Con i suoi recenti sviluppi drammatici la crisi Ucraina ha assunto ormai tutti i connotati di una vera e propria guerra civile, nella quale la prospettiva di trovare un accordo pacifico incardinato sulla questione energetica diventa sempre meno probabile.
La situazione si è ulteriormente aggravata con l’abbattimento dell’aereo civile malese nella zona teatro dei combattimenti. Anche se gli esperti sostengono che sarà pressoché impossibile identificare l’appartenenza del sistema missilistico da cui è partito il colpo, tutte le parti interessate, senza presentare prove né quantomeno concrete testimonianze, stanno cercando di plasmare la ricostruzione dell’accaduto attorno ai loro interessi.
Così John Kerry nel suo discorso ha scaricato tutta la responsabilità dell’accaduto sulla Russia, sottolineando che non è assolutamente l’Europa ad aver bisogno della Russia, ma semmai il contrario. Gli Stati Uniti spingono i Paesi membri dell’Unione Europea, che fino ad adesso si sono dimostrati refrattari a tagliare i rapporti con la Russia, ad applicare sanzioni sempre più rigide e ad essere più decisi nel passare messaggi di disapprovazione verso Mosca. Il primo a fornire il suo pieno supporto alla tesi americana è stato il primo ministro inglese, David Cameron, mentre gli altri paesi europei continuano ad assumere una posizione più moderata sulla questione. Il rapporto commerciale tra la Russia e l’Europa è uno dei fattori principali che influiscono su tale posizione, e principalmente la dipendenza di quest’ultima dal gas russo.
I paesi europei ricordano bene le vicende del 2006 e del 2009 quando Mosca si trovò costretta a “chiudere i rubinetti” per il rifiuto da parte delle autorità ucraine di pagare, a seguito del rialzo dei prezzi del gas, a motivo del quale Kiev non aveva mai nascosto le intenzioni di appropriarsi illegalmente dei rifornimenti destinati all’Europa.
Alcuni paesi dell’Europa orientale dovettero ridurre i consumi di gas in pieno inverno, arrivando perfino a misure temporanee d’interruzione delle forniture alle industrie e agli edifici pubblici.
Al momento la situazione è diversa, nessuno parla ancora di crisi energetica per diversi motivi.
Il primo di questi è il naturale calo del consumo dovuto al fatto che non è più fredda stagione.
Il secondo motivo è che dopo le crisi precedenti molti paesi europei hanno aumentato le proprie riserve di gas, ottenendo in questo modo autonomia energetica in caso di un’eventuale crisi.
Infine, l’Ucraina che ha visto drammaticamente ridursi la domanda interna a causa della crisi economica, dato che in questa stagione può fare a meno del gas russo, può guadagnare tempo per le trattative mentre la pressione aumenta e il cerchio intorno alla Russia si chiude.
L’Unione Europea negli ultimi anni ha preso una serie di misure per diminuire la sua dipendenza dal gas russo ed evitare i transiti per i paesi terzi. Per esempio, è aumentato l’utilizzo del gas norvegese, sono stati sviluppati inoltre progetti alternativi come il Nord Stream e il South Stream, che prevedono le forniture di gas direttamente dalla Russia senza passare per i paesi terzi. Il Nord Stream è già entrato in funzione nel 2011 e permette di rifornire la Germania passando sul fondale del Baltico, senza passare da paesi terzi. Il progetto South Stream, destinato a fornire l’Italia e l’Europa orientale attraverso il Mar Nero, è invece in cantiere, ma a ritmo rallentato a causa dell’opposizione della Commissione europea. Secondo i piani delle società coinvolte, il gasdotto dovrebbe essere in funzione dalla fine del 2015, troppo tardi per l’inverno in arrivo.
Ci vorrà tempo anche per il completamento dei gasdotti, TANAP (Trans-Anatolian gas pipeline) e TAP (Tarns-Adriatic pipeline), che lungo il corridoio meridionale porteranno il gas dall’Azerbaigian fino ai mercati europei. L’entrata in funzione è addirittura prevista per il 2019 e in ogni caso i volumi di gas trasportati sono solo una frazione di quelli che transitano attraverso l’Ucraina.
Nel complesso, dunque, l’Unione Europea per il momento continua a dipendere non solo dalla Russia come fornitore, ma anche dall’Ucraina come paese di transito. Se questa seconda questione è temporanea, data la costruzione di South Stream, viceversa la profondità del rapporto tra l’Unione Europea e Mosca sembra essere un elemento di lungo periodo.
La crisi energetica è senza dubbio passata in secondo piano rispetto agli attuali problemi riguardanti l’inasprimento della guerra civile e l’abbattimento del volo MH17. Con l’inizio dell’autunno e l’urgenza di riempire gli stoccaggi, il tema del gas tornerà con ogni probabilità a essere argomento centrale. Intanto gli Stati Uniti stanno facendo pressioni politiche su Mosca introducendo sempre più sanzioni e dimostrando il loro completo appoggio al governo di Kiev che probabilmente costringerà Mosca a essere più flessibile anche sulla questione energetica.
L’Ucraina ha più di 5 miliardi di euro di debito nei confronti di Gazprom, e per avere il gas da ora in poi dovrà pagare in anticipo come stabilito dal contratto in vigore tra Gazprom e la Naftogaz ucraina. Kiev però non ha né possibilità né volontà di pagare i propri debiti. Molto probabilmente la stessa situazione persisterà fino al prossimo inverno, quando l’Ucraina, come nel 2009, sarà tentata di usufruire del gas pagato e destinato ai consumatori europei.
Gli esperti russi sono certi che la Russia, non volendo esser percepita come un fornitore non affidabile non chiuderà i rubinetti e quindi saranno necessari nuovi colloqui con l’Ucraina e l’Unione Europea. Il loro esito però dipenderà molto dallo sviluppo degli avvenimenti in Ucraina e dal risultato delle investigazioni sul tragico abbattimento del Boing 777 nella Regione di Donetsk la settimana scorsa.