Il palcoscenico del Teatro dell’Elfo, lo studioso di arte rinascimentale Antonio Forcellino, con un leggio e uno schermo in cui si proiettano immagini, e la riscoperta nei tratti più nascosti di un grande personaggio, Leonardo da Vinci. La “lezione di storia” fa parte di un ciclo che, dato l’interesse del pubblico, si ripeterà. Io c’ero.
Di Leonardo molti di noi conoscono alcune opere famose, come “La Gioconda” o la” Vergine delle rocce” che sono conservate al Louvre. Certamente abbiamo sentito parlare de “La dama con l’ermellino” che ritrae Cecilia Gallerani, la giovane amante di Ludovico Sforza, il Duca di Milano (recentemente la piccola tavola dipinta a olio è stata acquistata dal governo di Varsavia e fa parte delle collezioni pubbliche della Polonia).
Più vicino a noi, molti hanno visitato il Cenacolo a Santa Maria Delle Grazie a Milano. La cultura scientifica e matematica di questo nostro geniale artista è abbondantemente rappresentata nei musei con disegni, opere, modelli dei progetti e delle macchine che ha inventato. Leonardo, oltre che pittore era anche ingegnere, scultore, architetto e musico. Su di lui e le sue opere si è costruito un mito, ma in tanti casi la realtà spesso tormentata dell’uomo e dell’artista è rimasta in ombra.
Nella lezione di storia tenuta al Teatro dell’Elfo, il professor Antonio Forcellino, attento al contesto storico e ai risvolti psicologici dei personaggi, ha raccontato alcuni episodi della vita di Leonardo da cui sono emersi particolari poco conosciuti della personalità del geniale artista.
A partire dalla sua nascita, avvenuta la sera del 15 aprile 1452 nel piccolo borgo di Vinci, nella Val d’Arno, non lontano da Firenze. Nella campagna i contadini si godevano i profumi della fioritura dei pruni e dei meli, sparsi nell’aria dalla prima brezza notturna. In una rustica casupola di pietra e mattoni una giovane contadina, Caterina, mette alla luce un bambino cui danno il nome di Leonardo. Il bambino sta bene e le donne che l’accudiscono lo presentano al nonno ottantenne, Antonio di Ser Piero da Vinci, notaio in ritiro, che possiede quelle terre e divide con i familiari una casa onorevole e il podere. Il figlio Ser Piero, anch’esso notaio, è il seduttore della giovane e bella contadina. Sembra che l’abbia sedotta con prepotenza, ma si rifiuta di riconoscere il bambino nato dalla umile contadina, e sposerà nello stesso anno una donna della buona borghesia che però non gli darà figli….
Leonardo rimarrà figlio illegittimo, o “ naturale”, come scrivono gli storici, tutta la vita. Crescerà in quella campagna circondata da colline, accettato in qualche modo dal nonno Antonio che lo annoterà nel suo registro familiare e lo farà battezzare, ma non potrà mai aspirare a pieno titolo alle eredità familiari, sia materiali sia ideali. In seguito, sistemata la madre con un matrimonio riparatore, Leonardo andrà a vivere con il nonno Antonio, la nonna Lucia e lo zio Francesco.
Ma, in quanto figlio illegittimo, non riceverà una regolare forma di istruzione che prevedeva per le famiglie borghesi fiorentine l’insegnamento della grammatica italiana, nozioni di matematica e soprattutto di latino. Probabilmente è lo zio Francesco che gli insegna a leggere e a scrivere. Leonardo è mancino, ma imparerà a scrivere con tutte e due le mani. Più tardi, con una certa provocazione, si proclamerà “omo sanza lettere” ma, con una irrefrenabile volontà di riscatto, si cimenterà in nuove forme di conoscenza e in imprese straordinarie.
Cresciuto libero dai doveri di una scuola rigida, ha un forte rapporto con la natura, una intelligenza e capacità di analizzare le cose straordinarie, e la possibilità di scrivere, disegnare e annotare su fogli di carta tutto quello che lo interessa (nella casa dei notai la carta non manca mai).
Sono tantissimi gli scritti e i disegni preparatori di opere pittoriche e ricerche di anatomia, matematica, scienza, astronomia, architettura che Leonardo continuerà a fare e raccogliere per tutta la vita, e che confluiranno poi alla fine del Cinquecento, per opera dello scultore Pompeo Leoni, su grandi fogli in quel complesso che viene chiamato “ Codice Atlantico”, conservato nella Biblioteca Ambrosiana.
Verso i quattordici o quindici anni, morti i nonni, Leonardo spinto dal padre che non lo accoglie però in casa sua, si trasferisce a Firenze e viene avviato a un lavoro apparentemente artigianale nella bottega di Andrea del Verrocchio. Il Verrocchio fu un generoso maestro che accolse il giovane con affetto e gli diede la possibilità di sperimentare e portare avanti in primo luogo la sua manualità, e poi gli insegnò a confezionare i materiali per la pittura e la scultura e i primi elementi dell’arte pittorica.
Già nella bottega del Verrocchio, con le prime ricerche pittoriche, Leonardo rivela una intelligenza fuori dal comune e fa rapidi progressi realizzando molto giovane – era vicino ai venti anni – opere sorprendenti fra cui una Annunciazione, oggi conservata alla Galleria degli Uffizi ( i commenti sull’opera giovanile non sono tutti favorevoli e concordi, in passato il quadro è anche stato attribuito al Ghirlandaio) . La tavola di legno di pioppo dipinta ad olio e tempera rappresenta la scena di Maria e l’angelo che le annuncia la nascita di Gesù. Nella corte di una casa signorile circondata da un muro di pietra, Maria e l’angelo sono in primo piano. Maria è intenta a leggere, seduta davanti all’uscio aperto della casa, l’angelo è ripreso di profilo e allunga il braccio destro in segno di saluto. Sullo sfondo uno straordinario paesaggio, con le sagome scure e nitide dei cipressi e delle querce tipiche della campagna toscana, e più lontano le montagne quasi sfocate nel cielo. Leonardo adopera in un modo nuovo le luci. Sul braccio dell’angelo e sulla veste della Madonna appaiono sfumature tali da metterne in rilievo i dettagli. Sembra così che Leonardo abbia creato un modo di rappresentare le figure più vicino alla realtà e più moderno, rispetto alla pittura del tempo.
In quegli anni Leonardo ha fatto tanti progressi nell’arte di dipingere e si è iscritto come “maestro dipintore” nella apposita corporazione dei pittori, ma continua a lavorare nello studio del Verrocchio e a cercare committenti.
Gli viene commissionata una pala per il Palazzo Veccho che non riesce a portare a termine. Uno dei motivi per cui allora non riesce a mettere a frutto il suo talento è nel fatto che nel 1476 viene coinvolto, insieme ad altri giovani di ottime famiglie, in una denuncia anonima di sodomia per aver abusato di un giovane apprendista orafo “che va dietro a molte miserie e consente compiacere a quelle persone che lo richiegono di simili tristezze”… La denunzia viene analizzata dagli Ufficiali di notte e Conservatori dell’onestà dei monasteri che si limitano a fare una ammonizione.
Sembra che a quei tempi non fosse raro a Firenze frequentare, insieme ad altri giovani, una sorta di prostituto. L’omosessualità maschile era una pratica diffusa e tollerata in città, ma non lo era la sua sfacciata esibizione, cosa che emerge nel gruppo dei giovani a cui Leonardo si associa, che ostentavano modi arroganti e lussuosi vestiti “neri” segno di una eleganza particolarmente costosa.
Gli scarsi documenti che ci sono pervenuti attestano solo che all’età di venticinque anni Leonardo, già riconosciuto per il suo straordinario talento di pittore, non è particolarmente produttivo, vive a casa del Verrocchio insieme a Lorenzo di Credi e ad altri garzoni e frequenta un giro di omosessuali.
Alcuni studiosi hanno cercato di entrare nei meandri della personalità di Leonardo e hanno mostrato le sue “debolezze” e i suoi lati umani più nascosti, non per per una morbosa curiosità, ma per una migliore comprensione del suo gusto artistico. Uno studio di Freud sulla sessualità di Leonardo parte dal ricordo di un sogno che Leonardo ha annotato nei suoi appunti, molto tempo dopo la denuncia, quasi consapevole delle sue pulsioni sessuali e delle sue inclinazioni più oscure.
“ Questo scriver distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima ricordazione della mia infanzia mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprisse la bocca colla sua coda e molte volte mi percotesse con tal coda dentro alle labbra.” Per Freud questa immagine rievocata è una fantasia omosessuale, molto probabile e molto comune in certi ambienti, e porta a sostegno della tesi l’antico simbolismo che nei Paesi latini associa il membro virile agli uccelli, da cui deriva il più diffuso dei suoi nomi impropri.
Secondo Freud Leonardo sublima la propria inclinazione omosessuale e rinunzia ad “agirla” riducendola a motore della propria creatività. Ma Leonardo, appropriandosi di una antica tradizione, annota che il nibbio è il simbolo dell’egoismo paterno perché non sopporta la felicità dei figli e arriva a ferirli crudelmente con il becco, quando li vede in buona forma. A conclusione Freud si scusa di aver preso in esame una materia tanto vile, timoroso di infrangere l’immagine del genio occidentale tanto amato.
Tra la fine del 1482 e gli inizi del 1483, date le difficoltà riscontrate anche nel lavoro, Leonardo lascia Firenze e va a vivere a Milano. Scrive a Ludovico Sforza proponendosi per la realizzazione del monumento equestre al duca Francesco, padre dello stesso Ludovico, nella corte del Castello. Era previsto un cavallo di bronzo alto sette metri. I lavori andranno avanti anni, ma Leonardo, pur realizzando un modello del cavallo in creta che risulterà una meraviglia, non concluderà l’opera in bronzo. Del lavoro preparatorio rimangono tuttavia alcuni suoi bei disegni e studi che dimostrano con quanta originalità egli si era cimentato nella scultura.
Di Cecilia l’allora diciassettenne Ludovico il Moro era innamoratissimo e non riuscirà per anni a distaccarsene. Cecilia era di origini borghesi, colta, conosceva il latino, un fatto raro per le donne in quell’epoca, componeva poesie ed era appassionata di letteratura. Nel ritratto realizzato da Leonardo, Cecilia ha una posa insolita di tre quarti, con una torsione del busto verso l’osservatore, il volto è perfetto e ha delicate velature e sfumature, il sorriso è appena accennato. Una sensazione di serenità, e tanti altri particolari ne fanno un ritratto straordinario apprezzato e lodato da Ludovico il Moro e da tutta la corte. Sembra che Leonardo abbia, con questo indiscusso capolavoro, superato l’osservazione della realtà che tanto lo intrigava in quel periodo ed abbia colto il significato più nascosto del ritratto e del messaggio di Cecilia.
Seguiranno per lui gli anni di preparazione del Cenacolo nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, che immagina realizzare con una sorta di azione teatrale dei personaggi dell’ Ultima Cena e del loro comportamento. E rappresenta le varie reazioni degli apostoli accanto a Gesù, studiandone i gesti e i particolari, in una sorta di sceneggiatura e regia. Ma si sa che nel tempo si sono persi alcuni dettagli perché i materiali usati nel grande affresco si sono terribilmente alterati.
Nel 1500, con la fine della corte degli Sforza e l’assedio di Milano da parte delle truppe francesi, Leonardo torna a Firenze portando con sé i suoi risparmi che deposita nell’Ospedale di Santa Maria Nuova. Si tratta di una fortuna molto modesta, 600 fiorini, un quarto di quanto riceveva Michelangelo a Roma per una sola scultura.
Nel 1504 muore suo padre senza legittimarlo, lasciandolo per sempre in quella posizione di rifiutato, dal quale non era servita a riscattarlo la fama, e non gli lascia alcuna eredità.
Due anni dopo lo zio Francesco che lo aveva protetto nell’infanzia gli lascia una parte consistente dei suoi beni, ma il fratellastro di Leonardo, Giuliano notaio come il padre, impugna il testamento per espropriare Leonardo di quell’unica eredità dei Vinci.
Questa esclusione addolora Leonardo che la vive come una persecuzione morale e ne prende nota con sdegno nei suoi appunti, che saranno poi raccolti nel Codice Atlantico. Sempre in cerca di committenze scrive persino una lettera al sultano di Istanbul Bajazet II ( è ritratto da Giovanni Bellini) che voleva costruire un ponte sul Bosforo, e gli offre i suoi servigi di ingegnere, ma l’offerta cade nel vuoto .
In quegli anni Leonardo vive con un ragazzo, Giacomo che è rozzo e ignorante ma determinato e gli fa da garzone nello studio. Bello e spregiudicato, con riccioli biondi che gli scendono sulle spalle, il ragazzo viene chiamato Salai, come uno dei diavoli protagonisti di un’opera che ha successo a Firenze, il Morgante di Luigi Pulci. Leonardo se ne è innamorato, gli compra un nuovo guardaroba e nonostante il ragazzo gli rubi soldi nella borsa, lo porterà spesso con sé e gli farà anche un disegno con il fallo eretto.
Nel 1513 Leonardo si trasferisce a Roma, ma è un periodo doloroso perché non gli viene commissionato nessun lavoro -aveva compiuto sessant’anni- e ritorna di nuovo a Milano. Francesco I re di Francia, che conosceva e apprezzava le sue opere, lo invita in Francia e lo ospita nel castello di Cloux, vicino ad Amboise. Nel piccolo ed elegante castello in riva alla Loira
Leonardo termina alcuni dipinti che sono un po’ il suo testamento pittorico fra cui “la Vergine con Sant’Anna e il bambino”.
Nel 1517 Leonardo riceverà la visita del cardinale d’Aragona, amico del papa e dei Medici. I dipinti mostrati al visitatori sono dei perfetti capolavori -annota il segretario del cardinale – e l’originalità della composizione basterebbero da soli a fare di Leonardo uno dei grandi pittori del Rinascimento italiano: la “Sant’Anna, la Vergine e il bambino, il “San Giovanni,” e il ritratto di “ certa donna fiorentina” conosciuto oggi come “ la Gioconda” .
Il 2 maggio 1519 Leonardo muore nella calma di Amboise , dopo aver riordinato i suoi quaderni .
Molti particolari della sua vita sono raccontati nel libro di Antonio Forcellino, “Leonardo genio senza pace”, edito da Laterza.