Le chant de l’échiquier
Binchois & Dufay songs in the Buxheim Codex – Tasto Solo, Guillermo Perez – Passacaille (56’18)
Inedite sonorità, strumenti mai ascoltati: l’organetto, l’échiquier – realizzato dal clavisimbalum, a plettro ed a martelli -, animano questo splendido cd, facendo rivivere le musiche che di solito immaginiamo abitare austere e spoglie architetture gotiche, distraendo castellane fedeli ed annoiate in attesa del ritorno del crociato marito, approssimativamente consolate da garbati ed innocui menestrelli o da imboscati Lancellotti, trasudanti languidi sospiri d’amor cortese.
Risultato di un progetto senza precedenti, Tasto Solo nasce dall’ambizioso proposito di ridar vita a una delle tradizioni strumentali più affascinanti, anche se pressoché sconosciute ai nostri giorni, attraverso la lettura dei codici che racchiudono il repertorio per strumenti a tastiera del XIV e XV secolo. L’investigazione, la decifrazione dei manoscritti e la ricostituzione d’un inaudito (nel senso letterale del termine) strumentario medievale – grazie alla collaborazione di appassionati fattori, come il comasco Walter Chinaglia che ha «reinventato» l’organetto (lo strumento a destra, nella foto) – hanno permesso la realizzazione di questo disco raffinato e prezioso. Il programma si basa essenzialmente sulle ballate e i rondò – riportate dal codice di Buxheim – di Gilles Binchois e Guillaume Dufay, due dei più importanti compositori del medioevo, autori di Messe e musiche sacre ma anche di raffinate, animate o
L’échiquier – che deve il suo nome alla forma quadrata ed all’alternanza del bianco e del nero della tastiera è realizzato in questa preziosa registrazione dal clavisimbalum a martelli suonato da David Catalunya e dal clavisimbalum a plettro di Guillermo Perez – che è l’animatore ed il direttore artistico dell’ensemble e che suona anche l’organetto (una sorta di mini-organo portativo). Fiancheggiano queste magiche ed esoteriche sonorità la soave voce di Barbara Zanichelli, le arpe di Angélique Mauillon e Reinhild Waldek e il fiddle (una sorta di violino) di Pau Marcos.
à modo Italiano
Valente, De Macque, Mayone, Trabaci, Pasquini et al. – Javier Núñez: clavicembalo – Cantus ( 58’00’’)
Andando un po’ più avanti nel tempo, questo interessante cd di una giovane casa discografica spagnola, Cantus, da poco presente anche da noi, ci conduce alla seconda metà del ’500, nel cuore della scuola clavicembalistica italiana che, sino alla prima metà del secolo seguente, irradiò da Napoli, poi da Roma, Ferrara e Venezia attirando ed influenzando compositori da tutta l’Europa musicale dell’epoca. Gli autori in programma sono, in massima parte, ben poco conosciti (o noti piuttosto per le loro composizioni vocali) come poco conosciuto è questo interessantissimo periodo del primo barocco italiano.
Il sivigliano Javier Núñez è l’interprete intenso e sensibile di queste musiche, deciso, senza esitazioni nel tracciare oscuri, caravaggeschi (o gesualdeschi) panneggi (ascoltate il Ricercare del secondo tuono del ferrarese Luzzasco Luzzaschi o la Toccata quinta dell’organista napoletano Ascanio Mayone) per poi subitamente illuminarli delle esaltanti, scatenate cadenze del Tenore del passo e mezzo & La romanesca di Antonio Valente, anch’egli napoletano, o delle aeree, misteriose Stravaganze del materano Giovanni Maria Trabaci e del franco-fiammingo Giovanni de Macque.
Splendido per ricchezza di timbri e colori il suono del clavicembalo di Javier Núñez, costruito su un modello italiano di Giovanbattista Giusti (1681), e perfettamente registrato. Interessante la scelta dell’accompagnamento – per alcuni dei brani – del napoletanissimo colascione di Fahmi Alqhai (che abbiamo altrimenti ammirato alla viola da gamba) in una composizione di un anonimo italiano del XVII secolo che si intitola, appunto, Colascione, dell’arpa doppia di Sara Águeda nella Sonata di basso solo per cimbalo & arpa ò leuto di Gregorio Strozzi e delle percussioni di Pedro Estevan nel Tenore del passo e mezzo di Valente.
Quatuors à cordes opus 8 n°1 en ut mineur et n°3 en mi bémol majeur, et opus 10 n°3 en la majeur – Quatuor Ruggieri – Aparté (62’20)
Singolare personaggio, George Onslow. Francese, egli nacque a a Clermont-Ferrand nel 1784 in un’antica ed aristocratica famiglia inglese che uno scandalo aveva costretto ad abbandonare Londra per sistemarsi in Auvergne. Gentlemen farmer e castellano rispettato, sopravvissuto ai disordini che seguirono la Rivoluzione, egli fu compositore largamente ed unanimemente riconosciuto, per esser poi dimenticato ed ancor oggi raramente eseguito anche se, ai suoi tempi, egli fu onorato dall’ingombrante qualifica di «Beethoven francese» (l’epitaffio della sua tomba, dettato da Hector Berlioz, recita «Dopo la morte di Beethoven egli tiene lo scettro della musica strumentale»).
Il fatto è che le sue composizioni – in massima parte per Quartetto o Quintetto d’archi -, raffinate e visionarie, e tutt’altro che superficiali, non sono di semplice esecuzione.
Per la famiglia di George Onslow, la sua vocazione ed il precoce talento non furono considerati molto più che un ornamento da salone, da dilettante illuminato, e soltanto tardi – spinto dal suo editore, Camillo Pleyel – egli si decise a completare la sue conoscenze teoriche, da autodidatta, rivolgendosi al céco Antonin Reicha che fu il suo solo ed unico professore di composizione. Un’altra singolare caratteristica è il fatto che Onslow fu quasi l’unico compositore che in quegli anni agitati, in Francia, si dedicò alla musica da camera. Egli scrisse anche tre opere liriche, che furono rappresentate all’Opéra comique, anche se, a detta dei suoi sostenitori e della critica – tra gli altri Berlioz -, avrebbero meritato il più prestigioso palcoscenico dell’Opéra. Ma le sue partiture erano di una densità e di una complessità a cui il pubblico dell’epoca non era abituato e, sopratutto, i libretti erano men che mediocri.
La lettura che il Quartetto Ruggieri (dal nome della famosa famiglia di liutai cremonesi: il padre, Francesco fu a bottega da Amati) dà di queste sorprendenti composizioni è ispirata alla vocalità spontanea e vibrante, accesa da una maniera francese non abusivamente iscritta nell’eredità del quartetto mozartiano e beethoveniano.
I giovani solisti, che si sono incontrati nell’ensemble «Talens Lyriques» di Christophe Rousset, suonano su strumenti antichi, montati con corde di budello, che per loro sono le «impronte digitali», che lasciano una traccia inconfondibile nella sonorità dell’interpretazione.
La registrazione – per due dei tre Quartetti si tratta di una prima mondiale – è stata sostenuta dalla Fondazione Palazzetto Bru Zane, a Venezia, centro per la musica romantica francese.
Bastien Baumet
Art of the Euphonium – Cosma, Curnow, d’Adamo, Sparke – Bastien Baumet, Steven Mead: euphonium, Géraldine Dutroncy: pianoforte, Sébastien Stein: saxhorn, Paris Brass-Band, Coups de vent Wind Orchestra, Paris wind ensemble – Indesens (61’03’’)
Devo confessarvi che avevo, sino ad oggi, fatto una gran confusione a proposito dei nomi della grande famiglia degli ottoni bassi: saxhorn, tuba, bass tuba, subbassofone, pellittone … strumenti presenti – ed evidentissimi ! – in bande e fanfare, ma anche nelle orchestre sinfoniche, e resi indispensabili a partire dalle composizioni di Hector Berlioz, poi – sopratutto – di Richard Wagner e così via sino ai contemporanei.
L’unico rappresentante degli strumenti a fiato super-bassi era nel ‘700 il serpentone, utilizzato sopratutto per l’accompagnamento della musica vocale, dal timbro e dall’intonazione rudimentali e approssimative (per il celebre viaggiatore e musicologo inglese Charles Burney – che nella seconda metà del ‘700 percorse l’Europa lasciandoci preziose testimonianze della vita musicale dell’epoca – il suono del serpentone era simile al richiamo di un vitello affamato …). Poi, nella prima metà dell’ottocento, le tecniche di costruzione degli ottoni conobbero con Adolphe Sax una grande evoluzione, e la famiglia aumentò e si diversificò, dall’oficleide voluta da Berlioz per la Sinfonia fantastica all’Euphonium, appunto, «inventato» nel 1835 dal francese Besson, che tuttavia dovette rifugiarsi, per produrlo, a Londra, a causa dei numerosi processi che gli furono intentati da Sax.
Oggi questi strumenti, in apparenza riservati nelle fanfare paesane e folcloristiche ai più pigri e meno studiosi, ma ben dotati in muscoli (dato il notevole peso dello strumento) ed di polmoni a tutta prova, hanno anch’essi i loro virtuosi, capaci di trasfigurare il ruolo, di solito riservato ad un massiccio accompagnamento, in quello di solista, e di un solista capace non soltanto delle più vertiginose acrobazie, ma di un’inimmaginabile, delicatissima tavolozza d’espressioni.
Bastien Baumet ha vinto tutti i premi possibili e immaginabili per l’euphonium, fa parte dell’Orchestre d’Harmonie dei Gardiens de la Paix di Parigi – un vivaio di giovani virtuosi di strumenti a fiato – e della Paris Brass Band, ma è spessissimo sollecitato dalle grandi formazioni sinfoniche francesi e internazionali per ruoli solistici sempre più presenti nel repertorio contemporaneo. Come quello che costituisce il programma di questo affascinante cd, in cui Baumet, che oltre all’euphonium suona anche il saxhorn, è fiancheggiato da amici solisti – come il virtuoso americano Steven Mead con cui suona la romantica Two Parts Invention (Invenzione a due voci) di Philip Sparke – e da ensembles di fiati e ottoni.
Un disco singolare per scoprire un nuovo mondo sonoro.