Ricco di umorismo, “Un gentiluomo a Mosca”, con un cast di personaggi scintillante e una scrittura impeccabile, ripercorre un secolo di storia della Russia moderna
L’autore americano di “Un gentiluomo a Mosca”
Amor Towles è nato a Boston nel 1964. Si è laureato a Yale e ha conseguito un dottorato in letteratura inglese a Stanford. È un grande appassionato di storia dell’arte, soprattutto della pittura di inizio Novecento, e di musica jazz. Vive a Manhattan con la moglie e i due figli. La buona società (Neri Pozza, 2011) è il suo primo romanzo e ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico.
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“Un gentiluomo a Mosca”: un solo libro che ne contiene altri
Ci sono libri che contengono libri. Senza volerlo. O senza che l’autore abbia deciso di farlo. Semplicemente per come sono costruiti e per quanto ci riescono a dare.
“Un gentiluomo a Mosca” rientra tra questi libri. La ragione per cui l’ho scelto ovviamente non è questa, ma come sempre un’ispirazione lì sul momento e qualche commento letto qua e là. Come forse credo di avervi già raccontato, le letture notturne, che amo molto e a cui non rinuncerei mai, richiedono dei libri di un certo tipo: rilassanti, sereni o serenamente scritti, senza sussulti, crimini, angosce, eccessi di alcol o droghe o ansie di vario genere. Che altrimenti mi rovinano il sonno.
“Un gentiluomo a Mosca” ti fa sentire meglio fin dalle prime pagine
Alexander Rostov è un nobile catturato nel bel mezzo della rivoluzione bolscevica, a cui però toccano gli arresti domiciliari invece della Siberia, e dato che il suo domicilio è l’Hotel Metropoli di Mosca, al momento si tratta di traslocare da una lussuosa suite a una delle stanze della servitù e del personale nel sottotetto dell’albergo. Il conte ha delle riserve auree su cui contare per mantenere il suo tenore di vita, e soprattutto ha delle riserve di spirito e di intelligenza per affrontare una vita che sia tutta contenuta all’interno di un hotel. Si tratta di un hotel di lusso e internazionale, ma la prospettiva di non potersi muovere sarebbe una dura prova per chiunque.
E lo è anche per il Conte Rostov, che usa la sua cultura, la sua educazione, quel senso di rispetto per chiunque altro che qualche volta le classi alte e nobiliari coltivano, per affrontare quella che sembra una prospettiva soffocante e desolata. In realtà l’hotel è un piccolo mondo in cui succedono molte cose, e il personale, che il Conte Rostov ha sempre trattato con garbo e gentilezza, si rivela amico e qualche volta anche complice. Tra le tante amicizie che il Conte affina nel tempo del suo arresto, quella con la dodicenne Nina è la più intensa e la più insolita, ed è destinata a influire in modo decisivo sulla sua vita.
“Un gentiluomo a Mosca” e l’obbligo di reinventarsi la vita, in cattività
Mentre nell’hotel si avvicendano alti funzionari di partito, compagni e rivoluzionari, mentre la Russia porta a compimento i piani quinquennali, perseguita i suoi stessi seguaci e trasforma la rivoluzione in uno status quo ferreo e ingessato, il Conte Rostov si reinventa la vita. Incontra l’amore, riceve in affidamento temporaneo la figlia di Nina che diventa sua figlia oltreché figlia di tutto l’hotel, imbastisce amicizie con il variegato e internazionale pubblico del bar del Metropol.
Gli resta una nostalgia, quella per i meleti di Nizhny Novgorod, che davano al miele un gusto indimenticabile e inimitabile. Come la famosa madeleine di Proust, anche per il conte Rostov il momento in cui gusta quel miele che non ha uguali è il momento in cui capisce quello che conta davvero. E quindi in un certo senso il Conte ha una missione, che si è dato e che proprio per questo non ha bisogno di essere condivisa o raccontata, ma solo di essere realizzata.
E perché vi ho detto che ci sono tanti libri in questo libro? In un certo senso si potrebbe dire di tutti i libri. Ma qui c’è il romanzo di Alexander Rostov, la sua storia personale di evoluzione, di adattamento, di ribaltamento delle circostanze fino a un finale che ovviamente non vi racconto, ma che sono sicura vi piacerà tantissimo. C’è il romanzo di Sofia, figlia di Nina, involontariamente abbandonata, adottata dal Conte Rostov e da tutto il personale dell’Hotel Metropoli, che diventa pianista per caso e nella musica trova la salvezza, letterale e non solo. C’è il romanzo della Russia, tracciato tra le righe, quel passaggio traumatico e terrificante da società agricola e feudale a impero dei soviet, con in mezzo quantità mostruose di sofferenza, ma anche slanci, entusiasmi, dedizione sincera e ignara alla causa della rivoluzione del proletariato. C’è il romanzo dei personaggi minori, il concierge dell’hotel, la sarta, il barbiere, i camerieri, il cuoco, il direttore musicale, ognuno con la propria storia, i propri drammi e sogni. C’è il romanzo dell’hotel Metropol, delle sue stanze che assorbono segreti e tracce, dei suoi luoghi segreti che si svelano a chi li vuole conoscere, del suo servizio perfetto e della sua immutabilità nel passaggio epocale della storia russa.
La voce profonda dell’autore nelle pagine di “Un gentiluomo a Mosca”
E poi naturalmente c’è la scrittura, o meglio la voce di Amor Towles. Perché come sappiamo tutti noi lettori, non è quello di cui si parla che conta, ma come se ne parla. E la voce di Amor Towles ricorda la grande letteratura inglese, quella che riesce ad essere precisa e compita e proprio attraverso precisione e compitezza riesce a far sorridere, arrabbiare, aver paura, sorprendersi. Viene da pensare che davvero non c’è bisogno di parole forti e nuove, non c’è bisogno di espressioni nuove, le parole che abbiamo sono abbastanza, le costruzioni grammaticali e sintattiche pure, si tratta solo di metterle al servizio dell’intelligenza e dell’anima. Che anzi più si resta fedeli alla regola e al canone, più il contenuto prende forza e se non trabocca filtra, inesorabilmente e con grande forza.
La lettura di “Un gentiluomo a Mosca”, insomma, è piacevole e così ricca che alla fine non si può che essere felici. Direi che è molto, no?