C’era da aspettarselo: nella sua geniale iperattività l’ensemble iberico Accademia del Piacere, animato alla viola da gamba da Rami Alqhai (siriano d’origine e medico-chirurgo di formazione, che con il fratello Rahmi – gambista anche lui – ha creato il progetto discografico Alqhai & Alqhai di cui ho già parlato con entusiasmo in questa pagine) ha aperto la sua scena al mondo della danza.
Il primo risultato dell’associazione dell’Accademia del Piacere con la Compañía Antonio Ruz è À l’espagnole, una «fantasia scenica» creata in collaborazione con il Festival Internacional de Música y Danza de Granada, un montaggio di musica e danza barocca, in cui i ballerini evolvono sul palcoscenico in stretta prossimità con gli strumentisti virtuosi animando una coreografia incredibilmente moderna. L’austera scenografia dominata dal nero – come neri sono i costumi – non soffoca il fuoco della musica sul quale soffia il genio del movimento suscitando l’allegoria.
Lo spettacolo, così come il coreografo Antonio Ruz ed i solisti, cono candidati al Premio Max, massima ricompensa spagnola per l’espressione artistica.
Su FaceBook qualche video dello spettacolo e delle prove, con le spiegazioni (in spagnolo) di Rami Alqhai.
Bel canto amore mio
Ouvertures d’opéra – Orchestre National d’Île-de-France, Enrique Mazzola – NoMadMusic (57’26)
Per la prima volta apro questa mia cronaca con un cd che potrebbe sembrar frivolo, e comunque non degno di questo privilegio. Bel canto amore mio, uno dei tanti dischi dedicati ai tormentoni dell’opera lirica, mille volte strillati da pseudo Pavarotti che esordiscono con la Furtiva lacrima per concludere con O’ sole mio (se non con Funiculì funiculà)? E che c’entrano le Ouvertures d’opéra? (per non parlare della copertina che illustra una muta di turisti in navigazione, che si stanno prendendo un colpo di sole ed il torcicollo nella contemplazione di una qualche costiera tirrenica, mentre si immaginano gli altoparlanti gracchiare «Santa Lucia luntan’e te …»).
Niente di tutto questo. Questo geniale disco – ancora una trovata di NoMadMusic, il giovanissimo label che, in pochi mesi di vita ha inaugurato molteplici occasioni di sorprenderci, rinnovando con humour e fantasia la scena della musica classica – affronta il bel canto da un punto di vista strettamente strumentale, con una scelta di ouvertures d’opera tra le meno conosciute, pur essendo dei più celebri rappresentanti del teatro lirico dell’800. Rossini, Bellini, Donizetti, quindi, ma anche Mercante e Meyerbeer, e I Capuleti e i Montecchi, Roberto Devereux, Ugo, Conte di Parigi, Margherita d’Anjou, Emma d’Antiochia e Tancredi. Qualcuna di queste opere è apparsa in rarissime riprese, in festival specializzati o in registrazioni pirate, ma ha fatto breve fiamma, anche perché non di rado si tratta di frettolosi assemblaggi che l’epoca, grande consumatrice di opere liriche, esigeva dai compositori. Non sono rari, tuttavia, i gioielli nascosti in queste farraginose produzioni, e tra questi qualche splendida ouverture, questi concentrati d’opera, nei quali le voci che verranno tra poco ascoltate, sono mimate dagli strumenti preparando il pubblico a tutto quel che accadrà tra poco, al levarsi del sipario.
Neanche una voce, quindi, risuona in questo disco, ma le splendide sonorità dell’Orchestra Nazionale d’Île-de-France, diretta con entusiasmo ed energia Enrique Mazzola, il direttore italiano (nato in Spagna) che è alla sua testa da ormai 4 anni. Opere sconosciute o dimenticate ho detto, ma c’è anche un
Una strizzatina d’occhio all’ascoltatore ma anche una raggio di luce che illumina il retroscena di questa vitalissima registrazione.
Davanti ad un emblematico manifesto della Scala il simpatico Enrique Mazzola, ci racconta (in francese) questo cd.
Marin Marais
Dans les Jardins d’Eurytus – Marie van Rhijn: clavicembalo – Evidence (70’41)
Noto sopratutto per le sue musiche per una o più viole da gamba (un bellissimo film: Tutte le mattine del mondo traccia una parte della storia della sua vita – nell’interpretazione di un improbabile Gérard Depardieu – associata a quella di una altro famoso rappresentante della musica per viola da gamba, il Sieur de Sainte Colombe) Marin Marais non scrisse mai musica per il clavicembalo.
Ci pensarono i suoi contemporanei, che – stimolati dagli espliciti incoraggiamenti del compositore – trascrissero diverse delle sue Suites, nonché brani delle sue tragedie liriche, un’altro genere nel quale egli eccelse alla corte di Louis XIV, e ci ha pensato oggi la giovane clavicembalista Marie van Rhijn che nel suo primo cd come solista presenta musiche di Marais, alcune delle quali da lei stessa adattate per il suo strumento. Avevo già ascoltato Marie nella sua raffinata interpretazione, con il Trio Dauphine, delle musiche di Rameau e di Jean-Benjamin de Laborde, favorito e primo valet di Louis XV, tragicamente morto sulla ghigliottina, e la conoscevo per il suo lavoro come chef de chant e continuista delle Arts Florissants di William Christie e per i Pages del Centro di musica barocca di Versailles. In questo cd essa dispone di uno strumento eccezionale, un clavicembalo del 1679 – mai adoperato per una registrazione -, complice ideale, con la ricchezza delle sue sonorità, della fantastica sensibilità della solista e particolarmente adatto a rivelare le pieghe più nascoste di una musica volta a volta carezzevole e insinuante o rutilante di effetti scenici nei quali particolarmente risplende la rotonda potenza del suo suono.
Sweelinck & Scheidt
Oeuvres pour orgue – Aude Heurtematte: organo – Studio SM (69’56)
Con la fragorosa invocazione Allein Gott in der Höh sei Ehr (Gloria a Dio solo nell’alto dei cieli) e le relative Variazioni, estremamente virtuose, inizia questo raro cd dedicato a due nordici Maestri del repertorio organistico, Jan Pieterszoon Sweelinck e Samuel Scheidt. Nato cattolico, Sweelinck, titolare già a 16 anni dell’organo de la Oude Kerk, diviene calvinista e per 44 anni, fedele al suo strumento, dà quasi ogni giorno un concerto d’organo, ma di musica spirituale piuttosto che dedicata al culto. L’«Orfeo d’Amsterdam» e «Principe dei musicisti», malgrado la sua sedentarietà sarà sempre in contatto con i più celebri compositori europei, dall’inglese John Bull ai veneziani Gabrieli ed allo spagnolo Cabezon, e formerà alcuni tra i più grandi organisti luterani e germanici, tra cui, appunto, Samuel Scheidt.
Se l’opera di Sweelinck ci è giunta esclusivamente attraverso manoscritti non autografi, quella del suo allievo profittò di numerose edizioni a stampa. E non è questa la sola differenza: Scheidt più che concertista è liturgista, e la sua musica, rifiutando la seduzione dei colori e degli abbellimenti di cui si inebriano i suoi contemporanei mediterranei, procede con gravità, costringendo la melodia del cantico in un contrappunto ben serrato.
Aude Heurtematte – titolare a Parigi dell’organo storico di saint Gervais, lo strumento della dinastia musicale dei Couperin – è all’organo Jürgen Ahrend del Museo degli Agostiniani di Tolosa, ed adatta con appassionata sensibilità la ricchezza dei timbri del suo strumento a questo repertorio così contrastante e – almeno in apparenza – contraddittorio. Molto curata è, come al solito, la registrazione che nella preziosa serie Vox Humana, mette in valore programma, interprete e strumento.
D’un continent, l’autre
Pierre Lelièvre: chitarra – Ad Vitam Records (59’11)
Uno dei fondatori del Quartetto Eclisses, Pierre Lelièvre presenta in questo interessante cd le musiche di tre compositori che furono protagonisti, nel ‘900, del rinnovamento del repertorio chitarristico. Sino a Manuel de Falla ed al suo Hommage au tombeau de Debussy (Omaggio al sepolcro di Debussy), la musica per chitarra era sopratutto scritta da compositori che erano al tempo stesso solisti questo strumento. Col messicano Manuel Ponce – poi col brasiliano Hector Villa-Lobos e l’italiano (emigrato in USA) Mario Castelnuovo-Tedesco – le cose cambiano, ed il repertorio diventa meno soggettivo, anche se sempre marcato da notevoli differenze stilistiche. Unico punto in comune, il loro rapporto con Andrés Segovia, il solista impareggiabile che in quegli anni segnò della sua presenza il panorama concertistico mondiale per la chitarra.
Pierre Lelièvre è interprete sensibile ed appassionato, sopratutto attento all’alternarsi delle atmosfere, senza mai cedere alla tentazione della facile caratterizzazione folkloristica. Preziosa, per la delicata prossimità del suono, come in un intimo colloquio, la registrazione.
Manu Katché
Unstatic – Manu Katché: batteria, Jim Watson: tastiere, Tore Brunborg: sassofoni, Luca Aquino: tromba, Ellen Andrea Wang: contrabasso, Nils Langren: trombone – Anteprima (51’)
Parlo molto di rado di jazz, in questa mia pagina, non perché il genere non m’interessi – anzi … ! – ma perché le mie frequentazioni di questo repertorio sono ignare, non competenti. Tuttavia, ogni tanto, scopro un disco eccezionale e non posso fare a meno di testimoniare pubblicamente la mia ammirazione (come è accaduto per la registrazione dal vivo, dal New Morning, di Manu Katché, un paio di anni fa).
Ed ecco che il batterista ritorna con Unstatic, registrato questa volta in studio – con un suono, quindi, estremamente curato, anche se si rimpiange un po’ l’atmosfera surriscaldata del live – con i suoi complici abituali: Jim Watson alle tastiere (il suo pianoforte oscilla tra una gravità alla Ravel e le perturbanti galoppate di uno scatenato puledro), i sassofoni di Tore Brunborg e la tromba di Luca Aquino – ai quali si aggiunge una notevolissima contrabbassista: Ellen Andrea Wang, che sin dal primo brano, Introducción, si impone con un travolgente ritmo di rumba. Tutto il programma si svolge come un gioioso succedersi di paesaggi sonori, illuminati da sprazzi di colore che si alternando con dolcezza e serenità, senza soprassalti perturbanti, anche se l’energia comunicativa dell’ensemble è sempre presente, comunicativa.
Undici titoli che invitano al viaggio, e Manu Katché – autore di tutte le musiche – è anche il regista, la guida di questo itinerario, in cui ogni strumentista ha la sua storia da raccontare, una storia spesso indimenticabile.