Non è proprio facile dare una lettura ottimista, o comunque, perlomeno positiva, di quello che sta accadendo in questi giorni in Europa. Le altalene delle borse, gli attacchi speculativi, il rischio, che si è corso per davvero nella prima settimana di maggio, e che ancora si corre, di veder finire la nostra idea d’Europa insieme all’Euro e al mercato interno così come lo avevamo conosciuto finora, non sono elementi che ci portano a vedere il futuro con serenità.
Eppure, nonostante ritardi, contraddizioni, divisioni, forse anche inevitabili, il processo cominciato in questo maggio 2010 a sessant’anni dalla nascita dell’Europa comunitaria, può avere una lettura anche positiva. Direi storicamente positiva se le cose andranno, come si auspica, per il verso giusto.
Nessuno si deve illudere sulle dinamiche europee. Negli ultimi decenni l’integrazione europea si è dovuta più che all’idealismo e al coraggio di classi dirigenti illuminate a seguito di alcune piccole e grandi crisi.
Quella a cui stiamo assistendo è sicuramente una crisi seria, figlia sì dell’emergenza greca e della peggiore crisi economica dopo quella del 1929, ma anche di un certo lassismo nella gestione dei conti europei e dell’aver sprecato alcuni anni di “vacche grasse” senza fare riforme strutturali e continuando a vivere al di sopra dei nostri mezzi.
L’emergenza euro mette l’Europa di fronte alla sua incapacità di rilanciare la propria competitività ai risultati di anni di differenziali di crescita quasi a due cifre rispetto ai paesi emergenti, Cina in testa; ai segni tangibili di un declino economico destinato a tramutarsi presto in declino politico. Come la chiusura dei rubinetti del gas da parte di Putin nel 2005-2006 e l’aggravarsi del rischio dei mutamenti climatici hanno finalmente spinto la classe dirigente europea verso una coraggiosa politica comunitaria per l’energia e il clima, così l’attacco frontale dei mercati, sta dando la sveglia un po’ a tutti.
La Commissione europea parla ormai in modo chiaro di necessità, non più rinviabile, di avere una vera politica economica europea, se davvero si vuole conservare l’Euro, e ha proposto robuste misure per rafforzare l’effettività del Patto di Stabilità e sanzionare la mancanza di convergenza verso livelli di competitività accettabili. Il Consiglio europeo e l’Ecofin, spinti anche dalla Germania che deve vendere in patria il salvataggio della Grecia e non vuole più rischiare altri disastri, sembrano decisi a fare sul serio.
Dietro i primi segnali di manovre “lacrime e sangue” che arrivano da quasi tutti gli Stati membri c’è la presa di coscienza, certamente salutare, che è arrivato il momento delle scelte. Scelte di portata probabilmente storica. Continuare con il “business as usual” mettendo qualche toppa qua e là e facendo la faccia feroce ai mercati finché si può, finché si riesce a essere credibili; ma poi alla fine cedere a pressioni inevitabili e, almeno nel medio periodo, accettare di rinunciare a un euro e ad un mercato che non si riduca ad un’elite ristretta dei paesi più competitivi. Oppure, mandare giù fino in fondo la medicina, per amara che possa essere. Sapendo che più si aspetta e peggio sarà. Approfittare della lucidità del momento per fare le riforme strutturali e realizzare vere politiche di rilancio della competitività. E dare finalmente all’Europa una vera governance economica, senza la quale non sarà in grado di affrontare le grandi sfide che l’attendono.
di Carlo Corazza – Direttore della Rappresentanza a Milano della UE