L’impressionismo di Monet, in mostra a Palazzo Reale a Milano, come esempio di creatività senior
Una serie di tele di Claude Monet, il grande pittore francese padre dell’ impressionismo (nato a Parigi nel 1840 e morto a Giverny nel 1926 ) sono esposte in una importante mostra a Palazzo Reale a Milano fino alla fine del prossimo gennaio (Monet, Opere dal Musée Marmottan Monet di Parigi). Sono in gran parte tele che provengono dal Museo Marmottan di Parigi, dedicato alle opere del grande pittore. Il museo parigino – la cui storia è raccontata nel percorso della mostra – è stato creato grazie a una generosa donazione avvenuta nel 1966 da parte del figlio del pittore, Michel Monet: con un lascito realizzato molti anni dopo la morte del padre, contiene oggi un grande nucleo delle opere del pittore.
La mostra di Milano è un’occasione importante per scoprire, o rivedere, diverse tele che il pittore francese ha realizzato nel corso della sua lunga vita. Un esempio di grande creatività che si è rivelata con maggiore intensità negli anni della maturità, quando, dopo la realizzazione di alcune tele di paesaggio anche con figure, attratto dal verde e rigoglioso paesaggio della Normandia, affittò e poi acquistò un casolare a Giverny – un piccolo villaggio di qualche centinaio di abitanti, a una sessantina di chilometri da Parigi – e ne fece il suo studio e la sua abitazione. Un luogo che nel tempo divenne definitivo per lui e la sua famiglia. Sono anni in cui Monet elabora con rigore le sue scelte, e anni in cui si rafforza la sua stabilità familiare, si sposa, fa due figli (Michel, il maggiore era nato nel 1878 e morirà nel 1966).
Una maturità quella di Claude Monet che si rafforza, negli anni che passano, soprattutto a livello creativo e artistico. La scelta di vivere a Giverny, lontano dai centri artistici di moda e di creare, proprio nella sua tenuta, un nuovo giardino, un piccolo ponte e un ruscello è soprattutto una scelta artistica. Infatti sono gli anni, quelli della fine Ottocento, in cui si espande, in molti Paesi europei, l’amore, il gusto per l’arte giapponese. E questo interesse stimola Monet a cercare nuove fonti di ispirazioni: una creatività sempre vigile che si rivelò e si accentuò, nella ricerca di nuovi soggetti e nuove composizioni, persino negli anni della vecchiaia.
In effetti, proprio negli ultimi decenni della sua vita, Claude Monet, stabilitosi a Giverny, cerca di esprimersi con delle immagini che sono molto nuove e sorprendenti nella pittura degli impressionisti, o di altri artisti. In un certo senso appaiano più trasfigurate, o addirittura astratte: le “Nympheas” e poi le “Roses” che dipinge in realtà rappresentano, con i riflessi e le sfumature della luce, le variazione cromatiche di quelle ninfee e di quelle piante: orchidee, narcisi, dalie, ninfee, iris, glicini, salici che lui stesso aveva piantato nel suo giardino, creando dei piccoli stagni in cui immergerle per farle crescere liberamente. E in cui le diverse piante erano abbondantemente irrorate e spiccavano nelle loro variazioni di luce e di colore. Tanto che a un certo punto Monet sarà portato a sottolineare i suoi interessi per quella strana sorta di “giardinaggio” che lui stesso si era inventato e dirà: ”Il mio più bel capolavoro, è il mio giardino”.
Claude Monet trascorre a Giverny oltre 40 anni della sua vita e osserva e studia il suo giardino, con le sue piante e i suoi fiori per rappresentarli su delle tele che sono dei capolavori.
Negli anni della vecchiaia ha qualche difetto alla vista per una cataratta a un occhio, ma questo fatto increscioso non lo disturba nel lavoro, perché la sua grande immaginazione lo porta a superare la definizione netta delle cose, e a rappresentarle piuttosto nei riflessi e nelle ombre, procurate dalla luce che si espande nei contorni dei fiori e delle piante che crescono immerse nell’acqua e si riflettono nell’acqua degli stagni, che sono come una sorta di ruscelli artificiali .
Inoltre l’arte giapponese era impostata sulla rappresentazione bidimensionale e quindi sul colore piatto e l’assenza di chiaroscuri. Monet si ispira all’arte nipponica soprattutto nelle grandi tele che rappresentano le sue ninfee, viste semplicemente in lontananza e con una inquadratura presa dal basso.
A proposito dell’acqua, dei laghetti in cui spesso il pittore aveva fatto crescere i fiori, come per renderli più rigogliosi e sfumarne i contorni, è anch’essa un elemento che dona alle immagini dei fiori un contorno più sfumato. Tanto che il poeta Paul Claudel scriveva nel 1927: “Grazie all’acqua, Claude Monet si è fatto pittore indiretto di tutto ciò che non si vede chiaramente. Egli si rivolge a questa superficie quasi invisibile e spirituale che separa la luce dal suo riflesso. L’azzurro aereo prigioniero dell’azzurro liquido. Dissoluzione delle forme nette, senso dell’infinito, visione del mistero”.
La serie delle Ninfee è un ciclo di circa 250 pitture a olio realizzate durante gli ultimi 31 anni di vita di Claude Monet, dal 1895 al 1926 e rappresentano, per molti studiosi, il momento più compiuto e avanzato del suo lungo ciclo creativo: una sorta di testamento di un artista che ha dedicato gran parte della sua vita a studiare i continui cambiamenti della luce nel paesaggio.
Non a caso i tanti dipinti con le grandi Ninfee che sono esposte da molti anni nelle sale ovali del Museo dell’Orangerie, situate all’interno dei famosi Giardini delle Tuileries (molto vicino al Museo del Louvre e a Place de la Concorde, nel centro di Parigi ) sono state definite da molti critici “la Cappella Sistina dell’Impressionismo”. Si tratta di un ciclo di grandi dipinti donati dallo stesso Monet alla Francia all’indomani dell’armistizio della prima guerra mondiale come simbolo di pace. Quasi cento metri lineari di superficie dipinta in cui si rappresenta un paesaggio d’acqua contornato di ninfee, rami di salici, riflessi di alberi e di vaghe nuvole. Dipinti che circondano lo spettatore, dando la sensazione di uno spazio infinito.
Il museo dell’Orangerie è visitabile ed è bener, in occasione di un viaggio a Parigi, andare a vedere anche questa meraviglia impressionista.