Il condominio è il luogo in cui spesso liti e dissapori possono rendere la convivenza insopportabile. Può trattarsi di semplici dissidi e conflitti verbali, ma anche di una serie di molestie consistenti nel provocare rumore notturno, far gocciolare acqua dal balcone del piano superiore a quello sottostante, gettare acqua sporca sui balconi dei condòmini, cicche di sigarette, il ticchettio di scarpe femminili a tutte le ore, lo spostamento di mobili a tarda ora, sottrarre la posta nella cassetta delle lettere, l’odore reiterato di cipolla , l’abbaiare continuo del cane del vicino, il vociare dei bambini nel cortile, tutti atteggiamenti che generano un fondato timore per l’incolumità personale e che sconfinano nello stalking condominiale quando le molestie sono ripetute nel tempo e tali da creare uno stato di timore o ansia. Secondo il buon senso ci si dovrebbe astenere da comportamenti che possano turbare la tranquillità e la quiete dei vicini, preferendo rapporti di buon vicinato per il fatto di condividere la proprietà di beni comuni
Che fare allora?
La legge parla solo di “normale tollerabilità”
L’art. 844 c.c. (divieto di immissioni) ci dice che “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”. Tale disposizione si basa sul criterio della “normale tollerabilità” che è un criterio relativo, poiché esso non trova il suo punto di riferimento in limiti aritmetici fissati dal legislatore.
Si misura in decibel quando il limite viene sicuramente superato
L’interpretazione giuridica è costante nell’affermare che, mancando nella legge una misura in base alla quale stabilire con criteri automatici, il limite di tollerabilità delle immissioni deve essere prudentemente determinato –di volta in volta– dal giudice, con riguardo sia alla sensibilità dell’uomo medio sia alle condizioni dei luoghi e alle attività normalmente svolte nel contesto produttivo preso in considerazione sia al sistema di vita e alle abitudini della popolazione nel momento storico in cui le immissioni si verificano (Cass. Pen, sent. n. 6534/1985; Cass. Pen, SS.UU., sent. n. 4156/1957).
Secondo un’interpretazione del dato normativo indicato, volto alla tutela della salute dei terzi, nonché alla adeguata fruizione dei beni di proprietà del soggetto che subisce le immissioni, è da evidenziare che è però lesiva dei diritti altrui anche una produzione rumorosa che, per volume o intensità, non superi i limiti sanciti da misurazioni oggettive, ma che, per persistenza e orario di propagazione delle immissioni, determinino ugualmente un non tollerabile disturbo alle attività di vita quotidiana, ad esempio, mettendo a repentaglio il riposo notturno, la serenità e l’equilibrio della mente e la vivibilità della casa (ex multis Cass. Civ. n. 26899/2014)..
Un aiuto in più a chiarire il concetto di normale tollerabilità arriva, dalla legge 447 del 1995 (legge quadro sull’inquinamento acustico) In genere è sufficiente dimostrare che i rumori del vicino abbiano superato di 3 dB il rumore di fondo (se i rumori si verificano nelle ore notturne) oppure che abbia superato di 5 dB il rumore di fondo (se i rumori si verificano di giorno). Anche in tal caso però il giudice deve valutare il caso, cercando di contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e può tenere conto della priorità di un determinato uso.
La priorità è stata intesa dalla Corte di Cassazione come il “preuso”: ad esempio chi acquista una villetta in una zona industriale deve poi aspettarsi possibili immissioni e il limite della tollerabilità è più alto rispetto a una zona residenziale.
Anche la destinazione d’uso conosciuta al momento dell’acquisto della proprietà gioca a sfavore di chi subisce il danno (ad esempio se si acquista un immobile in zona residenziale ma vicino a un disco pub ci si potrà attendere una certa rumorosità che potrebbe rientrare nel concetto della “normale tollerabilità).
In ogni caso sarà sempre necessaria una valutazione del caso concreto. In caso di contenzioso occorrerà anche valutare se il proprietario di un’attività rumorosa abbia adottato o meno le necessarie cautele per evitare il propagarsi di rumori nelle proprietà dei vicini.
L’utilizzo di insonorizzazioni, di sistemi di controllo e limitazione di potenza degli impianti acustici o la predisposizione di accorgimenti tecnici consentiranno di fare rientrare la rumorosità nei limiti di legge consentiti, ovvero all’interno del concetto di “normale tollerabilità”.
Se è accertato, però , il superamento della normale tollerabilità delle immissioni, il condomino danneggiato potrà tutelarsi sia in sede civile chiedendo la cessazione dell’attività rumorosa, l’imposizione di misure adatte a ridurre la rumorosità stessa ed il risarcimento del danno sia in sede penale.
Se le molestie continuano
In questo caso può essere contestato ai condòmini il reato contravvenzionale di molestie continuate ex artt. 81 e 660 c.p., come il caso, sollevato dinanzi ai giudici di legittimità, di una coppia di coniugi condannata perché, a causa di precedenti dissapori con il sottostante titolare di un panificio, aveva posto in essere atti di disturbo alle normali attività del negozio versando grandi quantità di acqua dal piano soprastante da loro abitato davanti all’entrata del panificio, spesso proprio quando giungevano clienti. La coppia, inoltre, aveva costretto il negoziante a subire altre molestie, quali il getto di foglie, rami e altri materiali di scarto in prossimità dell’entrata del panificio, così da diminuirne l’immagine, il decoro e l’igiene (Cass. pen., sez. I, 14 febbraio–14 marzo 2013, n. 11998).
Stessa condanna per molestie continuate è stata irrogata a un condòmino che in più occasioni ha arrecato molestie ad altra coppia di coniugi, suoi vicini di casa, per aver scrutato in continuazione all’interno del loro appartamento da un terrazzo posto a brevissima distanza attraverso cinque finestre prospicienti su detto terrazzo, costringendo in tal modo le parti offese a tirare i tendaggi e ad accendere la luce anche in pieno giorno per proteggersi dalla sua intrusione. A ciò si aggiungevano le molestie reiterate, nei confronti delle parti offese, attraverso gesti con la bocca e con le mani a titolo beffardo e apostrofando la coppia con frasi irridenti, sghignazzi e fischi, quando la incontrava sulle scale dell’edificio ovvero sulla pubblica via (Cass. pen., sez. I, 8 marzo-15 aprile 2011, n. 15450,Cass. pen.,sez. III, 7 febbraio–11 aprile 2013, n. 16459).
Esiste anche lo stalking condominiale
Quando le azioni persecutorie sono reiterate con modalità tali da cagionare un perdurante grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ci troviamo di fronte a un caso di stalking condominiale, inteso come una particolare variante e applicazione pratica dello stalking (o atti persecutori).
Lo stalking influisce sull’emotività della vittima come nel caso in cui era abitudine del molestatore di rincorrere, chiudere in ascensore e minacciare di morte ogni condòmina incontrata nel palazzo. Si tratta di una fattispecie di reato non sufficientemente determinata dal legislatore pur collocandosi nell’ambito dell’art.612 bis c.p., per cui è lasciata alla discrezionalità dei giudici delinearne i confini.
Integrano il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale.
La norma richiede la querela della persona offesa, con l’eccezione delle ipotesi in cui il reato sia commesso ai danni di un minore o di un disabile ovvero quando il fatto sia connesso con altro delitto procedibile d’ufficio, ovvero ancora quando sia commesso da soggetto precedentemente ammonito.
Il termine per la presentazione della querela è di sei mesi, analogamente quanto previsto per i reati sessuali dall’art. 609-septies cod. pen.; diversamente da questi, tuttavia, la querela può essere rimessa processualmente.