“Arthur e George” è un romanzo giallo. Ma è anche una storia vera in cui i destini di due uomini si incastrano con quelli più ampi di una nazione. Un’indagine sull’essere cittadini in un Paese multietnico, sul pregiudizio e l’esclusione
Arthur è un bambino vivace, che cresce felice con una mamma che, nella modesta cucina scozzese in cui gli prepara la colazione, gli racconta le gesta degli antenati, nutrendo la sua immaginazione e affascinandolo con storie di cavalieri e nobiltà. Al centro c’è sempre l’onore, l’unico valore a cui non si può derogare. Arthur conserverà quel senso dell’onore, e passerà alla storia come creatore di Sherlock Holmes, il detective più indimenticabile della storia del giallo. E già, il cognome di Arthur è Conan Doyle.
George, invece, è un bambino gracile, con un grave difetto della vista. Cresce nella canonica di un piccolissimo paese della campagna inglese, dove il padre, indiano parsi sposato con una scozzese, lavora coscienziosamente come ministro del culto. Il mondo intorno a George è ristretto e modesto, e George stesso è timido e timoroso, solitario, studioso, fin troppo serio. Nonostante le sue origini indiane e il colore della pelle, George si sente inglese e dell’Inghilterra ama tutto, ma soprattutto il sistema di giustizia, le regole e il rigore. Studia da avvocato e apre un suo piccolo studio a Birmingham. È dunque paradossale, e letteralmente incredibile, che venga accusato di avere scritto una serie di lettere anonime, minacciose, piene di insulti, deliranti, e di avere seviziato uno dei cavalli dell’allevatore vicino. Le prove sono modeste e artefatte, e George è così sicuro non solo della sua innocenza, ma anche della correttezza del sistema inglese, che non dubita per un attimo di venire scagionato dopo il processo. Viene, invece, condannato ai lavori forzati. E mentre si sottopone diligentemente alla pena ingiustamente inflitta, nasce un movimento in sua difesa che chiede a gran voce la sua liberazione. Il caso George Edalji fa scalpore e fa parlare.
In apertura: Sir Arthur Conan Doyle
Arthur e George, l’incontro grazie a Sherlock Holmes
Tuttavia fino a quando i destini di George e di Arthur non si incrociano, anche le petizioni e le proteste non portano a nulla. È solo quando Sir Conan Doyle decide di far vivere Sherlock Holmes nella realtà, e si cimenta in un’indagine condotta con gli stessi criteri del suo personaggio, è solo quando decide di fare un gran baccano, un baccano tale che nessuno può ignorarlo, che George può sperare di essere scagionato, reinserito nell’albo degli avvocati e anche risarcito.
Arthur e George non potrebbero essere più diversi. Non è semplice lavorare insieme, non è semplice capirsi e apprezzarsi. Ma Arthur è certo dell’innocenza di George, e con grande intuito, grande dispiego di mezzi, uso accorto della stampa e abilità nelle relazioni, riesce a dimostrarla e ottenere che George venga riabilitato. Non riuscirà a ottenere anche il risarcimento richiesto, per cui si dovrà fare appello a una colletta. Ma insieme. Arthur e George, mettono le basi per la creazione di una Corte d’appello, che ora a noi sempre un’istituzione del tutto ovvia ma, che non lo è affatto.
Ed è fortissimo in tutto il romanzo, che narra una storia vera, il senso del valore della giustizia, della sua erroneità e fragilità, e di come le istituzioni destinate a proteggerla abbiano bisogno di vigilanza e attenzione. Questo senso della giustizia aggiunge tensione a una storia che già ne ha molta. Patiamo insieme a George e vorremmo poter fare qualcosa per dimostrare la sua innocenza. Siamo felici quando Conan Doyle entra in azione, e tifiamo per lui, per la sua intelligenza e la sua energia e il suo coraggio.
La struttura lineare del romanzo, che procede per piccoli capitoli dedicati ad Arthur e a George, più qualcuno dedicato a entrambi, rende il lento disvelamento ancora più intenso ed evidente. Julian Barnes, che aveva scritto un giallo sotto pseudonomico e che è l’acclamato autore di “Il pappagallo di Flaubert “e “Il senso di una fine”, in un’intervista a The Guardian ha detto che finalmente, con Arthur e George, le due parti del suo cervello che immaginavano l’una una detective story e l’altra un romanzo letterario, si sono finalmente messe a lavorare insieme. E noi ne possiamo apprezzare tutta la meraviglia.
Arthur e George, di Julian Barnes
A Great Wyrley, un tipico villaggio nella più tipica campagna inglese, succedono cose strane: mentre ad alcuni membri della comunità iniziano ad arrivare certe deliranti lettere anonime in cui gli insulti si mescolano ai vaneggiamenti religiosi, un maniaco sventra cavalli e bestiame annunciando il sacrificio di venti giovanette. Serve un colpevole, serve in fretta, e George, un giovane e riservato avvocato, ha tutte le carte in regola per fare da capro espiatorio: è timido, ha un disturbo agli occhi che rende bizzarro il suo aspetto, ma soprattutto è diverso. George Edalji, infatti, è un parsi: il padre viene dall’India, e dopo essersi convertito all’anglicanesimo e aver sposato una ragazza del posto è diventato il parroco di un paese non proprio a suo agio con chi ha la pelle più scura.
George viene condannato ai lavori forzati, ma accetta la pena con la dignità e la modestia di chi vuole solo «diventare inglese» e confida nella legge con più fervore di tanti altri «inglesi ufficiali». Quando la notizia del sopruso giunge alle orecchie di Arthur Conan Doyle, il celebrato creatore di Sherlock Holmes decide di impegnarsi in prima persona per restituire a George l’onore che gli è stato sottratto. Improvvisandosi detective egli stesso, Arthur metterà in pratica i metodi d’indagine e il geniale intuito del suo personaggio: scoprendo a sue spese quanto, a volte, la letteratura e la vita possano divergere.
Arthur e George è un romanzo giallo. Ma è anche molto di più: una storia vera – gli echi del caso portarono all’istituzione della Corte d’appello nella giurisprudenza inglese – in cui i destini di due uomini si incastrano con quelli più ampi di una nazione; una delicata riflessione sulla vita, su due esistenze lontanissime che il caso decide di far incrociare; un’indagine sull’essere cittadini in un paese multietnico, sul pregiudizio e l’esclusione. E sopra a tutto un esempio smagliante di grande scrittura.