Un racconto, in prima persona, di Slaght, giovane ornitologo e naturalista, che studia il gufo pescatore, una specie molto poco conosciuta e probabilmente in pericolo. Un racconto di grande amore, per i luoghi e per gli animali
Si parla sempre più di biodiversità, di ambiente irreparabilmente danneggiato, di cambiamento climatico fuori controllo. Sono temi di cui è difficile scrivere in un modo che sia appassionante e piacevole. Si impara, però, moltissimo leggendo i romanzi, i racconti, i reportage. Si impara senza sforzo e quel che si impara resta molto più impresso che se avessimo ascoltato una conferenza o consultato un manuale. “I gufi dei ghiacci orientali” di Jonathan Slaght è un’esperienza di questo genere. Una lettura da cui si esce arricchiti e con la sensazione di aver capito un po’ di più, sia delle specie in pericolo di estinzione che di quel che possiamo fare noi uomini, e in particolare gli scienziati.
“I gufi dei ghiacci orientali” è il racconto, in prima persona, di un giovane ornitologo e naturalista che studia il gufo pescatore, una specie molto poco conosciuta e probabilmente in pericolo. Il gufo pescatore vive in luoghi freddissimi come il nord del Giappone e soprattutto il Territorio del Litorale, la regione di Vladivostok, all’estremità orientale della Russia. Si tratta di un territorio selvaggio e poco abitato, dal clima estremo sia in inverno che in estate. Ricoperto di foreste, fiumi e laghi, è habitat di molte specie che possono vivere solo in quell’ambiente, ed è a rischio già da qualche anno per lo sfruttamento delle foreste e dei fiumi.
In apertura: il gufo pescatore di Blakiston (foto di petr_mametev)
Il gufo pescatore è un uccello molto grande, che come dice il nome si nutre di pesci di dimensioni importanti. Ha una vita piuttosto lunga e si riproduce lentamente, ogni coppia fa un paio di uova da cui in genere nasce un solo piccolo. Jonathan Slaght fa del suo studio del gufo pescatore la sua tesi di dottorato per un’università degli Stati Uniti: una ricerca sul campo per capire di che spazio e di che tipo di ambiente ha bisogno questa specie per riprodursi e sopravvivere. Con queste informazioni l’amministrazione locale potrà mettere in atto provvedimenti e pratiche per preservare questa specie. La ricerca è molto avventurosa e porta Jonathan a vivere lunghi inverni sul Litorale, insieme a ricercatori russi che conoscono il posto, e a bizzarri personaggi che abitano il Litorale a diverso titolo, con le loro regole non scritte e un’accoglienza non sempre calorosa ma di certo molto alcolica.
Il racconto di Slaght è semplice e onesto. Non nasconde i momenti di noia e quelli di scoraggiamento, quando insieme a un altro ricercatore si appostano per avvistare il gufo pescatore, o quando cercano di trovare la trappola migliore per catturare i diversi esemplari, mettergli le fascette di riconoscimento e i sistemi GPS per registrare i loro movimenti e così calcolare le dimensioni del loro raggio d’azione. Non nasconde le difficoltà di convivenza, in particolare con qualcuno dei suoi compagni di lavoro: alcuni sono gli stessi anno dopo anno, altri cambiano e non sempre sono facili e piacevoli. Non nasconde la complessità del processo di apprendimento delle abitudini dei gufi pescatore: per studiare una specie ci vuole tenacia, pazienza, ingegno e un po’ di fortuna. Specialmente quando lo si fa in pieno inverno, tra i 30 e i 40 gradi sotto zero, nel mezzo della foresta. O quando ci si ritrova all’improvviso all’inizio della primavera, con il disgelo, i ghiacci che si sciolgono, i fiumi in piena e la terra che diventa fango.
Però c’è un grande amore, per i luoghi e per gli animali, che Jonathan Slaught ci trasmette nelle sue pagine. Un grande amore per la natura, di fronte alla quale si resta sempre sorpresi e di cui ci si sente parte, con gioia e con timore. Siamo una specie a rischio anche noi, rappresentiamo noi stessi una minaccia per la nostra specie, se non impariamo a capire che l’ambiente non è qualcosa di fuori da noi, ma siamo noi. Potrebbe sembrare che anche se il gufo pescatore si estinguesse, pazienza, ci sono tanti altri gufi e tanti altri animali. Invece grazie agli studi scientifici come quello di Jonathan Slaght abbiamo imparato che ogni specie è necessaria all’equilibrio degli ecosistemi. Abbiamo anche imparato che quell’equilibrio è dinamico e in continuo mutamento. E che possiamo entrare in quell’equilibrio e convivere con la natura: con rispetto, cura e attenzione. Che non sono ovvie, ma si imparano. Questo libro ci dà un piccolo aiuto in questo senso, con leggerezza e passione.
Che bel regalo di Natale potrebbe essere…
Jonathan Slaght, I gufi dei ghiacci orientali
La ricerca di un raro gufo nell’Estremo Oriente russo diventa una riflessione sulla fragilità della natura e il resoconto autoironico di una rocambolesca avventura in mezzo a un’umanità tanto romanzesca quanto reale.
Antiche foreste dove cacciano tigri e leopardi, fiumi che brulicano di salmoni giganteschi, tronchi cavi abitati da orsi in letargo: è il Litorale, una lingua di terra dell’Estremo Oriente russo stretta tra il Mar del Giappone e la Cina. Jonathan Slaght, scienziato naturalista americano, vi è arrivato per studiare il gufo pescatore di Blakiston, sua ossessione da anni: il più grande al mondo, tanto bello quanto raro, e soprattutto a rischio per la fragilità di un ecosistema minacciato dall’antropizzazione. Ma le questioni scientifiche e filosofiche lasciano presto spazio a quelle pratiche, perché in un luogo così inospitale è difficile separare l’oggetto dello studio dalle durezze del terreno di ricerca: nel Litorale non esistono strade, ma fiumi ghiacciati da risalire in motoslitta, a volte accelerando per evitare di sprofondare nelle acque gelide. E poi bisogna arrampicarsi su tronchi altissimi per vedere se in cima c’è un nido, appostarsi in una tenda a trenta gradi sotto zero e sperare che le orme di tigre trovate sul sentiero non siano fresche come sembrano. Altrettanto affascinante dei gufi si rivela poi la varia umanità che popola il Litorale: eremiti, ex agenti del KGB, cacciatori con un braccio solo, latitanti che nella foresta hanno trovato rifugio, uomini inselvatichiti che bevono vodka, etanolo e persino detergente e si immergono nei corsi d’acqua scaldati dai gas radioattivi. Con il talento per l’osservazione del naturalista, Jonathan Slaght ci trasporta in un viaggio in terre sconosciute e, mentre lo sguardo distaccato dello studioso cede il posto a quello meravigliato e autoironico dello straniero, con passo da romanziere ci trascina nelle sue avventure sui ghiacci dell’Est.