Siamo tutti scrittori, ormai. Chi più chi meno, chi nella riga di Whatsapp o di Twitter, chi nelle più corpose considerazioni su Facebook. Tutti scrittori, qualsiasi età o condizione o lavoro o passato o futuro o rapporti umani ciascuno di noi abbia. Scrivere necessita umiltà e questa non l’abbiamo tutti, purtroppo. Scrivere necessita disciplina ed esercizio, ma anche capacità di mettersi in gioco, di sottoporre ciò che si fa al giudizio altrui, con il rischio di essere derisi, di essere sfruttati, sottovalutati, non capiti. Scrivere è osservare con attenzione e poi chiudere gli occhi e cercare di comprendere cosa c’è dietro le parole, gli avvenimenti e l’aspetto delle cose e delle persone. Scrivere è vederci benissimo, ma anche essere ciechi. È cercare di suonare la propria musica malgrado tutto, senza aspettarsi niente, prendendosi i propri rischi.
Eccomi qui, un suonatore senza pretese. Lavoro alle feste di paese. Quel giorno “avevo strimpellato tutto il giorno alla fiera”. Al ritorno mi diedero un passaggio due tizi ubriachi (si sa come vanno a volte le feste di paese) che “vollero che ancora suonassi”. D’altronde i musicanti, così come gli scrittori, per lavoro devono far divertire la gente. Così io suonavo il violino e cantavo la mia canzone mentre loro spingevano il mezzo a tutta velocità. Andavano molto forte senza rendersi conto del pericolo. Io suonavo ma avevo paura, l’incidente mi pareva inevitabile. Lo sapevo anche se purtroppo non ci vedo. Quando mi sono accorto che ci stavamo ribaltando ho provato a fare qualcosa. “Cieco com’ero cercai di saltare” ma “fui schiacciato dalle ruote e ucciso”.
Così io, un umile compositore di strofe, ho perso la vita mentre cantavo la mia canzone per l’ultima volta a gente che non apprezzava più di tanto. Non importa. L’importante per me è sempre stato suonare e cantare e non l’ho fatto per la fama e il successo, ma solo per la gioia della musica e delle parole.
Adesso sono arrivato in un gran bel posto, pieno di gente che fa il mio stesso lavoro. Colleghi di vario tipo, alcuni più sfortunati di me, alcuni no, alcuni meno bravi, alcuni immensamente di più. Ma siamo qui insieme ed è una bella compagnia. C’è un tale che un po’ mi assomiglia.
“C’è qui un cieco dalla fronte grande e bianca come una nuvola. E tutti noi suonatori, dal più grande al più umile, scrittori di musica e narratori di storie, sediamo ai suoi piedi e lo ascoltiamo cantare la caduta di Troia.”
Scrivere è vedere ciò che non vedono gli occhi, è saper spiegare la realtà con parole nuove, è osservare le vicende umane nel massimo splendore e nella disgrazia più profonda. Ma non è detto che la disgrazia non possa diventare, attraverso l’anima dell’artista che la racconta, un momento di grandezza.
Possiamo solo metterci con gli occhi chiusi ai piedi dei nostri maestri e ascoltare quello che hanno da dirci, per poi, se si presenta il momento, cantare la nostra canzone.
Stare seduti vicino a Jack il cieco ai piedi di Omero, il più mitico dei cantautori, è il massimo a cui si possa aspirare quando si vive di musica e parole. Edgar Lee Masters, l’autore dell’Antologia di Spoon River da cui è tratta la poesia Jack il cieco sicuramente ora sta lì insieme a Jack e a tanti altri e fa il pubblico del grande Aedo che racconta le storie dei suoi eroi. Non sarebbe bello un giorno potersi unire a loro?
“La scrittura esige virtù scoraggianti, sforzi, pazienza; è un’attività solitaria in cui il pubblico esiste solo come speranza.” (Simone De Beauvoir)