Questo mese la novità ci giunge dal Portogallo, un paese che, anche se ricco di tradizioni – ed oggi di attività – musicali non è molto presente nel panorama della produzione discografica (almeno per quanto giunge sino a noi …). Questa singolare ed interessantissima edizione, dedicata alle opere sacre di due clamorosamente dimenticati – anche se di notevole fama ai loro tempi – compositori iberici, nasce da un’idea e dalla passione di Massimo Mazzeo.
Veneto d’origine, e diplomato al Conservatorio di Venezia, Massimo a creato nel 2004, a Lisbona, Divino Sospiro, un ensemble che dedica la sua attività particolarmente alla musica barocca su strumenti originali. Divino Sospiro è divenuta rapidamente un riferimento, in Europa ed in Portogallo, ove svolge un’intensa attività approfittando di splendidi luoghi come il Palácio Nacional di Queluz, la Fondazione Gukbenkian, il Parques de Sintra ed il Centro Culturale di Belém, ed invitando numerosi solisti, per lo più italiani, per concerti e Master classes.
Ho già parlato dell’attività discografica di Divino Sospiro per in occasione di un prezioso Antigono, diretto da Enrico Onofri, un’opera anch’essa dimenticata, scritta nel 1775 dall’italiano Antonio Mazzoni su libretto del Metastasio per il teatro dell’Opera del Tago a Lisbona.
L’ensemble ritorna ora, e questa volta diretto da Massimo Mazzeo, per un programma denso di riferimenti italiani. Francisco Xavier Garcia Fajer nacque in Spagna nel 1730, ma già adolescente venne in Italia, ove perfezionò la sua formazione musicale a Napoli, nel prestigioso Conservatorio della Pietà dei Turchini, fu maestro di cappella a Terni e compose non soltanto musica sacra ma anche degli Intermezzi profani che conobbero una certa fortuna europea. In Italia Francesco Saverio Garzia divenne “lo Spagnoletto”, soprannome che gli restò anche al suo ritorno in patria. In Spagna egli abbandonò ogni attività operistica, ma quello stile, di cui si era impregnato durante il suo soggiorno italiano, gli restò, movimentando le sue musiche sacre ed attirando sul compositore spagnolo, il più onorato del suo tempo, le critiche della musicologia del suo paese.
Le Siete palabras de Cristo en la cruz (Le sette parole di Cristo sulla croce) sono lo splendido esempio di una “messa in scena” di questo testo liturgico, delle meditazioni sulle ultime parole di Cristo in croce che raggiungono vertici di emozione in una impressionante teatralità . “Un dolore mediterraneo” secondo la felice definizione di Massimo Mazzeo che ha scelto di associare a questa visione della pietas scritta in un castigliano vernacolare per due voci di soprano, quella più dotta dello Stabat Mater del portoghese José Joaquim dos Santos, con le sue affascinanti oscure tonalità di un organico che ricorre, per accompagnare le de voci di soprano ed il basso, esclusivamente alle corde gravi, con le due viole concertanti che avvolgono la scena nella penombra di una fosca drammaticità.
Passio Iberica
Francisco Xavier Garcia Fajer: The seven last words of Christ, José Joaquim dos Santos: Stabat Mater – Divino Sospiro, Massimo Mazzeo – Pan Classic (65’21)
Motetti e Canzoni virtuose
La Guilde des Mercenaires, Adrien Mabire – L’Encelade (67’)
Sonorità nuove, dall’apparenza austera eppur agili ad intessere trame flessibili, nello slancio di un fervore mistico esaltato nella contemplazione. Sono i rari strumenti della Guilde des Mercenaires, il prezioso ensemble diretto da Adrien Mabire che ci presenta un raffinato programma di musiche italiane di un Rinascimento che prediligeva ancora e sopratutto la cappella alla corte per le sue manifestazioni musicali.
Particolarmente importante, ed interessante e densa di conseguenze ed implicazioni, è stata la scelta dell’organo. Gli strumenti d’epoca – i più importanti erano quelli di San Marco a Venezia e di San Petronio a Bologna – essendo ormai scomparsi, Adrien Mabire non ha voluto far ricorso – come abitualmente si fa per questa musica – ad un organo portativo, ma ha approfittato dello splendido strumento dell’abbazia di San Amant de Boixe, uno strumento nuovo – è stato inaugurato nell’aprile 2012 – ma concepito su un modello olandese dell’inizio del ‘500 (alcune immagini dell’organo sono visibili nel video).
La scelta di un grande organo, dalle sonorità potenti e con i suoi timbri di notevole evidenza, è una sfida per gli strumenti, che devono poter suonare “forte” ed, al tempo stesso, con grande agilità, da cui la scelta di strumenti ad ancia e a bocchino: cornetto, cornetto muto, , bombardino, fagotto e fagotto tenore e basso che con le loro singolari sonorità dialogano con i flauti e la celestiale voce di Violaine de Chenadec.
Un disco singolare, e realizzato con singolare competenza e passione.
Bach in Bologna
Mauro Valli: violoncello – Arcana (195’18)
Con uno di quei deliri che può autorizzarsi chi con la musica ha soltanto un rapporto di appassionato ascoltatore, posso ben immaginare un improbabile (questione d’età …) incontro tra Johan Sebastian Bach e Minghéin dal viulunzéel – era questo il soprannome che i suoi concittadini davano a Domenico Gabrielli.
Il giovane virtuoso bolognese ha avuto un’idea quanto meno originale per l’epoca, e la comunica al genio tedesco, che tanto ama l’Italia e la sua musica come sorgente d’ispirazione : il violoncello comincia ad affermarsi come strumento solista, minacciando il territorio della viola da gamba; perché, quindi, non affrancarlo dall’accompagnamento – clavicembalo, liuto o tiorba che sia – e dargli un ruolo di protagonista assoluto, facendo trionfare la sua voce, piena, ricca di timbri e d’espressioni, e che si presta agli “affetti” più variati? E Minghéin mostra i suoi Ricercari, giusto un’idea, un’appunto, uno schizzo, per mostrare quel che il violoncello solo può fare e dire, come bene riesce a muoversi, a definire il suo spazio, a tracciare fantastiche evoluzioni, senza bisogno di appoggio, senz’alcun complemento armonico per sostenere il suo liberto canto.
Non so se mai Johan Sebastian Bach li abbia effettivamente avuti tra le mani questi Ricercari, ma niente ci impedisce di immaginare che quest’idea, come sovente le idee geniali, abbia fluttuato nello spazio, al di là dei confini, raggiungendo qualche anno dopo la corte del principe Léopold d’Anhalt-Köthen ove Bach viveva uno dei momenti più felici della sua vita, creando gran parte dei suoi capolavori strumentali, tra gli altri le 6 Suites per il violoncello solo.
E Mauro Valli, interprete di questa geniale comunione, ci crede duro come ferro – all’appoggio la quasi completa corrispondenza delle tonalità delle composizioni – autorizzandosi, di conseguenza, una versione viva, innovante, costellata di diminuzioni ed ornamenti, coraggiosa e personale, movimentando gloriosamente quel monumento che sono le Suites con l’inframmezzarsi dei Ricercari.
Les défis de M.r Forqueray
Corelli, Mascitti, Forqueray – Lucile Boulanger: viola da gamba – Harmonia Mundi (76’07)
Il Re – Louis XIV – è morto, e la viola da gamba inizia il suo lento, dignitoso ma inesorabile declino. “Cosa c’è di meglio di una viola da gamba? – domandava il Re Sole ai suoi cortigiani, e come, ovviamente, nessuno osava rispondere – … due viole da gamba …! – soggiungeva il Monarca che oltre a prediligere lo strumento per i numerosi eventi musicali che costellavano la sua giornata, lo suonava anche passabilmente bene.
Non so se la storia di questo bon mot sia vera, sta di fatto, comunque che, morto di Louis XIV, il violino, con suoi brillanti virtuosi-compositori giunti dall’Italia – il napoletano Michele Mascitti, “Monsieur Michel” primo tra tutti, ma anche Francesco Geminiani e Giovan Battista Somis – prese ben presto il sopravvento, profittando sopratutto dei primi concerti pubblici – i Concerts spirituels – nei quali le sue sonorità, più esplicite e coinvolgenti, meno confidenziali di quelle pur affascinanti della viola da gamba, avevano buon gioco.
Ma i grandi virtuosi ed i fedeli appassionati resistevano, e la “Défense de la basse de viole contre les entreprises du violon et les prétentions du violoncelle” (Difesa della viola da gamba contro gli attacchi del violino e le pretese del violoncello”) di Hubert le Blanc ci mostra con quanta passione e accanimento.
Lucile Boulanger illustra con questo suo primo, interessantissimo cd, un singolare aspetto degli ultimi anni della gloriosa sopravvivenza della Grande Dame, domandandosi quale potesse essere la pratica strumentale di chi, di fronte all’egemonia del violino, scriveva musiche sempre più complicate per la viola. Lucile immagina, quindi, un ipotetico concerto di Antoine Forqueray, l’ultimo, forse, dei grandissimi virtuosi, e che già aveva trascritto per il suo strumento molta musica scritta all’origine per il violino. Una Sonata a violino solo e basso di Mascitti, quindi, apre il programma, poi una di Arcangelo Corelli ed una di Jean-Marie Leclair, un musicista che Forqueray aveva in gran considerazione, avendogli anche dedicato una sua composizione, anch’essa qui registrata.
Lucile si fa qualche lodevole scrupolo sulla legittimità della sua impresa, a metà strada tra l’evocazione musicologica e il devoto omaggio, ma può star tranquilla: non credo proprio che questo tipo di sottigliezze o di rigori fossero di moda in un’epoca nella quale ci si appropriava tranquillamente, si adattava, si trascriveva con più o meno rispetto per il lavoro altrui.
E la sua grande sensibilità e passione di interprete autorizzano gli eventuali arbitri alla luce dell’originalità dell’iniziativa.
Transforming Tradition
Beethoven, Giuliani, Haydn, Mozart – Noémi Györi: flauto, Katalin Koltai: chitarra – Genuin (72’55)
Non ha certamente le stesse, eventuali, motivazioni di Antoine Forqueray la bella Noémi Györi nell’audace operazione che l’ha condotta a concepire il programma di questo accattivante, seducente cd.
C’è chi lo vede – Yean-Yves Duperron (Classical Music Sentinel) – come un rimedio per i musicofili allergici al suono del pianoforte; io lo ascolto e lo ricevo come una stravagante, entusiastica iniziativa per condividere le emozioni e le fantasie suscitate in una flautista virtuosa ed anticonformista – e nella sua complice, alla chitarra e nell’opera di trascrizione, Katalin Koltai – dall’ascolto di questi capolavori: due Sonate di Franz-Joseph Haydn, una (la monumentale Les Adieux) di Ludwig van Beethoven e la sublime Fantasia n.3 in re minore K.397 di Wolfgang Amadeus Mozart.
Conclude il programma il trionfale Gran duo concertante op.85 di Mauro Giuliani, quasi a proporre un termine di confronto tra una composizione originale e le trascrizioni.
Una combinazione di suoni di colori talmente gradevole ed euforizzante che ogni scrupolo musicologico va, comunque, a farsi benedire. Da sentire seguendo questo link