L’uomo che amava i libri di Patrick Dewitt è un romanzo sulla normalità e sulla follia e su come queste due realtà si mescolino intorno a noi e siano, dentro di noi, indissolubilmente legate
“Visto da vicino nessuno è normale”. Quante volte ci viene in mente questa bellissima frase, davvero rivoluzionaria, di Franco Basaglia. Viene in mente anche leggendo L’uomo che amava i libri di Patrick Dewitt, un romanzo sulla normalità e sulla follia e su come queste due realtà si mescolino costantemente intorno a noi e siano, dentro di noi, indissolubilmente legate. Bob Comet è un bibliotecario in pensione. Ha passato la sua vita in compagnia dei libri, quelli che legge e quelli che presta, mette in ordine, custodisce. La biblioteca di Portland è la sua casa e nello stesso tempo il suo mondo, il luogo dove si sente a suo agio e quello dove incontra la vita e il suo prossimo. Un luogo da cui non ha mai desiderato allontanarsi, ma che ha lasciato con la pensione.
Vive da solo, da molto tempo non ha più la madre, né la moglie Connie, né l’amico Ethan, né altre relazioni. Fa lunghissime passeggiate attraverso la città, e un giorno si imbatte in una donna che da ore è ferma davanti al frigorifero di un 7/Eleven, una donna vestita da bambina, ma con i capelli bianchi, che porta al collo un cartellino: se la si trova la si può riportare al centro anziani Gambell-reed. E nello stesso 7/Eleven un altro cartello dice che quello stesso centro anziani cerca dei volontari.
È così che una passeggiata qualunque di una giornata qualunque cambia per sempre la vita di Bob Comet.
L’uomo che amava i libri, normalità ed eccezionalità della vita
È nella ordinarietà e nell’eccezionalità delle vicende di Bob che stanno la bellezza e il fascino di questo romanzo. Perché dentro la quotidianità, dentro giorni apparentemente uguali e noiosi, dentro vite che sembrano semplici, a guardar bene si celano racconti incredibili, storie improbabili, combinazioni di incontri, di perdite e ritrovamenti, di occasioni, che possiamo vedere quando guardiamo con occhio limpido e scevro da pregiudizi. Un occhio che spesso non abbiamo perché siamo in cerca dell’eccezionalità e del magnifico che crediamo di trovare fuori da noi. Mentre sta dentro il nostro sguardo.
Sta naturalmente anche dentro il racconto, quello che facciamo ogni giorno della nostra vita e di quella degli altri. Il racconto attraverso il quale diamo un senso alla nostra vita. Che è anche il racconto del mondo intorno a noi, delle persone con cui interagiamo. Che è anche il racconto del nostro mondo interiore, e dell’incontro e talora scontro di quel mondo dentro di noi con quello fuori di noi. Il racconto che ci rende quello che siamo. E mentre i social ci stanno deformando la vista dando spazio solo agli estremi, alle bruttezze su cui sparare a zero o alle bellezze da riempire di like, la vita quotidiana ci regala ogni giorno sorprese e piccoli gioielli.
Bob è uno di noi, uno qualsiasi, con la sua piccola vita, rituali, abitudini, paure, certezze che si spera vadano a contrastare le paure. Non cerca più niente, ma forse proprio per questo trova un tesoro. Lo trova in un centro anziani, un luogo dove sì, saremmo disposti forse ad andare a fare un po’ di volontariato, ma da cui ci teniamo a distanza di sicurezza. Lì Bob incontra persone che hanno perso molto, di quello che avevano e di quello che erano. Ma in questa perdita hanno trovato la loro umanità più profonda, più essenziale, fragile e acciaccata, piena di ironia e anche di voglia di vivere. Perché si è finalmente capito, verso la fine della vita, che ogni attimo è prezioso e nulla va sprecato. Il centro anziani offre a Bob anche un modo, bizzarro e inaspettato, di comprendere il suo passato, quel pezzetto di esistenza che era rimasto senza spiegazione, e che gli restava dentro come una domanda, non di quelle che non hanno risposta ma di quelle che fanno male finché una risposta non la trovano. Un pezzetto di esistenza come congelato, che finalmente si sgela.
Così questo romanzo, L’uomo che amava i libri, che riesce ad essere triste e divertente, tenero e crudele, più tenero che crudele, contiene un grande insegnamento, particolarmente prezioso per noi senior. Che fino a quando non è scritta la parola fine tutto può cambiare, e che quando il nostro sguardo si pulisce, si affina e si libera, anche per un solo attimo, di quello che crediamo di sapere, quando questo succede o lo facciamo succedere, allora il mondo cambia, le persone intorno a noi cambiano. La magia, il miracolo della vita si rivela e diventa tangibile, evidente, lì davanti a noi da sperimentare e assaporare.
Grazie dunque a Patrick Dewitt e all’editore Neri Pozza. Una lettura che rasserena, incoraggia e rallegra è sempre un bellissimo regalo per noi lettori.
L’uomo che amava i libri, di Patrick Dewitt
L’esistenza di Bob Comet, bibliotecario in pensione, scorre come un lungo fiume tranquillo: non ha amici, il suo telefono non squilla mai e se qualcuno bussa alla sua porta, di sicuro è per vendergli qualcosa. Da tempo Bob ha rinunciato all’idea di conoscere il prossimo, o di lasciarsi conoscere, e il suo unico modo di stare nel mondo è tramite la lettura: qualcosa di vivo, in costante movimento e perenne crescita. In quasi tutte le stanze della sua casa ci sono scaffali zeppi di volumi, nei corridoi ordinate torri di libri, ovunque romanzi ammassati. L’altro piccolo piacere che Bob si concede è camminare. Le sue lunghe passeggiate cominciano senza una meta precisa e non prevedono contatti umani. Fino al giorno in cui, entrando in un 7-Eleven, si imbatte in una donna dall’aria assente, ferma davanti alle porte di vetro dei frigoriferi. La donna è vestita come una bambina, ma da sotto il berretto le spunta una zazzera bianca e scarmigliata. Al collo ha un foglietto legato a una cordicella, con la scritta: Mi chiamo chip, e vivo al centro anziani Gambellreed. Nel ricondurre la sperduta signora alla residenza per anziani, lo sguardo di Bob cade su un volantino in una bacheca: è un appello a fare volontariato presso quel centro. Un’occasione, per Bob, di sottrarsi all’ostinata solitudine di decenni. Ma anche, in modo del tutto inatteso, l’opportunità di riconciliarsi col suo passato e, forse, affrontare la feroce nostalgia per un amore perduto.