I dischi del mese: giugno ’14- 2

Les musiciens et la Grande Guerre

1 – Une mort mythique

Alberic Magnard – Sonate pour violoncelle et piano, Intégrale de l’oeuvre pour piano – Alain Meunier: violoncello, Philippe Guilhon-Herbert: pianoforte – Hortus (70’37)

2 – 1913 au carrefour de la modernité

Busoni, Debussy, Stravinsky – Jean-Sebastien Dureau, Vincent Planès: pianoforte – Hortus (76’40)

 

 

3 – Hommage à Maurice Maréchal

Fauré, Brahms, Debussy, Honneger – Alain Meunier: violoncello, Anne Le Bozec: pianoforte – Hortus (60’40)

I primi tre cd di una collezione che si annuncia di grande interesse: 30 dischi – che verrano pubblicati da Hortus nei prossimi 5 anni – per commemorare compositori, interpreti ed opere più o meno direttamente connessi alla Grande Guerra, la Prima Guerra Mondiale di cui si celebra quest’anno il centenario.

Di grande interesse sopratutto il primo cd, Une mort mythique, dedicato ad un compositore quasi sconosciuto da noi, e che anche in Francia è pochissimo frequentato, pur essendo considerato uno dei maggiori del suo tempo: Alberic Magnard, morto nei primi anni della guerra difendendo – le armi in pugno – la sua casa attaccata dagli ulani che volevano – sembra – impedirgli di suonare la Marsigliese.

Sono qui registrate la Sonata per violoncello e pianoforte op.20, certamente la sua opera più conosciuta ed una delle più belle mai scritte per questa formazione in tempi moderni, nell’interpretazione sensibile ed elegante di Alain Meunier accompagnato da Philippe Guilhon-Herbert, e l’integrale delle composizioni per pianoforte – sino ad ora inedite in disco -, opere di giovinezza, di grande raffinatezza armonica e melodica, ispirata illustrazione della scuola francese. (Questo cd è stato realizzato con il sostegno della Fondazione Bru che ha sede a Venezia, nel Palazzetto Bru Zane, Centro di musica romantica francese).

Il secondo cd riunisce le musiche per pianoforte a quattro mani e per due pianoforti di tre compositori, Igor Stravinsky, Claude Debussy e Ferruccio Busoni, impegnati in una ricerca di modernità pur seguendo itinerari diversi: un’apertura radicale, brutale, per Stravinsky, con un linguaggio ispirato al folklore russo, nella trascrizione della Sagra della primavera; una fuga raffinata ed immaginativa, ma non per questo meno scandalosa, per Debussy – En Blanc et Noir –  e la fusione dei linguaggi del passato in un nuovo idioma, quasi sperimentale, per Busoni (Fantasia contrappuntistica). Jean-Sebastien Dureau e Vincent Planès sono gli entusiasti interpreti. Interessante l’utilizzazione per la prima volta, in questa registrazione, di una rarità, un pianoforte Pleyel da concerto a doppia tastiera «en vis-à-vis» – invenzione, che non ebbe alcun seguito, di Gustave Lyon – prodotto in un unico esemplare, attualmente conservato a Parigi, al Museo della musica. Gli esecutori sono uno di fronte all’altro, suonando sulla stessa tavola armonica, ma su due tastiere differenti, questo strumento assolutamente originale, dalla sonorità un po’ ristretta, ma certamente «d’epoca».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E, per concludere, un omaggio – nel terzo cd – a un protagonista della vita musicale degli anni tra le due guerre, il grande violoncellista Maurice Maréchal, il quale, sopravvissuto agli orrori della trincea, continuò sino ad un anno dalla morte – sopravvenuta nel 1964 – a testimoniare del suo virtuosismo di interprete e di grande Maestro, nei Conservatori di Parigi e Lione. Maurice Maréchal aveva poco più di vent’anni, da poco tempo diplomato ma già virtuoso riconosciuto, quando fu richiamato ed inviato al fronte, prima come soldato semplice, poi come infermiere e radiotelegrafista. Maréchal ha vissuto la Grande Guerra in pieno, dall’inizio alla fine, e ci ha lasciato, in nove carnets (pubblicati nel 2005, assieme alle lettere del violinista e compositore Lucien Durosoir, nel libro Deux musiciens dans la Grande Guerre), le sue testimonianze di quei 5 anni vissuti negli orrori della trincea. Orrori appena temperati dalla musica: due commilitoni falegnami avevano fabbricato, adoperando il legno di una cassa per munizioni, un rudimentale violoncello che Maréchal suonava in occasione degli uffici religiosi o per serate musicali improvvisate quando i fragori della guerra lo permettevano.

Questo mitico strumento – che, come tutti gli strumenti accompagnati da una storia, aveva un nome «le Poilu» («il Peloso», come venivano chiamati in Francia i soldati al fronte) -, fu conservato e si trova ora anch’esso al Museo della musica, ma non è, purtroppo, più utilizzabile; è quindi su un violoncello di liutaio non nominato, ma certamente famoso, che Alain Meunier – uno degli allievi più fedeli di Maurice Maréchal – ci propone un programma delle musiche che furono le più care al suo maestro: la Sonata op.38 di Brahms, la Sonata n°1 di Debussy, la Sonata di Honneger ed una splendida Elegia di Gabriel Fauré. Meunier conferma in questa devota rievocazione  le sue doti di raffinatezza e sensibilità, meravigliosamente accompagnato da Anne Le Bozec su un Bechstein del 1888.


 Serena 

Dances of the Dolls – Serena Wang: pianoforte – Channel of China (50’)

Nutro istintiva e immotivata diffidenza nei confronti dei fanciulli prodigio (musicisti sopratutto); ma è forse la mia incapacità a comprendere quale sia il percorso compiuto nelle loro adorabili testoline dalla musica che essi suonano, dagli occhi che leggono lo spartito alle manine che trasformano le note in suoni, che motiva questa mia ingiustificata e poco simpatica attitudine.

«Mozart, così facile per i fanciulli e così difficile per gli adulti» (cito a memoria) diceva Walter Gieseking, che aveva, molto probabilmente, intuito la chiave di questi misteriosi itinerari.

E Serena Wang non fa che accrescere questa mia perplessità. Serena ha dieci anni, ma, francamente, se non fosse per il titolo del cd – Le danze delle bambole – e le brevi composizioni che aprono il programma – evidentemente infantili -, non so proprio se me ne sarei reso conto, tanto la sua interpretazione è poco esibizionistica, dimostrativa delle sue pur straordinarie capacità tecniche e del suo virtuosismo. Ma, al tempo stesso, non è un’abnorme maturità quella che ci sorprende, piuttosto la grazia e la capacità di trasmetterci la sua gioia nello scoprire e nel suonare per un pubblico – evidentemente sedotto dalla sua spontaneità infantile – i capolavori che costituiscono la seconda parte del programma, sopratutto il Liebesträume, S. 541 di Robert Schumann e la Sonata in Fa maggiore KV.280 di Mozart. Per concludere con una sorprendentemente energetica ed al tempo stesso aerea e volatile Fantasia-impromptu opera postuma 66 di Chopin.

Quale sarà il destino di Serena? Difficile immaginarlo, prevedere quando la grazia e la spontaneità dell’infanzia, la magia delle sue intuizioni cederanno il passo ad una coscienza e ad una maturità che rischiano di appannare la luminosità delle sue interpretazioni. È arrivato a non pochi famosi fanciulli prodigio, scomparsi dolorosamente dalla scena dopo aver abusato ad oltranza dei loro pantaloni corti o dei fiocchi rosa; auguriamo a Serena Wang la transizione felice e … serena che merita.

un video di Serena Wang che suona Chopin

Ferruccio Nuzzo: Dopo una lunga e distratta carriera di critico musicale (Paese Sera, Il Mondo), si è dedicato alla street photo, con una specializzazione ecclesiastica. Vive in campagna, nel sud-ovest della Francia, ove fiere e mercati hanno sostituito cattedrali e processioni. Continua, tuttavia, a mantenere contatti con il mondo della musica, soprattuto attraverso i dischi, e di queste sue esperienze rende conto nella rubrica "La mia Musica. Suggerimenti d'ascolto".
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