da ora in avanti? E a cosa può portare una riemersione dell’insofferenza dei giovani verso i vecchi, considerati portatori di valori superati, che non hanno niente da insegnare, che possono essere eliminati? Quando su quell’esperienza di pensiero e di vita anche i giovani sono seduti perché nessuna generazione ricomincia da capo? E cosa significa l’insofferenza dei vecchi verso i giovani, considerati spesso irresponsabili, persino untori potenziali con il loro disordinato anelito alla vita, al divertimento, all’assembramento? Forse dal ricucire questa discrasia, questa frattura bisogna ricominciare. Per riconoscere ad entrambi, giovani e vecchi, che accanto ai corpi ci sono i cuori. E che il filo che ci lega è quello di sostenere l’urgenza di farlo a tutti, il vaccino, “whatever it takes”.