Per celebrare l’inizio della nuova stagione, climatica e discografica, tre cd quanto meno atipici per questa rubrica, dedicati a un repertorio «gran pubblico» anche se nobilitato da compositori che sono ormai considerati dei «classici» nel loro genere. Da Ennio Morricone – il geniale compositore di musica per il cinema, scomparso quest’estate, che mai rinnegò le sue origini classiche, i suoi studi con Goffredo Petrassi e la sua appartenenza al Gruppo Nuova Consonanza – à Michel Legrand, passando per quel tempio della decima musa che fu il Gaumont-Palace.
Per cominciare sono tre straordinari virtuosi russi – Natasha Medvedeva al pianoforte, Dimitri Maslennikov, violoncello e David Galoustov, violino – che rivisitano alcuni capolavori di questo repertorio, musica che tutti conosciamo, ma associata alle imagini se non sopraffatta dall’azione sul grande schermo. Ed ecco che, nell’interpretazione dell’Ensemble Triptikh, queste composizioni assumono un’identità autonoma, perfettamente associata alla formazione classica del trio con pianoforte.
Da Cinema Paradiso, Il Buono il Brutto e il Cattivo, Lolita di Morricone a Libertango e Oblivion di Astor Piazzolla passando per Missione impossibile di Lalo Schifrin, La lista di Schindler di John Williams e ancora Nigel Hess, Max Richter, Toby Fox … il molteplice universo del cinema rivive animato dalla calorosa e possente forza evocatrice del Trio.
Grand Écran
Ensemble Triptikh – Ad Vitam Records (55’35)
Rendez-vous au Gaumont-Palace
Orchestre du Gaumont-Palace, Georges Ghestem: organo, Georges Tzipine: violino e direzione – Hortus (60’03)
Un programma veramente singolare per rivivere i fasti di uno dei massimi – certamente IL massimo, in Francia e in Europa – templi della Decima Musa: il Gaumont-Palace di Parigi (vedi video clip). Questo cinema aveva, negli anni immediatamente precedenti la guerra, una Grande Orchestra ed un maestoso organo. Il cinema sonoro era già ben affermato, ma gli intervalli – eh, sì, bisognava ancora cambiare la pellicola, e ci voleva tempo … – erano animati da una musica, classica, per lo più, ma che amabili trascrizioni rendevano compatibile con le luci diffuse e le chiacchiere a mezza voce (non so se all’epoca ci fossero già i gelati e le noccioline americane; certamente non ancora il pop-corn …).
Quell’atmosfera così lontana, oggi inimmaginabile, rivive nelle registrazioni del 1939, uniche al loro tempo, che Hortus ha rimasterizzato e pubblicato in questo affascinante cd. Musiche di Strauss e Gershwin, ma anche di Schubert, Chopin, Grieg e Ravel, in arrangiamenti d’epoca. E singolari brani virtuosi per violino – Georges Tzipine, oltre che direttore era un gran violinista – ed organo dei dimenticati Georges Ghestem (organista ed autore di quasi tutti gli arrangiamenti) e Franz von Vecsey.
Michel Legrand
Hervé Sellin: Dedication – Henri Demarquette: violoncello, Erik Berchot: pianoforte, Claude Egea: bugle, Macha Méril: vocal – Indésens (57’09)
Per concludere la mini-serie di registrazioni dedicate alla musica per il cinema, questo emozionante cd dedicato ad un altro grande recentemente scomparso: Michel Legrand, anche lui un’icona del genere che, in oltre 60 anni di carriera, tre Oscar, non so quanti Golden Globe ed altri premi, ha lasciato ovunque – in Europa come in America – le sue tracce.
Hervé Sellin, pianista jazz, interprete delle sue musiche ed amico, confidente musicale, sempre presente nelle registrazioni delle colonne sonore quando Michel doveva abbandonare il pianoforte per dirigere l’orchestra o quando l’improvvisazione doveva in qualche modo movimentare le sue partiture rigorosamente classiche.
Il programma del cd è ricco e variato, dalle immortali Demoiselles de Rochefort e Les parapluies de Cherbourg ai meno noti, almeno in Italia, successi del suo periodo hollywoodiano, da Watch What Happens a The Other Side of the Wind, 15 temi che consacrano una carriera ricca di riconoscimenti. E non soltanto come compositore: oltre alle musiche di innumerevoli films, Michel ha scritto due opere, balletti e due concerti per pianoforte, poiché egli fu anche grande pianista, direttore d’orchestra, arrangiatore e cantante.
Per realizzare questa antologia, Hervé Sellin ha riunito tre solisti che furono anche amici e spesso interpreti delle sue musiche: il violoncellista Henri Demarquette, Erik Berchot al pianoforte e Claude Egea al flicorno soprano. E l’attrice Macha Méril, che fu l’ultima compagna di Michel, per l’ultima canzone del programma: Celui-là.
Firenze 1350
Un jardin médiévale florentin – Sollazzo Ensemble, Anna Danilevskaia – Ambronay (57’21)
Si racconta che un bel mattino del 1389, in un giardino di Firenze chiamato «Il Paradiso», Francesco degli Organi, celebratissimo musico, ma anche retore e filosofo, accolse e vinse la sfida di far tacere il canto degli uccelli con il suono del suo strumento. Grazie a Francesco, conosciuto oggi come Landini, glorioso rappresentante di un umanesimo appena nascente, la musica del ‘400 avrebbe raggiunto il suo apogeo a Firenze, crogiolo delle più ricche e variate correnti culturali, coinvolgendo altri musici, al tempo stesso compositori ed interpreti su vari strumenti anche se in un repertorio sopratutto vocale.
Le sonorità perturbanti, le armonie inquietanti delle opere di questi musici – Paolo da Firenze, Donato di Firenze, Bartolino da Padova, Vincenzo da Rimini, tra gli altri – accompagna qualche composizione di Francesco Landini nella raffinata ed appassionata interpretazione dei cantori e strumentisti dell’Ensemble Sollazzo diretto da Anna Danilevskaia.
Al Festival di Ambronay il merito di questa preziosa edizione che aggiunge all’originalità delle scelte del programma l’autenticità di una lettura che Sollazzo vuole fedele allo stile ed alla strumentazione dell’epoca.
Giovanni Picchi
Canzoni da sonar con ogni sorte d’istromenti – Concerto Scirocco, Giulia Genini – Arcana (71’29)
È rarissimo che l’emozione all’ascolto di un compositore sconosciuto o dimenticato sia così folgorante. Ormai si sono esplorati – o, quanto meno, si crede di conoscere – tutti i recessi, le pieghe più remote di cinque secoli di storia della musica attraverso le tracce che ce ne sono rimaste, più o meno abbondanti, più o meno autentiche o quanto meno credibili. Questa storia è, tuttavia, certamente più densa di eventi di quanto, nei secoli, è rimasto a rappresentarla, spesso arbitrarie trascrizioni o fogli di spartiti venduti a peso per ignobili usi (come accadde dei preziosissimi manoscritti di J.S. Bach, finiti un una macelleria a incartar trippe).
Del «soto dei Frari» (lo zoppo dei Frari, tale era il soprannome di Giovanni Picchi) ben poco si conosce, se non la sua attività come liutista, organista (ai Frari e a San Rocco) e «maestro di danza» negli anni tra il 1600 ed il 1625; ma anche una denuncia perché aveva insegnato, senza autorizzazione, musica alle suore del Santo Spirito. Oltre alle composizioni per i suoi strumenti d’elezione – liuto e tastiere – Picchi, personaggio quanto meno originale e bizarro, ha lasciato queste 19 Canzoni da sonar con ogni sorte d’istromenti che egli stesso definisce in un «avviso» nella sua prefazione: «… a coloro che potrebbero, in molti luoghi, trovare le mie musiche discordanti e comportanti stonature: malgrado tutto, se le si suona così come son scritte e non diversamente, si ascolteranno soavissime melodie …».
E soavissime melodie, nel fasto sonoro tipicamente veneziano, con gloriosi cori di tromboni e sublimi svolazzi di violini, flauti, cornetti e fagotti, si ascoltano in questa splendida prima registrazione integrale del Concerto Scirocco, che in un florilegio di colori e di affetti palpitanti aggiunge una nuova costellazione al firmamento della scuola veneziana.
Vertigo
Giuseppe Tartini: The last Violin Sonatas – Duo Tartini: David Plantier: violino, Annabelle Luis: violoncello – Muso (79’45)
Tanti sono i compositori soffocati, se non estinti, dal loro cosiddetto «capolavoro»: Luigi Boccherini, per non citare che il più celebre, per anni rappresentato quasi esclusivamente dal suo «famoso Minuetto» mentre le altre sue opere – Quartetti e Quintetti, Sinfonie, e gli splendidi Concerti per violoncello, senza dimenticare le opere vocali e religiose – restavano nell’ombra di questo, alla fine insopportabile, tormentone.
Poi arriva il centenario (della nascita o della morte) ed ecco che gli altri capolavori, occultati dal loro ingiustamente privilegiato fratello, trovano il posto che meritano nei programmi dei concerti e nei cataloghi discografici. È il caso di Giuseppe Tartini, il cui nome, inevitabilmente, evoca il Trillo del Diavolo e la legenda ad esso connessa di un diavolo virtuoso (del violino, naturalmente) che, apparso in sogno al compositore (anch’egli virtuoso) avrebbe stabilito con lui un patto entrando al suo servizio e suonando per lui una Sonata «… con una tale superiorità ed intelligenza che io non avrei potuto nulla concepire che potesse assomigliargli».
Ed ecco che il 250nario della morte, ed un’appassionata iniziativa di Muso, ci permettono di scoprire un’altro, interessantissimo, Tartini, l’autore di 130 Sonate oltre al famigerato Trillo, che un suo contemporaneo definiva «Originale in tutto, non ha accettato altre leggi che quelle del suo genio». È sempre il violino il protagonista di queste sue ultime, sino ad oggi inedite, 5 Sonate, che l’accompagnamento del violoncello rende, in qualche modo, uniche. Particolarmente i movimenti lenti, ed i cantabile, che i geniali interpreti immergono in un’aura meditativa, dilatando gli affetti, approssimandoli a una riflessione filosofica dalla quale è difficile distaccarsi per ritornare su terra.
XIII Quatuor Ardeo
Monteverdi, Purcell, Schubert, Crumb – Klarthe (69’)
Un titolo minimalista – la cifra 13 in caratteri lapidari romani romani: XIII – per un programma sorprendente, che frequenta gli estremi dell’immenso panorama della musica da camera, ed il suo cuore più sensibile e fremente. Con opere originariamente scritte per il Quartetto d’archi – che di questa musica è il porta bandiera – o per esso trascritte.
Si comincia con Hor che’l Cielo e la Terra, dall’VIII Libro dei Madrigali di Claudio Monteverdi – ovviamente una trascrizione – che trova negli strumenti di questo ensemble esclusivamente femminile una nuova esasperata, glaciale drammaticità, per passar poi, senza transizione, al bellissimo Rosamunde D 804, che è, appunto, il XIII quartetto di Franz Schubert ed uno dei suoi capolavori, e di lui ancora – dopo una Pavana e una Ciaccona di Henri Purcell – La Morte e la fanciulla, non l’omonimo quartetto ma una trascrizione, di sognante lentezza, del Lied. Poi il 13 ritorna con Black Angels – Thirteen images from the Dark Land for Electric String Quartet (Tredici immagini dall’oscura terra, per Quartetto d’archi elettrico) di George Crumb, una composizione resa famosa, tanti anni fa, dall’interpretazione del Kronos Quartet e che qui si anima di nuovi, dolorosi, accenti a celebrare i dubbi e le lacerazioni di un’America post-Viêt-Nam. Per concludere, ancora una trascrizione, del Lied “Die Götter Griechenlands” D 677, sempre di Schubert.
Il numero 13 non è, dunque, stato scelto a caso. Peccato che le piste siano soltanto 12 …