I grandi riconoscimenti si acquisiscono in età matura, si sa, quando i percorsi professionali sono ampiamente compiuti, le prove tecniche superate, gli ostacoli abbattuti, la creatività espressa. Così non c’è troppo da sorprendersi se un autorevolissimo protagonista del nostro tempo come l’architetto Italo Lupi abbia ricevuto, dal Politecnico di Milano, la Laurea Magistrale ad honorem in Design della Comunicazione. Sala gremita, ieri sera a Milano, molti nomi noti del Design e della creatività, ma anche studenti affezionati, amici. Tutti lieti di questo riconoscimento che va a un professionista di eccellenza, protagonista senza protagonismi e presunzioni. Un uomo competente e attento, capace, anche nella sua lectio magistralis, di guardare al futuro, ai giovani, agli spazi e alla grafica del nostro tempo, piuttosto che nostalgicamente testimoniare successi e lavori che portano la sua firma.
“Viene conferita a Italo Lupi la Laurea Magistrale ad honorem in Design della Comunicazione per il suo contributo, di riconosciuta valenza internazionale, al design grafico tramite progetti di traduzione visiva per sistemi di identità che hanno confermato ed esteso la funzione civile del design della comunicazione; per il metodo e la qualità dei suoi progetti di “regia editoriale” nelle riviste che hanno contribuito anche internazionalmente alla conoscenza critica e alla diffusione della cultura del progetto; per l’apporto decisivo che i suoi progetti rappresentano per la definizione e l’affermazione della cultura e della disciplina del design della comunicazione”, recita la motivazione della Laurea, letta dalla professoressa Marisa Galbiati, Vice Preside della Scuola del Design.
Ma è la Laudatio del professor Giovanni Baule a dare più ampie giustificazioni a questo premio e a costituire per tutti (e quindi speriamo anche per i nostri lettori ai quali volentieri la rendiamo disponibile)un’occasione di lettura colta e gradevole.
Laudatio di Giovanni Baule
“La Laurea ad honorem che oggi il Politecnico di Milano ha scelto di conferire a Italo Lupi segna una tappa importante per il nostro Ateneo e per la stessa nostra Scuola di Design. Una tappa nel segno del riconoscimento del protagonista di una disciplina – il Design grafico e della comunicazione – che è anche un riconoscimento dei saperi che questa disciplina porta con sé nel grande alveo delle culture del progetto.
Perché nel complesso percorso di Lupi ritroviamo tutti quegli aspetti che connotano non solo una professione di tradizione ma anche un profilo vivacissimo, predisposto per il futuro: i suoi occhi e la sua mano hanno saputo e sanno vedere oltre, e il suo sguardo, idealmente, sembra comprendere gli sguardi delle migliaia dei nostri laureati che su quelle stesse orme procedono insieme.
Con i precedenti riconoscimenti a Giancarlo Iliprandi e a Bob Noorda, questa laurea accomuna chi ha contribuito a costruire con l’impegno dell’intelligenza e del proprio lavoro una disciplina del progetto rigorosa, aperta, sperimentante, una disciplina del progetto talvolta sottaciuta ma che è, immancabilmente, “dappertutto”, come recita quella Carta del progetto grafico che, alla fine degli anni Ottanta, Lupi, con molti altri colleghi, sottoscrisse.
Non sarà solo una casualità, per cui ci piace sottolinearla come una coincidenza di luogo e di senso: ci troviamo qui nell’aula dedicata a quei fratelli Castiglioni che segnano una prima fondamentale tappa nell’avventura di Lupi: stelle di riferimento, come per molti designer di quella fortunata generazione, che tracciarono indelebilmente un metodo e i caratteri di un percorso.
Con quella prima esperienza e con una propria personalissima sensibilità, Lupi avvia un percorso del quale è possibile ricordare alcuni momenti. A partire, ad esempio, dalla collaborazione, insieme a Mario Bellini e Roberto Orefice, con l’Ufficio stile della Rinascente, un’altra fucina e laboratorio del design milanese.
Ma quella di Lupi è una figura che ha origine, per formazione, dentro la cultura politecnica: con la formazione in architettura, da subito allarga il proprio spettro di interessi facendo tesoro di quella piattaforma politecnica – fatta di sapere tecnico e umanistico insieme – in grado di esprimere profili di rigore disciplinare. È questa l’epoca in cui il design italiano nasce, suo malgrado, senza una propria scuola ma capace di assumere uno spirito europeo e in grado, a sua volta, di fare scuola a tutto il mondo. È un percorso che accomuna e accomunerà molti, approdati al progetto di comunicazione non ancora in procinto di costruirsi una propria scuola. Contemporaneamente, Lupi inizierà ad aprire un costante dialogo di affinità e frequentazioni con la scuola grafica inglese.
È proprio quella matrice politecnica a far sì che si estingua all’origine un equivoco che ha non poco gravato sull’immagine della nostra disciplina: l’idea di una netta quanto improbabile distinzione tra chi progetterebbe sulle due dimensioni – il graphic designer – e chi progetta le tre dimensioni: l’immagine separata dallo spazio, i segni distinti dai luoghi. Con il suo lavoro, Lupi smentirà di continuo questo stereotipo, affermando nei fatti che il progetto è uno, sempre immergendoci allo stesso tempo nell’empatia dei segni e degli spazi, dei segni vissuti e degli spazi praticati.
Lupi è, innanzitutto, autore di efficaci ‘traduzioni visive”.
Sa trasportarci da un mondo di parole (o di idee, o di intenzioni) ad un mondo visuale che restituisce in un catalogo di figure forti. Esercita una mirata sensibilità per il disegno, attenzione per l’illustrazione, maestria per il gioco con il carattere tipografico; e qui il principio gutenberghiano dei caratteri mobili viene preso alla lettera: i suoi segni, le sue grafie illustrate si muovono felici nella composizione tipografica, nello spazio dell’impaginato, sulla superficie del manifesto, nella dimensione dello spazio allestito. Sono marchi e logotipi che sanno essere allo stesso tempo scritture di immagini e alfabeti figurati.
Così nasce il marchio per Triennale di Milano che da statico sa farsi dinamico, e che conquisterà via via declinazioni proprie fino ad accendersi in volumi di colori – nella versione redatta con Alberto Marangoni.
Così prende forma il marchio per il Museo Poldi Pezzoli, dove il quattrocentesco profilo del Pollaiolo si tramuta in una silhouette di elegante suggestione.
Sono solo alcuni tra i marchi che, numerosissimi, diventano a loro volta manifesti, insegne, stendardi. Perché tutti pensati come matrici di un impianto visivo disposto per un’assoluta circolarità, aperto a interazioni tra un artefatto e un altro. Nascono da uno sguardo immaginifico che dà vita a un sistema mobile di invenzioni e reinvenzioni.
Il progetto di Lupi sa superare l’equilibrio scontato della rigidità dei sistemi di immagine coordinata giocando un’estesa varietà di registri. Se qualcuno ha classificato – con un altro stereotipo – la grafica come statica, per Lupi il design grafico è una continua “festa mobile”.
Lupi è al contempo “regista di contenuti”, e in questa prospettiva impronta il proprio lavoro editoriale.
Opera nell’epoca ancora felice delle riviste, quando esse rivestono il ruolo, quasi esclusivo, di veicoli pubblici per la diffusione critica della cultura del progetto; quando per generazioni di progettisti e per un pubblico sempre più ampio, la rivista si offre come voce autorevole, medium dedicato e imprescindibile.
Quelle riviste parlano di progetto alla cultura del progetto, e non solo. In quel particolarissimo mondo delle riviste del progetto, il designer ė regista grafico, talvolta direttore: organizza i contenuti nella messa in pagina, li seleziona, li inquadra creando punti di vista, rendendo leggibile il processo nascosto del progetto: accende un faro sul tavolo di lavoro del progettista.
Con i suoi allestimenti Lupi è progettista di spazi comunicativi: disegna lo spazio con la comunicazione.
Con mille stendardi veste Torino per le olimpiadi invernali; il progetto Look at the city – con Migliore e Servetto – prevede anche trecento anemometri sparsi per la città che prendono il giro del vento delle Alpi, mentre il Po diventa un fiume rosso, una fluida struttura visiva urbana.
Di nuovo, poi, la Torino imbandierata per i 150 anni dell’Unità di Italia è una miriade di segni tricolore che si diffondono e si elevano fino al collier luminoso che cinge la Mole Antonelliana.
L’antica e nuova idea della città in festa, della strada imbandierata come spazio di partecipazione, cala poi, in occasione di Expo, al centro di Milano. Il progetto, ancora con Migliore e Servetto, traccia un doppio segnale di accoglienza e di condivisione: le bandiere dei paesi aderenti, totalmente ridisegnate, s’innalzano da basamenti che sono sedute. Sono bandiere di pace su spazi di sosta e di incontro.
Con essi, Lupi disegna paesaggi di comunicazione.
Il lavoro di Lupi si muove tra mille immagini e tecniche realizzative, con infinite sfaccettature e variabili, ma dentro un’unica professione che disegna l’unità di un campo disciplinare e professionale ben definito, il campo del design della comunicazione. Dove le articolazioni e le specializzazioni sono conseguenti alla complessità di settori applicativi ma sono sempre all’interno di una stessa matrice comune.
Chi percorresse ancora oggi le vie fuori Milano, potrebbe riconoscere, a distanza di anni, le segnaletiche di Lupi pensate per il Parco del Ticino e poi destinate a tutti i Parchi extraurbani. Bandiere senza vento, ancora, dopo anni, si ergono a difesa di confini fragili che marcano quei territori che resistono al degrado dell’urbanizzazione forzata.
Chi di noi passasse da lì, le noterebbe ergersi leggere, colpite dal sole, insidiate dalla città che avanza, indomite, a segnare una doppia soglia. Ci rimandano infatti, per analogia, ai confini mobili di una disciplina, campo aperto ma dotato di necessari punti fermi, e, di nuovo, alla costante testimonianza di Lupi per una funzione civile, e alla voce gentile, della comunicazione di progetto.
Italo Lupi, in breve
Italo Lupi si è laureato architetto al Politecnico di Milano. Si dedica all’architettura degli allestimenti, a progetti coordinati di graphic design e di grafica editoriale. È stato consulente di immagine de la Rinascente, di IBM Italia, della Triennale di Milano, poi art director di Domus e, dal 1992 al 2007, direttore responsabile e art director di Abitare. Ha disegnato la grafica di grandi mostre e Musei, in proficua collaborazione con le architetture di: Mario Bellini (Palazzo Grassi, Stupinigi, Triennale di Milano, Museo della Storia di Bologna), Achille Castiglioni (padiglioni RAI e Bticino, Pitti immagine, XVII Triennale, Museo Correr a Venezia), Guido Canali (mostra del’700 nel Palazzo della Pilotta a Parma). Con Migliore e Servetto ha progettato il Look of the City di Torino per le Olimpiadi 2006 e per le Celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, sintetizzate dalla grande installazione luminosa sulla Mole Antonelliana.
PREMI: due Compassi d’Oro e un Compasso d’oro alla Carriera, German Design Award 2011, primo premio Penn Club/Fedrigoni, menzione d’onore al Typomundus di Praga. È Honorable Royal Designer a Londra, è membro italiano AGI (Alliance Graphique Internationale), è nella Hall of Fame dell’Art Directors Club Italia.