Durante i continui sbarchi a Lampedusa e nel mezzo delle polemiche con l’Unione europea, il presidente Napolitano ha ricordato a tutti che c’è bisogno di Europa, di un’Europa che parli con una sola voce. A prescindere da come la si pensi, è innegabile infatti che l’Unione europea semplicemente non c’è – o al massimo gioca un ruolo subalterno a quello degli stati – quando si tratta di temi estremamente delicati come la politica estera, la sicurezza, l’immigrazione. Tutti temi, è bene ricordarlo, su cui vige l’unanimità in Consiglio e quindi qualsiasi proposta necessita dell’approvazione di tutti i 27 paesi membri.
Malgrado le continue pressioni migratorie registrate nell’ultimo decennio, non solo dal Mediterraneo ma anche dai Balcani e dall’Est Europa, non sono state attribuite nuove e significative competenze all’Unione in questo campo nemmeno dal nuovo Trattato di Lisbona che si limita, all’art. 80, a un blando richiamo alla solidarietà europea e al “burden-sharing”. Ne consegue che su questi temi si rientra al massimo nell’ambito delle competenze concorrenti, in cui l’azione dell’Unione può sovrapporsi – entro certi limiti – a quella dei singoli stati; ad esempio, la Commissione potrebbe negoziare con i paesi della sponda sud del Mediterraneo le condizioni di rimpatrio degli immigrati clandestini, ma ciò non impedisce comunque ai singoli stati di concludere specifici accordi bilaterali.
Con questi vincoli è difficile aspettarsi iniziative ambiziose da parte delle istituzioni comunitarie. La stessa agenzia Frontex rappresenta un semplice organo d’ispezione e coordinamento che non riesce a fare molto di più, se non altro perché può contare su un budget modestissimo (appena 88 milioni di Euro nel 2011; erano ancor meno – 22 milioni – nel 2008). Molto angusto è anche l’ambito di applicazione di un altro strumento, ovvero la Direttiva 55 del 2001, la cui attivazione è stata richiesta a gran voce dal governo italiano. Questa normativa permetterebbe il trasferimento degli immigrati nei vari paesi membri ed era stata originariamente pensata per la gestione dei flussi migratori provenienti dai Balcani (diretti in gran parte in Germania e di gran lunga più consistenti dei recenti flussi dal Mediterraneo). In realtà tale Direttiva non è mai stata usata – nemmeno nel caso dei Balcani – stante il carattere di assoluta straordinarietà che la sua attivazione richiederebbe. I ministri degli Interni riunitisi a Lussemburgo lo scorso 11 aprile non hanno ravvisato alcuna straordinarietà, almeno per il momento, nei 20-25.000 sbarchi a Lampedusa e, pur venendo meno allo spirito solidaristico che sta alla base della stessa costruzione europea, hanno optato per una decisione corrosiva ma giuridicamente ineccepibile.
Stesso discorso vale per l’atteggiamento francese nei confronti dei permessi di soggiorno provvisori concessi dall’Italia; l’Accordo di Schengen del 1985 e il Codice Frontiere di Schengen del 2006 sostengono che un migrante può spostarsi da un paese membro all’altro a patto che abbia documenti di viaggio/soggiorno validi e risorse economiche adeguate (che la Francia ha indicato in 31 euro al giorno, o 62 Euro se non ha una residenza). Si tratta, ancora una volta, di una posizione giuridicamente ineccepibile, ma politicamente sgradevole soprattutto se proveniente da un paese così vicino (e non solo geograficamente) all’Italia. È dunque un vuoto lasciato dalla politica europea ben prima che esplodessero le recenti rivolte nei paesi arabi ad aver determinato l’inazione dell’Unione e la conseguente irritazione del governo italiano. Dovrebbe essere una nuova iniziativa politica – magari già in occasione del prossimo Consiglio di giugno – a porvi rimedio. L’auspicio è che la lettera congiunta dei presidenti Berlusconi e Sarkozy in occasione del recente summit non rappresenti semplicemente uno strumento per far dimenticare i dissapori tra i due paesi ma possa attivare un’iniziativa di ampio respiro che individui nuovi strumenti, competenze, risorse umane e finanziarie.
La commissaria Malmström sta già avanzando delle proposte e lo stesso ha fatto l’Italia per voce del ministro Maroni suggerendo ad esempio l’accelerazione verso un sistema di asilo comune e la trasformazione di Frontex da organo di coordinamento ad agenzia operativa (anche se appare improbabile che i paesi membri accettino l’idea che ai propri confini ci siano dei funzionari comunitari). Le proposte specifiche dunque non mancano. Quello che però ancora una volta sembra scarseggiare è la volontà politica di inserire il tema delle migrazioni in una discussione ben più ampia che tenga conto, da un lato, delle politiche verso i paesi di provenienza dei migranti (ad esempio riformando profondamente le politiche di vicinato e cercando di imparare da iniziative fallimentari come l’Unione per il Mediterraneo) e, dall’altro, renda concreto il richiamo alla solidarietà e al “burdensharing” contenuto nei Trattati, riformando Schengen e predisponendo risorse finanziarie adeguate nel bilancio Ue (anche in vista della prossima discussione sulle prospettive finanziarie pluriennali).
Purtroppo il difficile momento economico attraversato dai paesi membri e le prossime scadenze elettorali non spingono a essere ottimisti verso un recupero della politica in Europa.
(Fonte: ISPI – Antonio Villafranca)