Dice Silvia Vegetti Finzi che nel regno animale non ci sono i nonni, la nonnità è una condizione esclusivamente umana, connotata da una situazione di libertà: dunque si può inventare la nonnità.
A volte, nella nostra vecchiaia, ci scontriamo con molte difficoltà nella relazione con i nostri figli adulti, anche con fratelli e sorelle, con nuore e cognate.
Ma c’è una relazione che, a parte dolorosi casi particolari, sembrerebbe assumere un aspetto giocoso, nutritivo, allegro, appagante. Ed è una relazione proprio legata alla nostra età: la relazione con i piccoli, con i nostri nipotini. Vorrei porre l’attenzione proprio sull’aspetto della soggettività della relazione.
Non intendo dunque parlare della nonnità come pilastro fondante del welfare italiano, che pure è fondamentale perché con le madri e i padri che lavorano, con gli scarsissimi sevizi sociali esistenti, soprattutto per l’età che va da zero a tre anni, sono le nonne (anche i nonni) che intervengono. A portarli e riprenderli a scuola, durante le vacanze, in situazione di emergenza, …. A volte lo fanno con fatica, ma spesso lo fanno con grande piacere perché l’incontro con i piccoli ci mette in relazione con la parte bambina di noi. In fondo la tenerezza che proviamo per loro è anche la tenerezza con cui guardiamo a noi stessi piccoli.
Ma c’è una domanda che non ci poniamo molto. Ed è: ma loro come ci vedono? E ora parlo soprattutto delle nonne. Vecchie, vecchissime? Lente, lentissime? Severe, severissime? Dolci, dolcissime? Forti, fortissime? Fragili, fragilissime?
Le interpretazioni possono anche variare perché i bambini sono furbissimi e a seconda della loro convenienza tu puoi diventare una lumaca se loro vogliono arrivare in fretta (ad esempio al negozio dei giochi) e il momento dopo puoi essere supersonica quando c’è da mettere in ordine qualcosa.
Ma forse la loro visione dipende anche da come noi ci presentiamo a loro. E allora mi piace riportare quello che ha scritto Sumi, una bambina di nove anni:
“Certe nonne sono vecchie certe nonne sono giovani, certe nonne sono arroganti certe nonne sono gentili, certe nonne stanno sempre per i fatti loro, certe nonne hanno bisogno di comunicare, ma tutte, proprio tutte hanno esperienza. Certe nonne hanno la passione per la musica, certe nonne hanno stile, certe non hanno amore, certe nonne hanno bisogno di tranquillità. Io sono una bambina e vedo la mia nonna così.”
(Da un convegno a Bellinzona su“Incontrare la vecchiaia”)
Dunque la bambina Sumi ha una visione a 360 gradi della nonnità, in fondo non prende posizione su come vede la sua nonna. Vede, però, le differenze. Ma vede anche un filo rosso che lega tutte le nonne: la loro esperienza. E mi sembra che possiamo far tesoro della “saggezza” della bambina Sumi, che ci attribuisce questa qualità. Perché avere esperienza significa anche imparare dall’esperienzae ammettere che anche sbagliando si impara. Quindi non nonne onnipotenti, non nonne che sanno tutto perché “hanno esperienza”, ma nonne che riescono a confrontarsi anche con i bambini, che imparano anche da loro, che li ascoltano. Perché i bambini hanno molte cose da dire se si ha la pazienza di ascoltarli davvero.