Più avanza l’età e più cresce la fantasia, ma allora “Vecchio a chi?!”

La creatività non ha età. Il Corriere della Sera qualche giorno fa ha affrontato l’argomento, rilanciando il dibattito.

Sarà vero che la vecchiaia segna più rughe nello spirito che sul viso? Forse perché non riuscì ad arrivarci, avendo vissuto poco meno di sessant’anni, il filosofo francese Montaigne aveva una pessima opinione della senilità. Probabilmente se avesse avuto modo di vedere gli ultimi film degli ultraottantenni Clint Eastwood e Woody Allen non sarebbe stato così pessimista. Lo stesso se avesse assistito a uno spettacolo di Luca Ronconi o se avesse avuto modo di leggere Camilleri. Dunque, si capisce l’amarezza di Pupi Avati, che lascia la commissione per i contributi selettivi del ministero dei Beni Culturali dopo aver incassato, tra i dissensi sul suo conto, anche l’accusa di essere troppo vecchio. Come se l’anagrafe fosse, in sé, una menomazione alla capacità di giudizio o peggio alla creatività. Non la pensa così, per esempio, lo stesso Andrea Camilleri, quando afferma che “la vecchiaia non intacca la capacità di sognare, anzi rende più sensibili verso gli aspetti impalpabili della vita, cioè verso le emozioni e i sentimenti”. Niente di meglio per alimentare la vena creativa.

E come ha ricordato Raffaele La Capria, gli anni senili sono “un dono del cielo”. Così lo scrittore napoletano rispondeva qualche anno fa alla proposta di un altro scrittore, più giovane di lui, l’inglese Martin Amis, che consigliava di rendere obbligatoria una dose di stricnina a chi avesse superato i settanta, in modo da risolvere contemporaneamente il problema pensionistico e quello demografico. “Caro Martin Amis” , continuava La Capria, “bevilo tu, se così ti piace, il tuo cocktail mortifero. Se lo avessi bevuto io non avrei scritto tre o quattro libri che a scriverli mi hanno dato qualche soddisfazione, non sarei stato tante volte felice, di una felicità diversa e più pacata anche quando molte ombre l’attraversavano, non avrei conosciuto altri Paesi, non avrei nuotato nei mari tropicali e visto le meraviglie di una barriera corallina, e così via”.

Del resto, è Pupi Avati che risponde ai suoi detrattori citando Pablo Picasso, morto a 92 anni senza aver mai perso la forza inventiva (e innovativa) né la certezza che: “Ci vuole molto tempo per diventare giovani”. Perché è assurdo pensare che il passare del tempo affievolisca irrimediabilmente l’energia creativa: ci sarebbero innumerevoli prove a dimostrare il contrario. “Verdi — aggiunge Avati — scrisse a ottant’anni il Falstaff , che non è certo una canzonetta da osteria o da parcheggiatori”. E ricorda anche la longevità creativa dei fratelli Taviani, di Ermanno Olmi, di Manoel de Oliveira, il regista portoghese che morì a 106 anni lavorando fino all’ultimo. Una persona che di vecchiaia se ne intendeva era Rita Levi Montalcini, alla quale si deve un elogio della vecchiaia in contrasto con la visione pessimistica del suo coetaneo Norberto Bobbio: il premio Nobel della Medicina scrisse addirittura un libro per dimostrare come l’inevitabile logorio fisico non comporta un deterioramento delle facoltà mentali. Basta ricordarsi di tenere in esercizio il cervello.

Gesualdo Bufalino rivelò il suo talento a 61 anni; il suo criterio per misurare l’età si riassumeva in un’immagine metaforica: “La vecchiaia — disse — comincia il giorno in cui, invece di scrivere a una donna, le telefoniamo”. Guardando i suoi collaboratori, trentenni o quarantenni che lo chiamavano Maestro, un giorno l’artista Arnaldo Pomodoro, già vicino ai novanta, ha esclamato sorridendo: “Maestro? Mah, io a volte mi sento più giovane di loro. Ho l’impressione che più avanzo in età e più mi avvicino a diventare folle. Continuo a giocare con la terra, ed è un bel gioco, come quand’ero ragazzino”. Continuare a giocare e ascoltare le voci del mondo con una nuova sensibilità, affinata dall’esperienza. Pupi Avati la chiama a suo modo: “Sa cos’è che distingue un vecchio? La vulnerabilità, uno stetoscopio poetico formidabile che permette di emozionarsi di più e perciò di allargare la propria tavolozza artistica. Il talento è uno dei misteri più belli del creato: il Direttore Generale te lo regala e te lo sottrae come e quando vuole”. Senza controllare il passaporto. (Fonte: “La creatività non ha età” di Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 6 febbraio 2018)

 

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