La vida es sueño (La vita è un sogno) è un famosissimo dramma spagnolo, capolavoro del teatro metafisico e allegorico barocco, una riflessione sull’illusione e la realtà, il gioco ed il sogno, di Pedro Calderón de la Barca. El Gran Teatro del Mundo, ensemble iberico con infiltrazioni internazionali, specializzato nella musica francese del Grand Siècle, ai tempi di Louis XIV, rivisita in questo esaltante cd, in una versione esclusivamente strumentale (sette sono i solisti virtuosi), alcune scene d’opera seguendo un itinerario fantastico al cuore dei differenti episodi di una notte e di un sonno che simboleggiano l’amore e la morte. Un viaggio musicale notturno sulla traccia delle evocazioni del celebre monologo di Sigismondo e delle musiche di Lully (inevitabilmente e sopratutto) e Marin Marais, ma anche Marc Antoine Charpentier, Henri Desmarets e André Campra.
El Gran Teatro del Mundo aveva già entusiasmato il mondo della musica barocca ed i suoi appassionati con un primo cd – Diapason d’or – dedicato a Telemann, Fisher, e Muffat, i seguaci teutonici di Lully (il fiorentino Giovanni Battista Lulli, «surintendant de la musique du Roi» – sempre Louis XIV -, che dominò la vita musicale in Francia lasciando le sue tracce sopratutto nel Teatro d’Opera). Con La vida es sueño l’ensemble, sempre più animato da quell’ideale artistico comune che ne è il principale impulso, rinnova una performance fatta di splendide sonorità, di slanci drammatici ed invenzioni dinamiche, in un certo qual modo «sceniche», che decorano, movimentano la sala di registrazione – quindi il vostro luogo di ascolto – degli splendori di una scenografia barocca a cui mancano soltanto i capricci e le stravaganze di soprano e tenori virtuosi.
El Gran Teatro del Mundo
La vida es sueño – Lully, Charpentier, Desmarets, Campra, Marais – Seulétoile (72’08)
El Gran Teatro del Mundo
Lully’s Followers in Germany – Fisher, Muffat, Telemann – Ambronay (68’24)
Schumann
Chant du crépuscule – Violin Sonatas n.2&3 – Ariane Granjon: violino, Laurent Cabasso: pianoforte – Paraty (76’50)
1853, un anno miracoloso e sconvolgente: come in un ultimo slancio, prima di soccombere agli acufene che lo tormentano sempre di più ed ai sempre più gravi sconvolgimenti psichici che renderanno ben presto indispensabile il suo internamento, Robert Schumann compone, approfittando delle rare schiarite, il suo canto del cigno. La Sonata per violino n.2 in re minore, che Schumann scrive poiché «… siccome la prima non mi piaceva, ne ho fatta una seconda, e spero che questa sarà migliore …» e la n.3 in la minore, la leggendaria F.A.E. Sonata, opera comune, composta con la collaborazione di Johannes Brahms e Albert Hermann Dietrich e dedicata al grande virtuoso Joseph Joachim (per lui Schuman e Brahms scrissero il loro concerto per violino – e F.A.E è il suo motto: Frei Aber Einsam / libero ma solitario). Un’opera enigmatica e meravigliosa, rivelata nel 1935 ma negletta dalle sale da concerto e qui, finalmente, registrata. Completano il programma le 3 Romances op.22 di Clara Schuman.
Ariane Granjon, sensibilmente accompagnata dal pianoforte di Laurent Cabasso, interpreta con intensità, eleganza di suono ed appassionato slancio questa musica densa di passioni e velata da quel che oggi si può intendere come il presentimento della tragica fine.
Pyotr Ilyich Tchaikovsky, Arnold Schönberg
String Sextets – David Oistrakh Quartet, Daniel Austrich: viola, Alexander Buzlov: violoncello – Praga (61’)
Due capolavori del rarefatto repertorio per sestetto d’archi, il Souvenir de Florence di Tchaïkovski e Verklärte Nacht di Arnold Schönberg, nella magistrale interpretazione del Quartetto Oistrakh a cui si sono aggiunti Daniel Austrich e Alexander Buzlov
Con Firenze, a dire il vero, non sembra aver molto a che fare il Souvenir di Tchaïkovski – non sono neanche sicuro che a Firenze il compositore abbia particolarmente soggiornato, anche se aveva appassionatamente viaggiato in Italia (e ne testimonia il suo Capriccio italiano). Ma, come afferma Anthony Holden, il suo biografo inglese, questo intenso ed lirico sestetto, più che essere una composizione a programma, ispirata a temi italiani (che affiorano appena nel primo e secondo movimento), è piuttosto una specie di «recherche» proustiana, equivalente musicale delle opere dei poeti romantici che sublimano nel ricordo le esperienze di un passato tumultuoso.
Appena 9 anni dopo, Verklärte Nacht (La notte trasfigurata) sopraggiunge, oscura e febbrile, portando l’espressione romantica ad un inquietante apogeo. Opera di giovinezza (Schönberg la compose, in meno di tre settimane, a soli 25 anni, per offrirla all’amata Mathilde von Zemlinsky), è la più eseguita di un compositore noto sopratutto per essere il padre della dodecafonia.
Charles Quef
Légendes – Denis Tchorek: organo – Hortus (69’28)
Un cd affascinante, tutto librato sulle intense, aeree ed penetranti sonorità dell’organo Maurice Puget del santuario Saint-Jérôme di Toulouse. A Denis Tchorek il merito di aver sottratto all’oblio queste composizioni nutrite di temi popolari ed ispirate al folklore profano e religioso, di Charles Quef, organista e compositore originario di Lille, nel nord della Francia. Quef fu per trent’anni – tra Alexandre Guilmant e Olivier Messiaen – al pulpito della Trinité à Paris (Guilmant era stato costretto a dimissionare avendo contestato i disastrosi lavori di Merklin sul Cavaillé-Coll della chiesa. Per ottenere la successione, Quef accettò di firmare il processo verbale di fine lavori, e questo compromise la sua pur lunga carriera e la simpatia del pubblico).
Alcuna polemica possibile, invece, per lo splendido strumento impiegato per questa registrazione, un’organo pneumatico dotato di 42 registri su tre tastiere che Maurice Puget costruì nel 1936, offrendo alla sua villa natale una delle sue più belle realizzazioni, installata inoltre in una chiesa dall’acustica eccezionale. A Denis Tchorek il merito di aver curato con grande sensibilità e passione questa prima registrazione la musica di Charles Quef, composizioni profane ma intessute di misticismo, pur evocando più il Salon che la chiesa,
Jacqueline Fontyn
Trios – Trio Spilliaert, Raphaël Béreau: chitarra, Karel Coninx: viola, Apolline Degoutte: flauto – Cybele (60’27)
La musica dei compositori belgi non è certo frequente nei cataloghi delle case discografiche per la semplice ragione che – all’eccezione del giovane genio di Guillaume Lekeu, (precocemente scomparso, a 24 anni, nel 1894) – alcun altro autore belga – ad eccezione di Eugène Ysaÿe – ha lasciato sino ad oggi una traccia evidente di sé nella storia della musica. Benvenuto, quindi, questo interessantissimo cd nel quale il Trio Spilliaert, belga anch’esso (e che deve il suo nome e la sua prima ispirazione a Léon Spilliaert, pittore ed illustratore della prima metà del XX secolo, belga anche lui, naturalmente …) ci fa scoprire la musica di Jacqueline Fontyn.
Nata ad Anversa nel 1930, Jacqueline è una geniale ed ancora attivissima compositrice (Nulla dies sine nota – Non un giorno senza una nota (musicale) – è il titolo delle sua recente autobiografia). Le sue opere, ispirate sin dall’inizio da Arnold Schönberg e dalla dodecafonia, poi evolute verso un linguaggio piuttosto atonale e modale, sono dense di forza espressiva mai diluita dalla leggerezza fantastica che le anima.
Il programma del cd presenta cinque Trii – il flauto di Apolline Degoutte e la chitarra di Raphaël Béreau si aggiungono agli intensi e sensibili virtuosi dello Spilliaert – attorno à Lieber Joseph, un omaggio di Jacqueline Fontyn al padre del Trio con pianoforte, Franz Joseph Haydn.
Malinconia
Yan Levionnois: violoncello, Guillaume Bellom: pianoforte – NoMadMusic (72’37)
Sulla copertina i due giovani interpreti esibiscono un look di clown tristi rivisitato: lagrime sintetiche all’occhio destro per il violoncellista Yan Levionnois ed occhio (sempre destro) livido ed appassito per il pianista Guillaume Bellom. Ma posso rassicurarvi che nessuna oleografica retorica affligge questa fascinosa, fantastica esplorazione di una malinconia che, più che rimpianto, è nostalgia.
Il titolo si riferisce a Malinconia, op.20 che Jean Siblelius dedicò alla morte della figlia più giovane. Circondata da altre sette composizioni più o meno esplicitamente ispirate a questo stato d’animo, dall’iconica Lugubre gondola S.134 di Franz Liszt allo sconvolgente Grand Tango di Astor Piazzola e dall’austera Sonata per violoncello e pianoforte, CD 144 di Claude Debussy ai ben più tormentati Drei kleine Stücke, op.11 di Anton Webern.
Un programma denso e complesso che gli interpreti affrontano con una modulazione di «affetti» mai retorica né banale, e giocando, senza mai abusarne, sulla ricchezza dei contrasti. La copertina è, dunque, giusto per sdrammatizzare …
Timbres
Marie Boichard: fagotto, Vincent Mussat: pianoforte – Klarthe Records (37’)
Durante secoli un affermato, inesorabile sessismo, ha dominato nel mondo della musica, manifestandosi con oltraggiosa evidenza nel microcosmo dell’orchestra. Ben vengano le donne pianiste e, perché no, violiniste, altiste e violoncelliste, arpiste e flautiste, ma niente trombe né corni ed ancor meno contrabbassi e fagotti. Le cose sono, evidentemente, cambiate da qualche tempo, e basta assistere ad un concerto trasmesso in televisione per distinguere deliziose fanciulle fiancheggiare autorevolmente barbuti tromboni o evolvere nel recinto dei timpani.
Marie Boichard è sublime virtuosa del fagotto, strumento singolare e dalle molteplici personalità, capace di sollevarsi ben al di là dei ruoli sovente caratterizzati se non caricaturali che gli vengono affidati. Sensibilmente accompagnata dal pianoforte di Vincent Mussat, Marie svolge in questo singolare cd un programma composto essenzialmente da musiche commissionate dal Conservatorio di Parigi ai compositori dell’epoca. Pezzi virtuosistici e di genere moderno, destinati al concorso del Conservatorio, un evento annuale che permetteva ai giovani strumentisti di mettere in mostra il proprio talento. Musiche da tempo cadute nell’oblio, anche per la loro difficoltà di esecuzione, come Fagottino di René Duclos o Portuguesa di Henri Büsser che, assieme al Concertino di Marcel Bitsch ed alle Hallucinations di Alain Bernaud, Marie interpreta con ammirevole disinvoltura, concludendo luminosamente il programma con una trascrizione della famosa e bellissima Sicilienne di Gabriel Fauré.