Noi signore italiane che abbiamo sempre pensato di vivere in una società irrimediabilmente maschilista, forse la più maschilista tra le società tecnologicamente avanzate, ora ci possiamo ricredere. C’è una società supertecnologica, all’avanguardia per tanti aspetti pratici e materiali, con i treni superveloci e i negozi aperti a tutte le ore del giorno e della notte, ma anche di tradizione antichissima, con un’estetica tra le più raffinate, che è tanto o forse più maschilista della nostra. Ed è il Giappone. Paese di cui non sappiamo nulla ma di cui pensiamo di sapere molto, avendo letto i libri di Murakami Haruki e Banana Yoshimoto e Yukio Mishima e Kazuo Ishiguro, avendo sfogliato i manga o guardato i fumetti in Tv, avendo mangiato il sushi il sashimi e il tempura.
Io personalmente ho una passione per i kimono, dormo su un futon e ho sempre trovato geniali le case giapponesi, quelle viste in foto ovviamente, con il loro minimalismo, gli spazi minimi ma puliti, essenziali, godibili al massimo. Sì, il Giappone mi ha sempre affascinato. Per cui quando ho visto, verso la fine di agosto, la copertina del settimanale “Sette” dedicata alla scrittrice Mieko Kawakami e al libro “Seni e uova”, mi sono subito detta questo lo voglio leggere, e se mi piace ne parlo su GreyPanthers.
E così è stato. “Seni e uova” tra l’altro è un oggetto molto bello. Io rimango sempre colpita anche dall’estetica di un libro, e anche se so che l’abito non fa il monaco, per comprare un libro la cui copertina mi risulti davvero brutta devo avere delle motivazioni forti di altro tipo. In questo caso per fortuna dentro e fuori coincidono. “Seni e uova” racconta un pezzo di vita di tre donne, due sorelle e la figlia di una di loro, alle prese con tre temi femminili per eccellenza: una vorrebbe rifarsi il seno, l’altra pensa di fare un figlio con l’inseminazione artificiale, e la giovane cerca di capire il mistero del “diventare donna” e del menarca.
Sono donne normali, che stentano ad arrivare a fine mese, ma lavorano instancabilmente, che vogliono essere indipendenti per quanto fatica costi, e che non sono disposte ad avere “un uomo purchessia”. Anzi. Visto che la maggior parte degli uomini giapponesi non ha rispetto per le donne in genere e meno che mai per la moglie o compagna, visto che non aiuta in casa o nella vita e spesso è pure violento, se ne può fare, forse se ne deve fare a meno. In realtà ci sono anche dei personaggi maschili buoni e generosi, per fortuna, ma sono una rarità. E in ogni caso i rapporti tra i due generi sembrano ancora più difficili che da noi: una distanza siderale separa gli uomini dalle donne, e non sembra ci sia interesse a superarla. In questo vedo una grande differenza con la nostra società e il nostro mondo, in cui pure una distanza notevole separa uomini e donne, ma in cui mi sembra che lo sforzo di avvicinamento sia costante per quanto spesso inutile.
Midoriko è una ragazzina studiosa e seria, che non capisce perché le sue compagne e amiche non si interessino di altro che del menarca. Chi l’ha già avuto e chi non ce l’ha, a cosa serve e perché. Le grandi domande sul senso della vita, per Midoriko che mette per scritto tutti i suoi pensieri, passano anche da lì.
E Natsuko, aspirante scrittrice all’inizio del romanzo e scrittrice affermata, ma in crisi verso la fine, Natsuko rifugge i rapporti sessuali ma desidera un figlio. E quindi comincia a esplorare il mondo dell’inseminazione artificiale, le possibilità e i limiti. Che vuol dire esplorare perché siamo al mondo, che storia abbiamo alle spalle, che cosa ci è stato lasciato e che cosa lasceremo noi. Natsuko si documenta sulle leggi che regolano l’utilizzo dell’inseminazione artificiale, e di certo sa che ci vuole un certo livello di benessere, di avanzamento tecnologico e di diffusione dell’alfabetismo e della cultura perché la nascita di un figlio non sia più un accadimento naturale, ma una scelta deliberata. Ma le domande vere che Natsuko si pone sono personali: se e perché lei sente davvero la necessità di “incontrare” il proprio figlio; come si sentono le persone che sono nate da un donatore e lo scoprono, come in genere succede, per caso, senza che nessuno si sia preoccupato di informarli e rassicurarli; chi sceglierà come donatore; come si comporterà lei, se deciderà di farlo. C’è una grande limpidezza nella scrittura di Meiko Kawakami, e anche una grande precisione, come se proprio non volesse che allusioni, cose dette a metà e frasi a effetto potessero confonderci, non farci arrivare con chiarezza quello che ci vuole dire. L’analisi di quello che i personaggi pensano o non riescono a pensare, di quello che provano o non possono provare, è accuratissima, e ci guida per tutta la lettura con sicurezza e scioltezza.
E attraverso la vita di Natsuko, Mikiko e Midoriko ci avviciniamo a temi che sono oggetto di grande discussione nel mondo di oggi. E li possiamo vedere in una nuova luce, che gli restituisce tutto il loro valore affettivo, emotivo e umano. È una bella scoperta, questo romanzo. E anche questa scrittrice, di cui speriamo di poter presto leggere altre cose. Buona lettura!