Ricordiamo tutti certamente il film “Divorzio all’italiana”, ironia feroce sulla giustificazione della violenza esercitata sulla donna.
Questa disinvoltura oggi non ha più spazio di giustificazione, ma il problema rimane. La cronaca: una donna uccisa a Milano dall’ex-marito. Un’altra, uccisa in modo selvaggio da un uomo del quale si evidenzia il “profilo criminale”. Tutto chiaro quindi: cosa ci si aspetta da un “criminale”?
Invece no.
Pochi giorni dopo un’altra donna é uccisa, ma questa volta a compiere il delitto non é un criminale, ma un uomo qualsiasi, un “omone” di cui le stesse cronache sottolineano con stupore l’aspetto per nulla allarmante: le manone abituate al lavoro, l’apparenza da gigante buono, inoffensivo, dal quale mai ci si aspetterebbe una violenza simile. Quelle manone, infatti, hanno strangolato una ragazza.
La reazione a questa presentazione, che sembra quasi giustificare la persona, mentre esprime in realtà lo sconcerto di chi vede infranti i propri rassicuranti schemi mentali, é spesso furente: non può essere una brava persona quella che ha commesso un atto così turpe.
Intervenendo a proposito del primo delitto, il procuratore di Milano mostra tutta la difficoltà di chi deve occuparsi di vicende simili. Alla domanda come tutto questo sia potuto accadere, egli risponde giustamente che é “illusorio” pensare che “si possano risolvere vicende come queste solo con la galera” poiché “ci sono casi in cui si é impotenti rispetto alla pazzia umana”.
Di quale pazzia si tratta? Ritengo che il magistrato si riferisca alle nostre passioni.
Le passioni degli esseri umani si radicano nella materia di cui siamo fatti, nel nostro corpo, esse quindi precedono ogni razionalità. Lo dice la parola stessa: noi le patiamo, le subiamo, rispetto ad esse siamo dei “pazienti”.
Le passioni si accompagnano alla violenza e in questi casi la passione implicata violentemente é la gelosia.
La violenza é il modo con cui una gelosia radicale si manifesta in un comportamento che ci colpisce anche perché attuata da persone che dicono di amare l’oggetto che distruggono. A volte dicono di distruggerlo proprio per questo, quasi che l’uccidere la donna che si dice di amare fosse una prova di amore.
Evidentemente qualcosa non quadra.
La gelosia é una delle grandi passioni umane: tutti l’abbiamo provata e la proviamo continuamente, anche se con intensità diversa a seconda delle circostanze e delle persone.
Nessuno essere umano ne é immune: conosciamo tutti la vicenda di Otello e magari abbiamo letto Tolstoj (La sonata a Kreutzer), illustrazioni di casi esemplari che riguardano proprio la distruzione della persona che si dichiara di amare.
La gelosia é forse il primo moto interiore autentico che ognuno di noi prova nella vita. All’inizio é il bisogno fisico prepotente di qualsiasi bambino di possedere interamente ogni cosa per sé e solo per sé, senza doverla condividere con nessuno. Questo bisogno, questa voglia esasperata che non é un desiderio, ma una necessità, sorge con l’impressione che il mondo sia completamente a propria disposizione e si accompagna al terrore di non poter sopravvivere se esso ci viene sottratto, anche solo in piccola parte. Nel mondo dei bambini, e tutti lo siamo stati, le cose hanno un ruolo essenziale perché da esse dipende la nostra vita, sono esse a garantirla.
Ne vogliamo una prova? Cerchiamo di togliere a un bambino qualcosa che gli “appartiene”, a prescindere dal suo valore, e vedremo la reazione.
A questo livello, la gelosia é come una fame che non conosce confini e che non accetta ragioni.
Tutti i bambini piccoli tendono a pretendere di avere molto più di quanto sia loro necessario o li interessi veramente, o anche di quello che semplicemente siano in grado di utilizzare.
Quello che conta veramente é il moto interiore e non gli oggetti ai quali esso si rivolge. Questo moto non ha nulla di ragionevole: é un bisogno, come quello di mangiare, di bere o di respirare.
Il problema sorge dunque quando questa pretesa infantile si mantiene inalterata nell’adulto e questo accade molto più spesso di quanto non si creda. La cultura attuale tende poi a stimolare, e quindi a rinforzare, questa situazione emotiva.
Non sempre ne siamo consapevoli, perché l’odio e la rabbia che la accompagnano possono velare l’angoscia della perdita di cui essa si nutre.
Nell’adulto questa posizione é espressa bene dall’avaro, una persona che accumula e trattiene ma non gode di quello che possiede. L’avaro soddisfa solo un moto dal quale é posseduto e di cui egli é schiavo anche se non se ne rende conto (altrimenti cesserebbe di essere avaro). Perdere un pezzo del proprio avere, é per l’avaro, una minaccia mortale, insopportabile: conoscete Paperon de’ Paperoni e la sua perenne angoscia della rovina?
Anche se si ritiene che le passioni si calmino con l’avanzare dell’età, la cosa é vera solo parzialmente: il fatto di riuscire a governare le proprie passioni per evitare che siano esse a governarci é un problema per tutti, a qualsiasi età. In fondo, via, lo stesso Paperone, così gelosamente possessivo, è una pantera grigia!
Se il bisogno di possesso, totale e completo, permane in un adulto, non ci saranno né argomentazioni né sanzioni in grado di arginarlo quando si diano certe circostanze. E quando siano implicate vicende sentimentali queste circostanze sono sempre presenti.
“Se sapessimo cosa racchiude l’avaro nella sua cassetta, ne sapremmo molto di più sul desiderio” scriveva Simone Weil. Aveva ragione: si potrebbero prevedere molte cose se potessimo capire per tempo quale rapporto ciascuno di noi ha con gli oggetti, con le persone intendo, che popolano la propria esistenza.
Il nostro rapporto con le persone alle quali siamo più legati, come le consideriamo sia dentro di noi che nel modo di trattarle, al di là delle enunciazioni esteriori con le quali ci esprimiamo, é una misura del nostro livello di maturità.
Ne sapremmo sul desiderio umano che non é da confondere con le cose attraverso le quali esso cerca di soddisfarsi, quei gadgets che il mondo attuale mette a disposizione di moltissimi, se non proprio di tutti.
A volte, travolti da un moto irrefrenabile al possesso con cui ci si illude di porre un argine al senso di mancanza, di insoddisfazione, di incompletezza che ognuno di noi alberga in se stesso, sono le persone, le donne allora in parecchi casi, a essere trattate come cose, come gadget: non si può fare a meno di possederle anche se non si dà loro alcun valore.
Basta fermarsi un attimo per riuscire a capirlo.