Organizzare ferocemente la giornata per non perdere tempo è stato il mantra dei miei impegnatissimi anni adulti. E adesso che l’impegno si è rarefatto, quasi dissolto, mi capita di sentirmi in colpa a leggere un romanzo la mattina perchè “la mattina si studia”
Una delle immagini che ho davanti agli occhi di me, giovane adulta che torno da scuola e ancora con i guanti accendo il gas per l’acqua della pasta in modo che mio figlio bambino trovi pronto qualcosa da mangiare. Altre immagini mi vedono rifiutare un invito a cena di un amico di passaggio a Milano (“ma dai, almeno un aperitivo..”) perché dovevo consegnare una ricerca la mattina dopo e non potevo perdere nemmeno un minuto. Ricerca consegnata, amico perso.
Questo per dire che il mantra dei miei impegnatissimi anni adulti è stato organizzare ferocemente la giornata, la settimana, il mese per non perdere tempo….E persino adesso che quel dannatissimo impegno si è rarefatto e direi quasi dissolto, mi capita di sentirmi vagamente in colpa a leggere un romanzo la mattina o il pomeriggio perchè la mattina o il pomeriggio si studia, seduti su una seggiola con matita/ evidenziatore per sottolineare i passaggi importanti o davanti al computer a scrivere . Un romanzo, un film allaTV fanno parte della gestione del tempo libero, la sera, acciambellata su una poltrona o a letto prima di spegnere la luce. E guardo con stupore e meraviglia imolti, anzi moltissimi che non hanno l’orologio (“ma perchè averlo se c’è sempre il cellulare a portata di mano?”) mentre io lo tengo al polso persino di notte…
Per non organizzare ferocemente la giornata, scrivo libri sul “tempo per me”
Certo, non tutto nè sempre era così ferocemente organizzato, mi sono presa il tempo di fare bellissimi viaggi ,lunghe vacanze al mare dove la lentezza aveva il sopravvento, ma erano “fuori orario”, non contavano. Io sapevo che c’era “qualcosa di marcio in Danimarca”: infatti ho scritto libri sul “tempo per me”, sulla lentezza, sul dedicarsi sé oltre che al mondo. Li ho scritti forse non per gli altri, ma fondamentalmente per convincere me stessa, senza peraltro riuscirsi. O riuscendoci solo come anelito, come consapevolezza teorica, senza che questa convinzione diventasse mai azione di cambiamento.
E ora mi domando che cosa ho perso, in quell’ossessione di non perdere tempo? Cosa è rimasto fuori, in attesa di tempi migliori?
Due interventi importanti in un anno per riconoscere le ragioni del mio corpo
Molto è rimasto fuori, ma soprattutto è stato cancellato il tempo di prendermi cura del mio corpo, considerato un fedele servitore, pronto a subire offese senza rivoltarsi troppo. E poi, lentamente nel corso del tempo, ha iniziato a rivendicare la sua presenza, piano piano, quasi sommessamente, con qualche acciacco imprevisto, da me guardato con sufficienza e albagia, considerato una bizzarria temporanea. E con il tempo e quasi rivendicando una presenza importante che sempre gli era stata negata è diventato il corpo nemico, che si vendicava. L’ultima vendetta di grande rilievo l’ha posizionata nell’ultima fase, dopo il tempo scomposto della pandemia: un anno e mezzo chiusa in casa in attesa di un’operazione all’anca sinistra e poi alla spalla destra. Due operazioni importanti in un anno, con successive e lunghe riabilitazioni e fisioterapie. E, in questo lungo tempo, ho imparato a riconoscere le sue ragioni, a non considerarlo più un accanito nemico, ma un amico maltrattato che esigeva riconoscimento e rispetto. Prima è stato periodo di contrattazione giorno per giorno, poi di timida amicizia e infine di amichevole comprensione. E’ diventato quasi un amico. Faccio gli esercizi che mi assegna la fisioterapista non come avveniva prima con rabbia represssa e quasi disgusto, ma con dolcezza, per aiutarlo.
Perché ho capito che il dolore ottundeva anche la mente e che non potevo dividermi. Come avrei fatto comunque a dividermi se non potevo più andare per il mondo (considerando mondo anche muovermi a Milano per un cinema, una conferenza, un incontro?) , se non potevo né vestirmi, né lavarmi, né mangiare, né scrivere al computer senza la sua complicità. Dovevo. Ma il dovere si è trasformato in quasi/piacere adesso. Senza esagerare…..
Organizzare ferocemente la giornata… ma concedendo al fisico l’attenzione che merita
Ho parlato di me per portare un esempio che conosco bene, per allontanare qualsiasi predica teorica (come purtroppo spesso avviene nei libri sulla vecchiaia), con i sacri comandamenti: mangiare bene non nel senso del gusto ma nel senso salutista, non bere se non acqua (tanta), muoversi, andare in palestra fino a sfinirsi, ecc, ecc. Prima mi domandavo se tutto questo significasse abbellirsi per la bara e dove se ne fosse andato un po’ di piacere. Adesso penso che vorrei morire da viva e quindi qualche l’attenzione a lui devo concederla, con juicio.
Conclusione: per favore non fate come me.