Come ogni anno, il 25 novembre al centro dell’attenzione è stato il tema della violenza contro le donne. E come ogni anno si rincorrono promesse, indignazioni, dati terribili sui femminicidi (uno anche nel giorno stesso del 25 novembre e uno subito il 26….).Ma un tema è emerso pochissimo: quello sulla violenza contro le donne anziane. Esentate, almeno su questo, dall’annoverarsi tra le vittime perché troppo vecchie, sottratte all’accanimento? Non esattamente così.
Anche per le donne anziane, come per le più giovani, la violenza è spesso commessa da un familiare che picchia, ruba i risparmi, zittisce, non assiste e abbandona. E questo è emerso in modo drammatico in questo periodo di confinamento nelle case, dove la prossimità a volte si trasforma in tragedia.
Violenza sono anche le truffe, i raggiri, i furti dei risparmi commessi da estranei che si introducono surrettiziamente nelle case e ingannano i vecchi signori e le vecchie signore. Ma spesso, nel racconto di cronaca, si mette l’accento sul fatto che i vecchi signori e soprattutto le vecchie signore non si difendono, aprono le porte, sono incapaci di individuare i truffatori. Incapaci di proteggersi perché credulone, irresponsabili. Da proteggere e isolare. Da rottamare. Così, con il covid i vecchi sono improvvisamente diventati vecchissimi, quindi “pazienza se muoiono i vecchi”. Schiacciati dalla figura della vittima, in cui vengono confinati. Ma la figura della vittima è funzionale, la vittima è una perdente, estranea alla società dei vincenti e della competizione. La vittima non fa danni a nessuno, è commiserata, ma nessuna cittadinanza si può fondare sulla commiserazione. Una vittima non è un soggetto politico, in quanto tale è fuori dalla polis.
E se non è violenza questa, che cos’è?
Vorrei insomma sottolineare che al di là degli assassini e dei femminicidi è importante far emergere, riconoscere, scoprirla anche in sé una sorta di violenza simbolica, una violenza spesso invisibile che è un habitus, un comportamento che nemmeno viene riconosciuto. Una violenza sotterranea. Quindi vale la penna di soffermarsi sui lati subdoli, meno urlati della violenza, concentrarsi anche su stereotipi che appaiono naturali e che ci condizionano.
Questo succede per le giovani donne , ma anche per le donne vecchie. Che sono imprigionate in vecchi e nuovi stereotipi. Il vecchio stereotipo della vecchietta in attesa della morte, rintanata e un po’ rimbambita, che apre la porta a uno sconosciuto che poi la deruba o che crede ciecamente a chi le propone di dare tutti i suoi risparmi per un investimento favoloso. Ma anche un nuovo stereotipo: della donna che mai rinuncia alla propria femminilità, anche in vecchiaia. Detto in un altro modo : se vuoi invecchiare bene devi restare giovane. La vecchiaia come assenza della giovinezza. Molto spesso attraverso le cure estetiche, che creano l’illusione del tempo immobile, che non passa, che cancella le rughe dal viso. Ma non si favoleggia solo di cure estetiche, comincia anche a farsi sentire un’accentuazione sulla necessità di mantenere la forza, la agilità, sull’imperativo di sgobbare in palestra… Il prezzo della sopravvivenza è sgobbare senza tregua. Tutto il contrario dal rivendicare come vorremmo un diritto all’imperfezione, il diritto di essere come siamo. Ribellandoci agli stereotipi, rivendicando una nuova cultura dell’invecchiamento – ora inesistente -e quindi politiche che siano coerenti. Improntate non solo ai bisogni dell’estrema vecchiaia, al contrario improntate sulla valorizzazione delle capacità e delle competenze. Mancanza di politiche adeguate che è emersa in tutta la sua drammaticità durante il covid.