«Preferisco la musica che amo a quella che non mi piace», proferiva Erik Satie dopo lunga riflessione, il mento appoggiato – lo immagino – ad uno dei tantissimi ombrelli che egli preziosamente collezionava, senza mai esporli ai tormenti della pioggia, proteggendoli, anzi, nelle pieghe del suo soprabito.
E non era questa che una delle sue innocenti, paradossali provocazioni che al pari dei suoi numerosi completi di velluto color senape – tutti identici – e della sua bombetta costellavano la vita di questo personaggio stravagante e scomodo, uno dei protagonisti della musica e del milieu artistico francese tra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Con le sue invenzioni, come la «musica d’arredamento». «Sai – diceva Satie al suo amico, il pittore Fernand Léger -, bisogna creare della musica d’arredamento, cioè una musica che faccia parte dei rumori dell’ambiente in cui viene diffusa, che ne tenga conto. Dev’essere melodiosa, in modo da coprire il suono metallico dei coltelli e delle forchette senza però cancellarlo completamente, senza imporsi troppo. Riempirebbe i silenzi, a volte imbarazzanti, dei commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità. Inoltre, neutralizzerebbe i rumori della strada che penetrano indiscretamente dall’esterno».
Ed ecco un affascinante album di due cd che François Mardirossian dedica a Satie anticipando (per non essere troppo convenzionale…) di due anni il centenario della sua morte. Nel primo cd le Gymnopédies – che ne hanno ispirato il titolo – sono associate ad altre composizioni di Satie, tutte segnate da titoli uno più fantasioso – a dir poco – dell’altro: Piacevole disperazione, Danze di traverso, Autentici Preludi flaccidi (per un cane), Penultimi pensieri… Nel secondo cd, invece, un florilegio di omaggi scritti da amici, da fedeli o da compositori contemporanei (i Gymnopédisti del titolo …) tra i quali John Cage, in primo luogo, poi Gavin Bryars e Sébastian Gandera con tre geniali composizioni dalla malinconica, irresistibile fluidità, dolci spire di una vertigine intimista … (lo potrete ascoltare nel secondo video).
«Suonare Satie – ha detto François Mardirossian – è abbracciare tutta un’epoca, annegare in un mondo fatto di discrezione e nostalgia, ma è anche cercare di evocare un suono. Suoni da cabaret, da piccole sale intimiste affollate di atipici pianoforti. Registrare Satie su uno Steinway D sarebbe stato un controsenso. A compositore speciale, pianoforti speciali; gli strumenti che ho scelto hanno un’anima. Li si sente respirare, lavorare, rispondere alla musica suonata. Lungi dalle igieniche sonorità d’oggi, per il più iconoclasta dei compositori ci volevano dei pianoforti che gli rassomigliassero».
Tutto, in questa splendida edizione, è impeccabile, dalla registrazione alla presentazione al libretto.
(A chi volesse saperne di più sull’Esoterik Satie – come lo definì lo scrittore Alphonse Allais – consiglio la lettura dei Quaderni di un mammifero di Ornella Volta -Adelphi)
Satie & Les Gymnopédistes
François Mardirossian: pianoforte – Ad Vitam Records (74’+ 66’)
Bach – Schein
Geistlisches Konzert – Ensemble Fiamma & Foco, Marta Gliozzi: organo – Hortus (57’48)
L’organista torinese Marta Gliozzi assieme al soprano Armelle Morvan ed al flauto a becco di Elodie Bouleftour – cioè l’Ensemble Fiamma & Foco – a cui si è associato per questo cd il sackbut («spingi-tira», l’antenato del trombone) di Maxime Chevrot, hanno concepito per Hortus un interessante ed originale programma ispirato dall’organo che Bernard Hurvy ha costruito per la basilica Notre-Dame du Folgoët nel Finisterre liberamente interpretando lo strumento originale fiammingo scomparso da più di tre secoli.
Dialogando con le musiche per organo solo di Johann Sebastian Bach – capolavori del simbolismo musicale e dell’arte contrappuntistica – si avvicendano brevi composizioni cameristiche di Johann-Hermann Schein, Heinrich Schütz, Johann Pachelbel. Kleine Geistlische Konzerte (brevi concerti spirituali) nei quali la severa spiritualità luterana si ravviva degli umori concertanti italiani di ispirazione madrigalistica.
Un’impegnata, fantasiosa eleganza anima l’Ensemble nell’interpretazione di questi brani per lo più sconosciuti, mentre il flauto a becco di Elodie Bouleftour sorprende ed entusiasma associandosi all’organo in un’originale trascrizione della Sonata in Trio n. 5 in Do magg., BWV 529 di Bach.
Marin Marais
La Gamme – Les Timbres – Versailles (59’06)
Quasi cinquanta anni son trascorsi da quando gli affascinanti microsolco di Jordi Savall ci hanno rivelato l’esaltante magia di Marin Marais e della sua viola da gamba, uno strumento a quell’epoca poco, se non per nulla, conosciuto. Ora sono i Timbres – Yoko Kawakubo al violino, Myriam Rignol alla viola e Julien Wolfs al clavicembalo – che, dopo tre interessanti cd dedicati a François Couperin, a Jean-Philippe Rameau e a Dietrich Buxtehude, affrontano, per il vertice, l’opera di Marin Marais.
Il suo ultimo capolavoro, per cominciare. Marin Marais ha 67 anni, la gloria dell’Officier ordinaire de la Musique de la Chambre du Roi, caro a Louis XIV, è ormai consacrata ed egli può dedicarsi a tempo pieno al suo amato giardino. La Gamme, en Forme de Petit Opéra, è un divertimento che, alla pari un’opera lirica in miniatura, mette in scena i tre strumenti – violino, viola e clavicembalo – come altrettanti personaggi che incarnano le sette note della scala musicale in una suite di danze, di fughe e di brani «de caractère».
Segue la Sonate à la Maresienne, quasi un autoritratto musicale, un’affermazione dei sui principi volti ad opporsi al «goût italien» (la moda italianizzante) che con Lully aveva cominciato ad affermarsi in Francia. Poi, per concludere, la misteriosa, ossessiva, travolgente Sonnerie de Sainte Geneviève du Mont de Paris, senza dubbio una delle composizioni più note di Marais con la sua ostinata ripetizione delle tre note delle campane dell’Abbazia che divengono la base armonica dell’indimenticabile brano, il più caratteristico, certo, del compositore, quasi il suo blasone.
Haydn
Pianoforte Trios – Guarnieri Trio Prague – Praga Digitals (70’)
Padre – o, comunque, «inventore» – del Quartetto d’archi (come, del resto, della Sinfonia) Franz Joseph Haydn ha altresì lasciato un numero considerevole – 45, per essere esatti – di Trii per violino, violoncello e pianoforte, anche se i primi rassomigliano piuttosto a delle Sonate per violino e pianoforte con accompagnamento di violoncello e soltanto i più tardivi sono rappresentativi della piena maturità musicale del compositore.
Per festeggiare i 35 anni della sua esistenza – e la sua immutata formazione -, il Trio Guarnieri di Prague, che ha già memorabilmente registrato i classici del repertorio, affronta per la prima volta in disco la musica di Haydn e propone 5 di questi capolavori, tra quelli che meglio illustrano l’originalità «… delle strutture armoniche e delle inedite sorprese nelle strutture ritmiche» (tra i cinque figura il celebre n.39 «Tzigano»).
L’interpretazione è all’altezza della reputazione di questo ensemble e della sua aristocratica supremazia, basata sull’intensità espressiva associata ad una straordinaria tavolozza timbrica ed un impeccabile virtuosismo.
Nel video, il Trio Guarnieri in concerto.
Dasol Kim
Schubert – Impromptus D.935, Sonate D.960 – Aparté (40’+47’)
Due capolavori degli ultimi mesi di vita di Franz Schubert. La grandiosa Sonata D.960, uno dei monumenti del genere, fu scritta soltanto due mesi prima della morte del compositore, quasi un testamento musicale, «… un lied ininterrotto, senza limiti, così lungo, variato e denso, particolare ed universale al tempo stesso, come una visione dell’infinito» (Marcel Schneider). Nell’altro cd, i quattro Impromptus D.935, scritti alla fine del 1827 ma pubblicati soltanto dieci anni dopo la morte di Schubert a causa della loro «difficoltà d’esecuzione …» (il tema dell’Impromptu n.3 «Rosamunde» corrisponde a una variazione della musica di scena che Schubert aveva scritto per il dramma Rosamunde, Fürstin von Zypern, riutilizzandolo poi per il Quartetto n.13 in la min., D.804).
Il giovane pianista sud-coreano Dasol Kim ci propone la sua visione pura, quasi sublimata, al di là di ogni contingenza terrena, di questi due «paesaggi schubertiani», pagine sublimi sulle quali, come ha scritto Adorno, plana l’ombra di una «tragica solitudine», quella dell’uomo che sente la morte vicina. Dasol gioca con leggerezza, con un virtuosismo discreto e lungi da ogni forma di esibizione, sulle molteplici, estatiche mutazioni di luci e di colori; una liberazione più che una fine.
Au bord du rêve
Aurélienne Brauner: violoncello, Lorène de Ratuld: pianoforte – Paraty (71’42)
Una splendida costellazione di piccole perle del repertorio per violoncello e pianoforte. Piccole nel senso che la durata individuale di ciascuno dei 28 mini-capolavori che formano il programma dell’album non supera mai i 5 minuti (e la durata di Hasche-Mann, una delle delle Kinderszenen, op. 15 di Robert Schuman è di soli 39’’).
Ma quanta musica, che intensità e varietà di sentimenti, che concentrazione di profumi, di sfumature e di colori nel breve tempo che questi fiori musicali impiegano per schiudersi e reclinare nel silenzio …
Le Berceuses sono evidentemente all’onore, ma c’è anche una Dormeuse di Jacob Fabricius ed una Réverie di Claude Debussy, senza tralasciare Der Träume, il sogno caro al romanticismo tedesco, da quello dei Wesendonck-Lieder, WWV 91 di Richard Wagner alla Träumereï dai Stimmungsbilder, op. 9 di Richard Strauss al Liebesträume di Franz Liszt, qui nella trascrizione del grande virtuoso Gaspar Cassadó.
E quale strumento meglio del dolcissimo violoncello di Aurélienne Brauner per attirarvi in questo giardino di sentimenti acquerellati, che si muovono, evanescenti, appoggiandosi, in una danza soave al pianoforte di Lorène de Ratuld ?
Valses Impressions
Leopold Godowsky, Karol Szymanowsky – Dmitri Makhtin: violino, Mūza Rubackyté: pianoforte – Ligia (70’)
Un’immensa pianista, che in queste composizioni trova, ancora una volta, il terreno ideale per illustrare la sua affinità con le atmosfere esotiche e raffinate di un esausto post-romanticismo come quello delle musiche di Leopold Godowsky e Karol Szymanowsky.
Mūza ha già ricevuto un Diapason d’Oro per il suo primo volume dell’opera di Léopold Godowsky – che comprendeva tra l’altro la gigantesca Sonata per pianoforte in mi minore, uno dei vertici del post-romanticismo e autentico monumento del repertorio pianistico. In questo cd, proseguendo il suo viaggio iniziatico attraverso l’opera del suo compatriota, l’integrale delle opere per violino e pianoforte per la quale Mūza si associa al grande virtuoso russo Dmitri Makhtin ed al suo prezioso Andrea Guarnieri del 1682.
Le Valses Impressions, quindi, una serie di 17 brevissimi brani che identificano il suo periodo viennese – dal 1909 al 1914 – in cui egli soggiornò nella capitale austriaca per diffondere le sue conoscenze e la sua maestria in quell’Accademia musicale (fu a quel tempo che egli incontrò Arthur Rubinstein, che così soleva dire di lui: «Mi ci vorrebbero 500 anni per impadronirmi di meccanismi tecnici simili a quelli di Godowsky»).
Anche per questo cd, il programma è completato dalla musica di Karol Szymanowsky, con i Tre Capricci da Paganini, op.40.