Riceviamo da una lettrice e molto volentieri pubblichiamo: “Ecco alcune pagine tratte dal libro ‘Il miele del Lupo’, scritto dalla mia mamma alcuni anni fa. Il libro si compone di brevi racconti, collegati gli uni agli altri, che narrano episodi della sua vita quando era bambina, sotto il falso nome di Elda”.
La casa sul porto
La nuova casa in cui Elda era andata ad abitare si affacciava sul porto, era all’ultimo piano e il sole la illuminava tutto il giorno.
Dalla sua finestra godeva una vista stupenda.
Vedeva il mare fino all’orizzonte, le navi passeggeri quando arrivavano e annunciavano, con il suono delle sirene, il loro ingresso in porto. Vedeva le navi mercantili un po’ scolorite e annerite che entravano o uscivano, le bananiere che giungevano dall’Africa, una terra misteriosa che avrebbe tanto voluto vedere, le navi cariche di caffè che provenivano dal Brasile. Vedeva le navi passeggeri, che annunciavano il loro arrivo dall’America con il suono delle sirene.
Come era grande e affascinante il mondo! Sognava ad occhi aperti e immaginava i posti lontani da cui provenivano. Quando sarebbe diventata grande avrebbe visitato tutti quei luoghi meravigliosi.
Alla sera vedeva tutte le navi illuminate e lontano il faro, che con lunghi fasci di luce che giravano lentamente, illuminavano tutto il porto e sembravano accarezzare le imbarcazioni che vi erano ancorate. Sembravano un Nume tutelare che vigilava e controllava tutta la darsena e alle navi lontane segnava la rotta e dava il benvenuto della città.
Proprio davanti alla sua casa c’era il bacino portuale: era una grandissima vasca colma di acqua di mare dove portavano le navi in avaria e lì rimanevano finchè non fossero state riparate. Una volta entrate nel bacino, si alzavano delle spesse barriere di ferro e l’acqua veniva fatta defluire nel mare. Il bacino allora rimaneva asciutto e la nave appoggiata su grosse travi era completamente scoperta dalla tolda allo scafo. Gli operai allora incominciavano a ripararla.
Era uno spettacolo vedere i portuali che come tante formichine si avvicendavano su e giù per riparare la nave in avaria.
Quel fervore dava il senso della vita!
Poi la nave un bel giorno non c’era più nel bacino, aveva preso il mare per terre lontane. Il bacino era ritornato una grande vasca di acqua di mare, ma un’altra nave era già pronta ad entrare.
Suo padre aveva fatto amicizia con un vecchio marinaio che non navigava più e si guadagnava da vivere portando sulla sua barca a remi i turisti che voleva fare il giro del porto.
Un giorno furono invitati sulla sua barca, oltre a suo padre c’era suo fratello e il suo amico Gerio.
Fu una giornata particolare per Elda, che il porto l’aveva sempre visto dall’alto e adesso lo guardava proprio dall’interno e si rendeva conto che la prospettiva era completamente diversa. Felice Trichera, così si chiamava il marinaio della barca, era pure un bravo cicerone, li informava su ogni nave che vedevano: la sua stazza, quanti passeggeri poteva alloggiare, quando era stata costruita, quanto viaggi transatlantici aveva fatto, come si chiamava il comandante. Se si trattava di navi mercantili diceva la merce che trasportavano e quanta era contenuta nella stiva. Elda notò che una era talmente carica che la linea di immersione non si vedeva più.
Felice Trichera le disse che era una nave carica di grano, veniva dalla Russia ed era in attesa che i portuali scaricassero tutto il carico che aveva nella stiva dentro i grandi silos del porto.
Il marinaio ad un certo punto fece sedere Elda al suo posto e le mise i remi nelle mani, poi le spiegò come doveva muoverli per fare avanzare la barca nel mare.
Fu una grande emozione, ma Elda più che remare batteva i remi sull’acqua alzando alti spruzzi che bagnavano tutti gli occupanti della barca che ridevano divertiti anche se un po’ scocciati, così si rese conto che non era facile remare e vi rinunciò.
Preferì guardare tutto ciò che la circondava. Il tempo passo molto in fretta, il sole stava calando, allora suo padre chiese al marinaio di tornare a terra.
Era stato un giorno indimenticabile, il mare le piaceva veramente, se fosse stata un maschio da grande avrebbe fatto il marinaio o meglio ancora guidato una grande nave passeggeri.
Ma chissà cosa le riservava il futuro? Forse in altri modi avrebbe fatto parte anche lei di questo strano mondo che viva sul mare.
In apertura: Egon Schiele, “Porto di Trieste” (1907)