Ann Petry
La strada
Genere: Narrativa Contemporanea
384 pagine – Prezzo: € 20,00
In genere so perché un libro mi è capitato tra le mani. So se l’ho cercato io o se mi ha cercato lui. O se ci stavamo cercando da così tanto tempo che era inevitabile che ci incontrassimo.
Con Ann Petry e il romanzo “La strada”, sono abbastanza sicura che mi abbia cercato lei. Anche se la copertina è molto bella e invitante, e di sicuro l’ho notata fra le tante novità arrivate in libreria, quella copertina competeva con molte altre altrettanto promettenti. Ma il fatto di essere un libro che era stato pubblicato nel 1940, questo mi ha attratto più di tutto. Mi ha fatto venire in mente quando è stato riscoperto Stoner, di John Williams, uno dei libri con cui ho maggiormente stressato amici e conoscenti perché lo leggessero. L’avevo proprio adorato.
Dunque “La strada” è stato pubblicato nel 1940, dalla scrittrice nera Ann Petry, con un grandissimo successo. Anche in Italia, lo ha pubblicato un piccolo editore che non esiste più.
Poi però il libro è sparito. Inghiottito dalla storia.
E ora che è riemerso, mi sono detta ci dev’essere un perché. Essere sopravvissuto, seppure sotterraneamente, per ottant’anni, e riapparire nell’affollamento dell’editoria degli anni venti del nuovo secolo, beh, ci doveva proprio essere un perché. E basta leggerlo, per capire perché. Sulla 116esima strada di New York, proprio dentro Harlem, va ad abitare Lutie, giovane donna nera molto bella, insieme al figlio. Non vi racconto che cosa succede, quello ve lo leggete da voi.
Vi racconto invece che all’inizio mi dava un po’ di claustrofobia, questa ambientazione in una strada newyorchese, una giornata di vento d’inverno, un appartamento angusto, buio, all’ultimo piano ma con le finestre piccole e la vista su degli spazi abbandonati, solo cani affamati e spazzatura. Chissà perché, quando Lutie va a vedere l’appartamento, decide di salire le scale davanti al custode. Lutie non pensa, non si rende conto, di scatenare in questo modo un desiderio che non può essere arginato e controllato. Nonostante sia e sappia di essere bella, Lutie non intende usare la sua bellezza per ottenere una vita migliore. Vuole ottenere una vita migliore, per sé e per suo figlio, ma con il lavoro, con la determinazione, con la fatica, il sacrificio. Ed è terribilmente disturbata, turbata e impaurita dal desiderio che suscita negli uomini. Perché non è solo il custode, a sognarsela di notte e a cercare un modo per averla. Sono tutti gli uomini che Lutie incontra. Neri e bianchi.
E qui, sul desiderio, c’è stata una singolare coincidenza, che vi devo raccontare anche se implica un altro libro. Ma d’altro canto, siamo qui per parlare di quello, no?
Lasciate da parte le coincidenze, ho amato “La strada” anche se mi ha fatto stare un po’ male. Non è uno di quei libri che quando lo leggi ti si allarga il respiro perché sei entrato in un mondo diverso e così lontano dal tuo che ogni piccolo dettaglio ti meraviglia. Anzi, quella sensazione di essere una preda, di non poter sfuggire al desiderio maschile, l’ho conosciuta bene quando ero giovane e sono sicura che l’abbiano provata anche molte altre signore della mia età. Forse non la provano più le ragazze di oggi, ma non lo so.
E comunque il tema portante del libro è l’odio razziale. E quello mi ha fatto stare male perché, mutatis mutandis, c’è ancora. C’è qui a casa nostra, sui social ma anche nelle nostre strade. Magari riusciamo a leggerlo soltanto, invece che a viverlo sulla pelle. Ma c’è, inequivocabilmente.
Lutie, la protagonista di “La strada”, è nera, per quanto bellissima. E i pregiudizi nei confronti dei neri negli anni 40 in America prendono la forma dell’odio ancora più brutalmente che adesso. Un odio percepibile al primo sguardo. Un odio che genera odio. E se questa frase la sentiamo dire e la vediamo scritta sui giornali e ci sembra quasi una frase fatta, in questo libro all’improvviso diventa vera, tangibile, concreta sotto i nostri occhi.
Vi dico un’ultima cosa, di questo libro. Che è uno di quelli che più ci pensi dopo che l’hai finito, più ti vengono in mente idee e pensieri, e più ti dici che sei proprio stata contenta di averlo trovato!
L’autrice
E allora ho pensato ecco sono passati ottant’anni e siamo passati dal racconto del desiderio maschile, predatorio, incontrollato, spesso insopportabile per chi ne è oggetto, a quello del desiderio femminile, controllato, represso, difficile da riconoscere, causa di sensi di colpa e di inadeguatezza, ma presente come ottant’anni prima non si riusciva neppure a immaginare. Sono tanti ottant’anni? Sono pochi? Come li misuriamo? Certo che sono lì, a separare dei mondi, delle epoche verrebbe da dire. A farci capire come la prospettiva da cui guardiamo le cose influisce sul modo in cui le vediamo.
Non mi resta che augurarvi buona lettura!
Emma Faustini