“Conversazioni estere” è un ciclo di incontri organizzato dal Corriere della Sera in collaborazione con Fondazione Oasis, il Foglio, Radio Popolare e Rivista Studio. Gli incontri si svolgono a Milano, nella sede di Microsoft Italia, nel nuovo grande edificio progettato dagli architetti svizzeri Hersog & de Meuron. Gli argomenti degli incontri sono complessi perché, non solo si analizzano situazioni attuali in Paesi esteri, ma si cerca anche di individuare possibili prospettive per il futuro. Si parla di guerre e di pace. Di ingiustizie e di speranza. Nei titoli di presentazione si parla dei cambiamenti che avvengono nel mondo, anche se a volte non ce ne accorgiamo, presi come siamo dalle storie quotidiane di casa nostra. Temi molto impegnativi .
Una scelta resta comune in tutti gli appuntamenti: sono sempre donne quelle che conducono e moderano gli incontri. Giornaliste che nel tempo hanno costruito la loro professionalità viaggiando e studiando in diversi Paesi come corrispondenti di varie testate italiane. L’iniziativa e la gestione degli incontri è dunque femminile, e in particolare è firmata da Barbara Stefanelli, vicedirettore vicario del Corriere della Sera. Inoltre gli eventi sono dedicati al ricordo della giornalista Maria Grazia Cutuli, assassinata in Afghanistan nel 2001, con un premio in suo nome. Ma poi diversi giornalisti maschi, inviati e scrittori di diverse nazionalità, hanno contribuito alla realizzazione degli incontri e dei dibattiti .
Najwa Ben Shatwa, scrittrice libica, anch’essa profuga in Italia, ma di una generazione più giovane, ha testimoniato che sotto Gheddafi la condizione delle donne era pessima e lei stessa ha subito persecuzioni e umiliazioni. E ha precisato che anche dopo la caduta del regime di Gheddafi non c’è stato un vero cambiamento e la situazione non è migliorata. Ancora oggi in Libia le donne sono limitate nei loro movimenti, devono essere accompagnate da un uomo, e se vogliono studiare ed essere indipendenti incontrano molte difficoltà. Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere, ritornato di recente dalla Libia ha fatto una descrizione dettagliata del vasto territorio libico che è diviso tra tante città-stato ed etnie diverse, chiarendo come la rivoluzione libica e la caduta di Gheddafi del 2011, sostenuta dall’Occidente e dalla Nato, che aveva fatto nascere grandi speranze non abbia portato a una vera liberazione. La divisione in vari territori e città – stato, Tripoli, Bengasi, Misurata, Sirte, la Tripolitania e la Cirenaica e le diverse realtà tribali che permangono nella vasta zona del sud, creano una situazione molto complessa e un potere frazionato che crea difficoltà anche nei rapporti con le altre nazioni.
Farid Adly e la scrittrice Najwa Ben Shatwan hanno ripetuto che in molti paesi libici, nonostante la liberazione da Gheddafi e la fine del regime, perdura la mancanza di libertà. E hanno ricordato che, anche se l’estremismo islamico con la sua influenza si è manifestato in sporadiche occasioni in alcune zone della parte meridionale della Libia, non si è mai persa la speranza di un vero cambiamento democratico di tutto il paese. In collegamento da Tripoli, ha avuto un certo rilievo la testimonianza di Claudia Gazzini, analista dell’International Crisis Group, che ha maturato negli anni una profonda conoscenza della situazione dei paesi del vasto territorio libico. Per la studiosa, i recenti accordi che l’Italia ha fatto con la Libia riguardano sostanzialmente la guardia libica costiera, il pattugliamento delle coste e il recupero dei migranti che salpano dalle coste del paese africano. L’effetto è stato il calo notevole dell’arrivo e del flusso dei migranti. E si dovrebbe avere anche un calo dei morti nel mare Mediterraneo. Ma dobbiamo tenere conto anche del problema del traffico illegale degli scafisti che non è solo libico, ma internazionale, e in molti casi ha causato tante morti. Si auspica un intervento dell’Onu, ma sarà un’ impresa di difficile attuazione. L’agenda delle trattative politiche sembra che sia in mano alla Francia. A luglio a Parigi il presidente Macron ha incontrato i rappresentanti delle due principali forze che controllano la Libia, il primo ministro libico Fayez al Sarraj e Khalifa Haftar, capo dell’esercito Nazionale libico e di fatto leader della Libia Orientale. Ma i risultati – secondo il parere di molti – sono rimasti incerti anche quando gli incontri sono avvenuti a Roma con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Le Ong che agivano con operazioni di soccorso nel Mediterraneo sembrano oggi relegate in un ruolo molto marginale. Amnesty International ha dichiarato: “Invece di agire per salvare vite e fornire protezione, i ministri esteri europei stanno vergognosamente dando priorità a irresponsabili accordi con la Libia nel tentativo disperato di impedire a migranti e rifugiati di raggiungere l’Italia”.