Jo e noi

Sfido chiunque di noi “grandi” donne (grandi nel senso dell’età) ad aver resistito al richiamo della sirena delle “piccole” (inteso come Piccole donne). Nel bel film di Greta Gerwig adesso in circolazione.

Sappiamo che nella nostra vecchiaia la bambina o l’adolescente che siamo state si fa più viva, ci parla, ci dice qualcosa di noi che forse nell’età adulta non abbiamo saputo o voluto vedere. Ma come ci spieghiamo il fascino che esercitano ancora su di noi – anche se abbiamo letto il libro più di cinquanta anni fa e visto almeno una della tante versioni cinematografiche – le quattro sorelle March e la loro mamma? E soprattutto come si spiega il richiamo di Jo?  Non ho mai conosciuta nessuna ragazza di allora che si fosse identificata con Amy o con Beth o con Meg: per  tutte inevitabilmente il modello era Jo. Jo la curiosa, Jo che scrive, Jo che si taglia i capelli per portare un po’ di soldi a casa, Jo che tesse una grande amicizia con l ragazzo Laurie, più timido di lei anche se più ricco e privilegiato. Jo che non vuole ballare, ma poi balla in modo sfrenato nei corridoi o nella terrazza, Jo che rinuncia a trasformare la sua grande amicizia con Laurie nell’amore che lui le chiede perché non vuole tradire se stessa. Jo che vorrebbe restare single come avrebbe voluto la sua autrice, ma si adegua all’imperativo dell’editore dell’happy end matrimoniale finale perché a fine Ottocento quello era l’unico finale plausibile per una ragazza povera. E riesce a scovare per lei un amore “intellettuale”, l’unico possibile. E con lui a organizzare, grazie al lascito della zia “ricca” una scuola di tipo nuovo, con metodi nuovi per tutti i bambini, ricchi e poveri, maschi e femmine.

Un’eredità femminista anti litteram, firmata da Louise M. Alcott  negli anni ’60 dell’Ottocento?

Io penso che  questa strenua volontà di dare voce alle donne, di gridare a tutta l’America (e poi a tutto il mondo) la necessità della autonomia delle donne, di bypassare  l’imperativo categorico “sposarsi” si sia qui in Italia concretizzato  nella prima ondata di femminismo, nei primi anni del Novecento quando Ersilia Majno (che tenacemente lottò per la salvaguardia delle donne dalla misera e  dalla prostituzione), o Anna Maria Mozzoni (che alla legge che rendeva meno comodo per i padroni assumere  donne esclamò “ me le rimandano a casa a razzolare come galline”) o Sibilla Aleramo (con suo dirompente e scandaloso romanzo) e come loro tantissime altre emancipazioniste misero anima faccia e cuore per la causa delle donne. E fondarono scuole, proprio come Jo.

Ma noi nella nostra adolescenza non sapevamo nulla di queste prime femministe, noi abbiamo letto Piccole donne . E poi anche Piccole donne crescono e poi Piccoli uomini, e poi I figli di Jo.  E lì abbiamo imparato a sottrarci al modello sociale ancora imperante.  E da ragazze e giovani adulte siamo andate incontro baldanzose all’incontro con il nuovo femminismo degli anni ’70 in cui tema principale è stato la rivendicazione della propria sessualità e della propria soggettività (ricordate “io sono mia?”) e ci siamo lasciate indietro anche Jo, come un’ombra benefica della nostra adolescenza..

Per questa ragione io credo che questo film, lodato da tutti e ritenuto da tutti una legittima bandiera delle donne, sia un film che sarà accolto con trepidazione di cuore e ricordi ancora vivi da noi, vecchie signore che su quel libro siamo cresciute, che abbiamo letto da ragazze e adolescenti, che ci ha formato.  Possiamo allora pensare a questo film come a un film per “vecchie signore”? Poi forse piacerà e entusiasmerà anche le ragazzine di oggi (che tuttavia dubito abbiano santa Jo nel loro immaginario perché probabilmente non hanno mai letto il libro), ma anche forse con riconoscenza ritroveranno nel film l’impronta di una scia di lunghe battaglie fatte dalle loro nonne e madri, e sapranno che, in altri modi, con altri temi, per altri traguardi questa lunga battaglia non è ancora finita.

 

Marina Piazza: sociologia, femminismo, donne, studi sulla vecchiaia
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