Il ciclo di incontri “La crisi dell’Europa e i Giusti del nostro tempo” promosso dall’associazione Gariwo al Teatro Franco Parenti di Milano si è concluso con la presentazione della “Carta delle responsabilità 2017”. Gabriele Nissim, presidente dell’associazione Gariwo, introducendo la presentazione della Carta ha sottolineato che di fronte alla crisi che vive oggi l’Europa, all’emergere dei nazionalismi, alla perdita di fiducia della gente, “è importante non lasciarsi andare all’indifferenza e richiamare i cittadini alla responsabilità”.
Anche in passato alcuni uomini, molte volte in solitudine, si sono fatti carico di quanti erano esclusi e perseguitati a causa di leggi ingiuste e hanno difeso la dignità umana calpestata. I protagonisti di queste azioni hanno cercato di porre un argine ai disastri della cattiva politica e hanno lasciato delle tracce che sono poi servite alla ricostruzione di un mondo lacerato. Senza l’iniziativa degli uomini giusti non ci sarebbe stata la sconfitta del nazismo e del totalitarismo sovietico e la nascita della comunità europea. Con questo nuovo documento, ha sottolineato Gabriele Nissim “vogliamo riaffermare il valore della pluralità e della non violenza in contrapposizione alla cultura dell’odio e del nemico. È il primo passo di un lungo cammino”.
La Carta delle responsabilità 2017 è un impegno etico per la memoria del Bene e l’educazione a partecipare, e ad esserne alla fine responsabili. Ricordo che gli incontri con personaggi provenienti da varie culture sono stati partecipati da un vasto pubblico, e anche noi in gran parte li abbiamo seguiti. I convegni erano tutti organizzati con il patrocinio dell’Università degli Studi di Milano e della Fondazione del Corriere della Sera, e avevano il compito, non certamente facile, di promuovere una riflessione collettiva sulle grandi questioni morali e politiche dei nostri giorni, come la crisi dell’Europa, la prevenzione dei genocidi, la battaglia culturale contro il terrorismo fondamentalista, l’immigrazione. E su questi temi si sono sentite le analisi e i pareri di intellettuali, studiosi, giornalisti e testimoni di vari Paesi fra cui il filosofo Massimo Cacciari, il giornalista Ferruccio De Bortoli, il politologo Olivier Roy, il giornalista Alberto Negri, lo storico Marcello Flores d’Arcais, il filosofo di origine armena Gérard Malkassian. Incontri seguiti da un pubblico di tutte le età.
L’idea era quella di aprire una discussione tra i relatori e di estenderla al pubblico presente, e in seguito divulgarla a chi ne veniva informato e si sentiva partecipe, dato che si tratta di temi fondamentali che oggi coinvolgono la nostra società. Ma non si voleva arrivare a una sintesi definitiva e a una verità assoluta. Non si trattava di elaborare una piattaforma politica, ma di indicare un metodo e un orizzonte culturale che possano sollecitare un impegno comune, all’interno di una pluralità di culture.
La Carta è un impegno certamente complesso ed è un primo passo di un lungo cammino di cui ognuno di noi può diventare interprete e ambasciatore. Immediate e numerose sono state le adesioni alla Carta, tra cui quelle del sindaco di Milano Giuseppe Sala, della direttrice del Teatro Franco Parenti Andrée Ruth Shammah, di Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione del Corriere della Sera.
Giuseppe Sala si è proclamato “fiero di essere un cittadino di Milano. Perché Milano è una città che non cede all’indifferenza e si prende le sue responsabilità. Anzi vuole farsi portavoce di valori universali di giustizia, pace, rispetto, solidarietà, equità e parità di diritti”. E lo si è visto anche nel giorno della grande camminata contro il razzismo intitolata “Milano senza muri” a cui hanno partecipato più di centomila persone. A maggior ragione il sindaco Sala ha aderito con convinzione alla Carta perché “questa fa appello alla responsabilità personale di ognuno, è un invito a fare del bene, e a farlo bene ogni giorno”.
E poi hanno prontamente aderito alla Carta delle responsabilità vari intellettuali e una lunga lista di personaggi della cultura e della società tra cui mi piace ricordare il filosofo Salvatore Veca con un suo sintetico messaggio: “In un mondo di incessante produzione del male attraverso il vecchio e il nuovo repertorio di crudeltà e massacri, la strategia dell’anticipazione del Bene, è la risposta giusta, in senso etico e politico”. Ma se ci chiediamo cos’è in pratica la carta, come va interpretata e con quali azioni e comportamenti possiamo contribuire a realizzarla, non bastano le parole di presentazione e le finalità suggerite dal presidente Nissim. Nell’ultimo incontro al Teatro Parenti, in cui erano relatori il filosofo Salvatore Natoli, la scrittrice Gabriella Caramore che ha condotto per anni la rubrica di Radio3 “Uomini e profeti” e Milena Santerini, presidente dell’Alleanza parlamentare contro l’intolleranza e il razzismo del Consiglio d’Europa, ho colto alcune indicazioni che possono essere utili.
Per il filosofo Salvatore Natoli la Carta “è l’apertura a un compito che possiamo considerare illimitato e che si applica in contesti e in punti diversi per cui occorrono continue riflessioni”. È una Carta che deve trasformarsi in azioni vitali. Per realizzare queste “azioni vitali” la cosa importante è mettersi in contatto con l’altro, ascoltarlo, riconoscerlo, comprenderlo. E occorre sapere poi come rispondere ai suoi bisogni, anche quando non vengono chiaramente espressi. “L’importante – ha ribadito Salvatore Natoli – è la relazione con l’altro”. Oggi invece molto spesso le persone non riescono ad avere un vero dialogo tra loro. Così senza un vero ascolto l’uno dell’altro, si instaura piuttosto una sorta di incontro-dibattito, con una costante esibizione dei propri punti di vista che fa solo rumore, come succede spesso anche in tv. E dopo aver teorizzato in termini filosofici sul concetto di misericordia laica, e analizzato il rapporto con la giustizia, Salvatore Natoli ha sottolineato la fragilità e fallibilità umana e citato la formula positiva “fa agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”. Nel suo discorso, il filosofo che ha fatto riferimento anche alla misericordia citata nella Bibbia, ad Aristotele e infine ad Adam Smith. In conclusione ha anche suggerito di andare a vedere il recente film di Scorsese “Silence”, come un esempio del lungo percorso compiuto da due padri gesuiti attraverso l’ascolto dell’altro e la misericordia umana.
Per la scrittrice Gabriella Caramore “i Giusti sono coloro che lasciano parlare il cuore, e non fanno calcoli”. E, come ha raccontato nel suo ultimo libro, scritto insieme a Maurizio Ciampa, “La vita non è il male”, ha riportato l’esempio di un coraggioso ragazzo del Mali, Lassana Bathily e del suo comportamento durante gli attentati a Parigi, quelli di Charly Hebdo. Lassana lavorava come inserviente in un supermercato nel quartiere ebraico della Porte de Vincennes. Due terroristi avevano già assassinato dodici persone, intorno e dentro la redazione di Charlie Hebdo. Ma quando un terzo terrorista ha fatto irruzione nel supermercato, Lassana – che si trovava nel piano interrato assieme a una quindicina di persone – non ha pensato di salvare solo se stesso. Il giovane ha pensato prima di tutto agli altri: li ha fatti entrare in una cella frigorifera, e ha spento l’impianto elettrico. Li ha tranquillizzati, finché tutto non è finito. “Il mio cuore ha parlato – dirà a caldo Lassana quando gli chiederanno conto del suo gesto. “Non si tratta di musulmani, ebrei, cristiani. Ci dobbiamo aiutare tutti per uscire da questa crisi”. Ecco un esempio del Giusto, il senso del Giusto: far parlare il cuore.
Allo stesso modo hanno fatto parlare il cuore, invece del calcolo, gli innumerevoli Giusti che nella storia si sono adoperati per salvare vite, talvolta a rischio della propria. Se vogliamo fare un riassunto sui principi elaborati dalla Carta delle Responsabilità possiamo basarci su alcuni concetti essenziali discussi negli incontri. Per approfondire gli argomenti, potete andare a leggere i dettagliati interventi nel sito di Gariwo – La foresta dei Giusti.
Ma riporto alcuni principi di base che ci vengono suggeriti.
Un nuovo inizio comincia con la sfida all’indifferenza e non è un’impresa impossibile.
Un nuovo inizio è possibile quando si trova l’orgoglio di essere cittadini europei senza cadere nell’illusione che il ritorno alle piccole patrie, alle sovranità locali, al protezionismo, possa aiutarci ad affrontare le contraddizioni della globalizzazione e i limiti della costruzione europea.
Ognuno di noi deve richiamare l’Europa a esercitare un ruolo attivo nell’interruzione dei genocidi, nel rendere efficaci i tribunali penali internazionali, nella denuncia di ogni forma di negazionismo e nella messa in opera di pratiche di conciliazione e di pacificazione di fronte alle guerre e ai conflitti.
Ogni individuo dovrebbe interrogarsi su cosa fare per arrestare la violenza terroristica. Quando sappiamo con chiarezza quale strada percorrere, non siamo più condizionati dal fanatismo omicida.
Un nuovo inizio è possibile se tutti noi siamo protagonisti di una rivoluzione nei costumi che riproponga con forza, nel dibattito pubblico e nei rapporti quotidiani tra le persone, il gusto della ricerca della verità, del dialogo, dell’ascolto, dell’empatia e della misericordia attiva.
La sfida difficile è l’accettazione dell’altro nella nostra società.