Nei rigurgiti populisti che animano le vicende parlamentari, colpisce in particolare la forza con cui torna uno stereotipo antico come il mondo, per la verità mai uscito di scena: la discriminazione sessuale.
Sono prevalentemente sessuali le qualità valutate nelle donne che raggiungono posizioni rilevanti, seppure sedere in Parlamento sia ancora un indicatore di prestigio.
Alle donne di schieramenti diversi dal proprio, non si riconosce solo il ruolo di antagoniste politiche ma un disconoscimento che continua a passare per la loro fisicità.
Così assistiamo a performances sguaiate da parte di uomini che rivelano uno spessore umano – oltre che politico – davvero scadente.
A chi verrebbe in mente di indagare sulle preferenze sessuali degli onorevoli parlamentari uomini? Ma quanto alle donne, per definizione, il loro valore passa di lì, per cui è lecito chiedersi cosa farne della Presidente della Camera se un uomo se la ritrovasse in macchina in una serata buia.
E noi donne, cosa potremmo farne della quasi totalità di deputati e senatori da questo punto di vista?
Le questioni messe in campo da queste vicende sconcertanti sono molte, limitiamoci ad alcuni spunti di riflessione.
– Ancora una volta, lo scorso novembre, abbiamo ascoltato e fatto riflessioni per dire no alla violenza contro le donne. E questa non è violenza? Una violenza che nega qualsiasi diritto al rispetto in quanto persone.
– Gli insulti contro le donne s’inquadrano in un discorso pubblico fatto di turpiloquio più che di argomentazioni, in una logica di sfascio assai più che di impegno a costruire. Non esiste dunque una forma d’opposizione propositiva la cui qualità si veda anche nel linguaggio e nel rispetto delle persone, compresi gli avversari politici?
– Il clima che si viene a creare alimenta una caccia alle streghe che si riflette in altri contesti, ad es. il giornalismo, che diventa a sua volta vittima e carnefice insieme, a seconda di chi parla e chi ascolta, indipendentemente dal contenuto.
Denunciamo quindi una questione di metodo perché non è accettabile ricorrere all’offesa personale per questioni di sesso, per difetti fisici o, come nel caso della ministra Kienge, per essere donna e nera, tutti stereotipi che alimentano la subcultura politica in cui siamo immersi.
Senza “distinguo” tra sinistra o destra, le donne non meritano di essere colpite in quanto tali. Ma è anche vero che per 20 anni abbiamo assistito a carriere politiche fulminanti che hanno sbalzato soubrette e veline sugli scranni parlamentari nazionali e regionali con contorno di vicende picaresche e processi a conferma.
Non è la stessa cosa trovare in Parlamento donne giovani e carine ma anche laureate, con titoli professionali e percorsi che possono far sperare in qualche preparazione in campi diversi, cui magari potranno ritornare dopo una impegno parlamentare che non può diventare un mestiere a vita, con tutte le conseguenze che ben conosciamo.
Insomma la gazzarra in corso si sta sovrapponendo a problemi che incidono sulla nostra vita quotidiana per la quale si esigono soluzioni credibili che hanno bisogno di alimentarsi di un confronto politico tra persone degne di fiducia. Non ci piace il ricorso a sceneggiate ormai più drammatiche che comiche con tanto di stereotipi superati dalla realtà ma non dalla cultura diffusa. E la prima condizione è che il confronto si svolga nel rispetto per le istituzioni e per le persone.
Fonte: Consiglio Nazionale Donne Italiane
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Molto molto opportuno