Design, Casa, Ambiente… argomenti interessanti per grey panther che stanno al passo con i tempi e vogliono capire nuovi trend e tendenze. E, allora, ecco una chiacchierata con un architetto d’eccezione: Arturo Dell’Acqua Bellavitis*, che di questi argomenti conosce tutte le possibili accezioni. Ed è anche l’occasione per capire finalmente come mai in Italia la popolazione media, quella che oggi sente in sofferenza il proprio potere d’acquisto, sia refrattaria al Design, lo percepisca come freddo e cerebrale, poco pratico, troppo caro, talvolta persino non ergonomico…
“La maggior parte delle persone considera il Design solo relativamente all’arredo e agli apparecchi illuminotecnici, ne valuta unicamente le componenti espressive, estetiche, i fatti morfologici. Il messaggio da veicolare è un altro: il Design ci coinvolge in toto, in ogni momento. Da quando al mattino facciamo colazione: ad esempio, la forma del biscotto, l’impasto stesso, sono progetti codificati. La confezione Tetrapac del latte ha richiesto un intervento di ideazione preciso, in funzione di un processo produttivo. In ogni momento il Design è intorno a noi, molto più a portata di mano di quanto pensiamo, più ‘facile’, più economico. Quello che noi pensiamo come Design è un settore limitatissimo di tutto il comparto, di grande immagine, certamente, ma che non esaurisce il tema.
Il Design, invece, è una catena di lavoro, che parte dal Progetto (che permette di prefigurare i bisogni futuri degli utenti, e i bisogni reali che talvolta non vengono neppure espressi), si compie in una Soluzione di Progetto, quindi richiede un dialogo con un produttore che ci creda, e con l’impiego di una vasta serie di professionisti: il modellista, i tecnici legati all’ingegnerizzazione del prodotto, alla loro distribuzione. La distribuzione, per esempio, è importantissima: circa 20 anni fa Nanni Strada progettò i vestiti ‘stropicciati’. Non aveva una rete distributiva efficace e così questi abiti sono arrivati solo a pochi happy few. Issey Miyake, dodici anni dopo, ha preso lo stesso progetto e ne ha fatto un successo mondiale. Grazie alla distribuzione.
I giovani non devono puntare a fare il Designer e diventare stilista, ma con un’attenta lettura delle proprie capacità possono inserirsi in modo efficace nella filiera produttiva, che dà lavoro e molte soddisfazioni. L’immagine falsa e superficiale del Designer serve forse solo ad alimentare un mito.
Su questo settore di fatto si regge gran parte della nostra economia, perché noi siamo fondamentalmente un Paese manifatturiero: Il Brand Italia e soprattutto il Brand Milano, all’estero, è sinonimo di buon gusto, di Moda e Design. Questo successo indirettamente aiuta una serie di realtà. Chi produce macchinari per fabbricare le piastrelle italiane, per il solo fatto di contribuire a questa produzione di qualità, vede i suoi impianti i richiesti in Cina e in Giappone”.
Il messaggio arriva forte e chiaro, eppure resta difficile credere a un Design democratico…
“La mostra scelta quest’anno dalla Triennale a Milano – Serie – fuori Serie – intende proprio far capire cos’è il Design democratico; e si comprende anche come i grandi brand italiani, per riuscire a vendere il prodotto italiano ai costi di produzione, si siano posizionati su quotazioni sempre più alte. Il Design della Ricostruzione, dagli anni Cinquanta in poi, aveva un’ideologia forte: quella di offrire un buon prodotto per tutte le tasche. Pensiamo alla superleggera di Ponti: era una seduta che la buona borghesia poteva permettersi. Oggi una superleggera costa 1200 euro, ed è evidente che non è per tutti. Le materie plastiche, nate con Moplen, innovative dal punto di vista tecnologico, si presentavano come un buon prodotto di larga diffusione, che poteva alimentare una produzione popolare. Poi il materiale è stato sfruttato a livello industriale ed è diventato un marchio prezioso.
Tradito per i costi elevati della nostra mano d’opera, non valorizzato nella catena distributiva in Italia (troppi negozi e troppo piccoli) il Design popolare italiano non è cresciuto come avrebbe potuto. E d’altra parte, nel contempo, c’era sempre un segmento del mercato mondiale che comprava i nostri prodotti a qualsiasi prezzo”.
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*Arturo Dell’Acqua Bellavitis
Un curriculum difficile da sintetizzare e una mobilità operativa, in Italia e all’estero, senza limiti. È appena tornato dal Brasile, parte per l’Australia, quando rientrerà sarà la volta dell’India (e dappertutto sono convegni, lezioni, seminari, accordi per promuovere le attività istituzionali di cui si occupa) e, poi, di nuovo a Milano, tra lezioni, discussioni di laurea, rapporti con studenti e design stranieri arrivati nel nostro Paese, alla conquista di quel gusto (quello dei bravi artigiani italiani) che ha conquistato il mondo… Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Presidente del corso di laurea in Fashion Design e professore ordinario di Disegno Industriale, nonché Direttore del Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano, è anche Vicepresidente della Fondazione Triennale di Milano ed estensore del progetto del Museo del Design (della cui Fondazione è oggi Presidente). Inevitabile chiedergli in quale di questi ruoli si destreggia con maggior passione“Essere Presidente nella Fondazione Museo del Design significa confrontarmi sulla progettazione, ma soprattutto assumere una carica onorifica. In Triennale ci sono un Direttore scientifico del Museo, un Direttore della Fondazione, ci sono autorevoli curatori scientifici… a me spetta anche la delicatezza di valorizzare e salvaguardare i ruoli di tutte queste persone e quindi spesso di fare anche qualche passo indietro”“Al Politecnico, essere Direttore di Indaco è soprattutto una qualifica di operatività, una carica per cui sono stato eletto da tanta gente. Se il consenso può essere considerato un parametro del mio impegno, quella universitaria è certamente un’operatività oggi più pressante, che richiede scelte culturali e di strategia, in cui credo molto.Nel Dipartimento, sono indotto a prendere posizione, a volte anche in modo impopolare. Personalmente, però, sono un interventista, e questo è un aspetto del mio carattere che mi piace. Non risolvo i problemi del mondo, ma quando me ne andrò dall’Università, so che lascerò un Dipartimento più strutturato, più legato all’Ateneo, più produttivo in termini di ricerca e di valorizzazione delle risorse umane”.
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Molto interessante l'articolo di ... (non so come preferisce esser citato: prof, architetto, direttore, ingegnere ...) Bellavitis.
Mi sembra importante la spiegazione che il DESIGNER, cioè colui che si occupa di Design è un professionista che opera nell'ambito dell'industria e del businness e ne rispetta le regole e non un astratto artista che inventa bei disegni irrealizzati ed irrealizzabili.
Penso che questo sia il messaggio importante dellla nota che dovrebbe arrivare a tutti quelli che vorrebbero iniziare la carriera del designer.
Le osservazioni del prof. Bellavitis sono incisive . La mia riflessione da non addetta ai lavori pone alcune domande : come mai un Museo del Design è nato a Milano solo due anni fa ? e un riconoscimento in forma istituzionale del progetto industriale con corsi di laurea , una vera scuola di design è nata in italia solo negli anni novanta?
La cultura di un progetto "democratico" è rimasta per anni patrimonio di alcuni illuminati teorici (vedi Tomas Maldonado) o addetti ai lavori (Enzo Mari, Achille Castiglioni ) e non so per quali ragioni, economiche e politiche non si sia diffuso. Ecco: che il design non sia cresciuto "per i costi elevati della nostra mano d'opera e le carenze della catena distributiva" sono ragioni sufficienti o ci sono altre responsabilità ?