Si chiama “Passioni d’amore” e sta per uscire, edito da Franco Angeli editore. E’ un libro scritto da Simonetta Diena, psicoanalista milanese della SPI, che volentieri ci anticipa un capitolo per noi molto interessante: si intitola “L’amore in età avanzata”e vi piacerà sicuramente, soprattutto se apprezzate la prosa semplice, ma profonda.
Una conferma utile: il cuore non ha età e l’amore è una grande risorsa davvero per tutta la vita.
VIII° Capitolo
L’amore in età avanzata
La psicoanalisi o la psicoterapia in età avanzata può essere un’esperienza affascinante, sia per il terapeuta sia per il paziente, un’esperienza che permette al paziente di ricostruire la loro vicenda interiore in modo tale che gli ultimi anni della loro vita riescano a trovare un significato complessivo rispetto all’intera vita vissuta precedentemente.
A 70 anni il complesso edipico si manifesta e si rappresenta con lo stesso vigore e passione che in età più giovane, e complessivamente il funzionamento mentale e affettivo non appare diverso rispetto alle analisi di persone più giovani. Anche gli anziani hanno un inconscio, dei conflitti, dei desideri, la coazione a ripetere, i meccanismi di difesa, e altro ancora, e il funzionamento di una terapia non è appunto molto differente nei suoi aspetti comuni, di lavoro sul transfert e controtransfert pulsioni e difese e coazioni a ripetere, fusione di Eros e Thanatos, di quanto non accada in età meno avanzata.
Quali sono le motivazioni che portano una persona anziana a chiedere un’analisi o comunque una terapia, e quali sono le motivazioni per accettare tali pazienti in terapia? Terapie che beninteso devono essere però tarate secondo una scansione temporale differente, sia per quello che riguarda la durata complessiva, che per quello che riguarda il timing del setting, che deve comunque riuscire a rispettare bisogni e necessità di una persona anziana, con tutte le difficoltà che possono insorgere a una certa età.
Nella mia esperienza, non enorme, ma discreta, mi sembra di potere dire che sicuramente la principale ragione che porta queste persone a chiedere un’analisi o comunque un aiuto terapeutico è la necessità di far i conti, almeno alla fine della loro vita, con quelle vicende che in un modo o nell’altro sono sempre riuscite a rinviare, nella loro soluzione o addirittura nella loro individuazione. Essere vicini alla fase finale della loro vita le porta, più o meno coscientemente, a desiderare di potere dare un significato complessivo alla loro storia interna affettiva e personale, affrontando appunto quelle difficoltà che hanno speso preferito evitare di rappresentarsi adeguatamente.
Perché tutto questo coraggio così avanti con gli anni? A volte è sentita come una necessità di trovare un senso finale, una significatività a vicende che ormai hanno perso molto del loro carattere pulsionale pressante, o ad aspettative che hanno da tempo esaurito la loro persecutorietà esterna, anche se ancora si manifestano nel mondo interno. Soprattutto, sono le malattie, temute e il più delle volte subite, che portano una nota di urgenza ed intensità nel desiderio di essere aiutati concretamente.
L’ansia di morire con molti “unfinished business” che fino ad un certo punto non erano stati un problema li porta ad essere infelici ed insoddisfatti, fino al punto di desiderare quel rapporto terapeutico che o, come spesso accade, il più delle volte, hanno già avuto in età più giovanile, o, altrimenti, hanno desiderato avere ma hanno rimandato in vari momenti della loro vita. La Quinodoz, nel suo lavoro: “Growing old” (Int. J. Psychoanal, 2009 90:773-793) ritiene che sia “difficile rinunciare al nostro posto senza averlo prima trovato, lasciare la vita senza prima sentire che l’abbiamo effettivamente vissuta, chiudere la storia della nostra vita interiore senza averla prima trasformata in una storia intera, che ci appartenga veramente.”
Invecchiare non significa semplicemente lasciare passare gli anni, ma soprattutto dare un certo ordine a tutti gli eventi che si sono fino a quel momento sviluppati. Alcuni per esempio mettono in ordine i loro beni, altri scrivono la loro biografia, da lasciare magari ai nipoti, altri sistemano i loro libri o le loro fotografie o i loro filmati. In tutti c’è il desiderio di sopravvivere in questo modo nella memoria di chi rimane, e in terapia, a me sembra, nella memoria del terapeuta, che diventa così una sorta di esecutore testamentario di tutte quelle passioni e desideri che non sono riusciti a svilupparsi durante la vita. Testimone quindi, come sempre ma anche, in più, vendicatore, infine, dei torti subiti, delle piccole o grandi ingiustizie, dei tradimenti del passato, delle gelosie tra fratelli, degli abbandoni dei genitori e più recenti dei coniugi.
L’amore nell’età avanzata si rappresenta in molti modi. A volte è un desiderio acuto e persistente di ciò che si è perduto, di ciò che non si è potuto sviluppare, per difese e angosce e resistenze verso aspetti pulsionali che sembravano, allora, intollerabili. A volte invece è la rivendicazione di un diritto per molto tempo represso e negato, il diritto di essere riconosciuti nelle proprie possibilità di amare e di esser amati, diritto che è stato soffocato da educazioni repressive, o da considerazioni politiche/sociali/economiche. A volte è la nostalgia lancinante per qualcosa che c’è stato e si è perso da tempo, vedovanze ancora insopportabili, non sostituite da altre forme di affetti, o addirittura morti di genitori ancora insopportabili, a decenni di distanza dall’evento.
Spesso si ha a che fare con memorie represse, aspetti scissi che ritornano a galla, ricordi che la distanza permette di collocare, finalmente, nella loro giusta prospettiva. Spesso la terapia assume la forma dell’indennizzo, del riconoscimento finale di un’identità troppo a lungo soffocata e repressa. E’ curioso assistere alla persistenza, a distanza di molti anni delle ferite narcisistiche. Spesso riaffiora la gelosia verso i fratelli, l’invidia feroce; a volte si assiste alla proiezione sui figli, di quei sentimenti che in passato erano stati originati dai genitori o dai fratelli/sorelle. I ricordi che erano stati troppo dolorosi per essere ricordati, riaffiorano a volte in modo totalmente inatteso, sia per il paziente sia per l’analista.
Da un punto di vista della tecnica posso dire che l’attenzione al momento presente è, nella terapia degli anziani, particolarmente importante. La ricostruzione storica appare utile solo ed esclusivamente se si riesce a risignificarla nel tempo presente, soprattutto se si riesce a cogliere quei sentimenti, quegli stati d’animo, che sono stati costantemente mortificati, repressi e negati. Diventa centrale, con gli anziani, cogliere il tempo presente, l’attimo, il momento.
Fermare, o cogliere, o definire l’attimo è sempre importante nella terapia analitica. Ma non è forse sempre stato un elemento centrale nella storia della psicoanalisi e nella terapia analitica valutare piuttosto le esperienze del passato e come queste giochino un ruolo fondamentale nel determinare lo sviluppo delle vicende future, e che quindi sono le esperienze passate a dare forma e sostanza al presente, che così è sempre a rischio di diventare prigioniero di una ripetizione senza fine delle vicende traumatiche del passato? La ricostruzione storica delle vicende infantili primitive non è forse centrale nella terapia analitica? Ricordare, ripetere e rielaborare non è forse la trama preferita in un’analisi, quella che più si ripete nelle sue pur infinite variazioni personali? Forse che con gli anziani si lascia perdere, si trascura questo elemento centrale?
Il tempo presente, l’adesso, l’ora, è il momento in cui viviamo la nostra vita.
Peter Fonagy, in Memory and Therapeutic action (1999) sottolinea come “L’unico modo per sapere cosa succede nella mente dei nostri pazienti è stare attenti a come essi sono adesso con noi nel transfert (ed io aggiungo, nel momento presente.) L’azione terapeutica della psicoanalisi consiste soprattutto nell’elaborazione cosciente delle rappresentazioni di adesso delle relazioni d’oggetto di allora, principalmente attraverso l’attenzione al transfert da parte dell’analista.”
Le esperienze passate raccontate dal paziente acquistano significato quindi solo alla luce del presente, ovvero quando vengono, nel tempo presente, nel qui e ora della seduta analitica, rievocate e ripetute. E in analisi, tra paziente e analista c’è il problema della ricerca della parola più adatta a esprimere esattamente lo stato d’animo, i timori, le angosce, le disperazioni, ma anche le speranze, i desideri, gli entusiasmi di un tempo passato, che attraverso il racconto, e la rievocazione ritornano a galla, e ritornano vivi come se stessero riaccadendo in quel momento. Non la storia, non la trama narrativa, ma il vissuto, l’esperienza emotiva che le aveva accompagnate. E se, come spesso accade, proprio questi vissuti, queste esperienze emotive sono state represse, rimosse, negate, isolate, in una sola parola, se sono state erette barriere difensive verso tali sentimenti e vissuti, questi anche se ritornano nell’analisi, nel tempo presente, nell’attimo, nell’hic et nunc, ma quell’attimo viene misconosciuto, o viene definito in modo sbagliato, non si coglie esattamente la vicenda emotiva che lo accompagna, e si perde l’occasione, per l’analista, di aiutare il paziente a trovare un senso, nell’après coup, nella rievocazione a posteriori dei conflitti e delle angosce che avevano bloccato il suo sviluppo e la sua capacità di vivere il tempo nel presente. L’analista dà forma temporale all’esperienza grazie alla capacità di modulare, attraverso un ascolto attento ed empatico le vicende del passato restituendo loro un senso nel presente.
I pazienti anziani hanno bisogno, forse più di altri, che l’analista trovi interessanti le loro vicende, in modo da riuscire loro stessi a darvi importanza. Tra tutte, sono le vicende amorose del passato, e le speranze amorose del presente, ad avere maggiore urgenza di accoglimento e riconoscimento.
E’ attraverso il riconoscimento di avere amato, e di essere stati amati, che le persone anziane riescono a pacificarsi con l’idea di una loro morte più o meno prossima. L’amore, che si riattiva nell’esperienza del transfert, come possibilità di essere amati dall’analista, e di amarlo, come è stato in passato, riconcilia con la vita, ed in ultima analisi con la morte .
Nella Passione secondo Giovanni di Bach l’Evangelista dice. “E quando ebbe affidato ciò che più amava, sua madre, a Giovanni, si preparò sereno ad andare verso la morte.”
E insieme all’Evangelista, noi possiamo dire: “E quando ebbe affidato i suoi ricordi più preziosi all’analista, si preparò più sereno ad andare verso la morte”.
Giovanna
Giovanna ha una certa età. Ha anche già vissuto parecchio della sua vita e ha avuto tempo di fare un’analisi e una psicoterapia di appoggio. L’hanno aiutata abbastanza, ma adesso non sta bene. Come dicevo nell’introduzione, la motivazione conscia o inconscia per chiedere aiuto a una certa età riguarda l’angoscia di morte, che ovviamente a una certa età è più specifica che in età giovanile.
Non è mia intenzione in questo momento parlare dell’analisi di Giovanna, quanto raccontare una seduta nella quale gli elementi libidici, impastati a quelli edipici del passato, sono ritornati a galla come altre volte nel corso dell’analisi.
Giovanna non si è mai sposata, né ha mai avuto una relazione sentimentale abbastanza importante da desiderare la convivenza. Intelligente, brillante, colta, gradevole di aspetto, non ama farsi avanti, non ama esporsi troppo, anche se per cultura e rango e vivacità di carattere è stata spesso in vista, sicuramente più di quanto non avrebbe amato.
La seduta riguarda un episodio banale, irrilevante, che Giovanna non avrebbe mai preso in considerazione, ma che l’analista ha ripreso e raccolto, attribuendogli un significato utile a una risignificazione di molti altri elementi del passato della sua vita.
Giovanna arriva irritata, un po’ mogia, seccata. Lei stessa non sa come definire questo suo stato d’animo. Si sente, come dice lei: “Come una che sta andando in un cimitero di elefanti: sa cosa sono i cimiteri degli elefanti, no? Quei posti dove si va a morire.”
A. Si sente come un elefante, quindi?
B:Bah, sì un po’. Che non mi resta molto altro da fare se non morire.
A: Rimango silenziosa per un po’ e poi le chiedo da quando si sente così.
B: Ma è da un pezzo, che mi sento così, senza troppa voglia di vivere, senza nessuno in fondo adesso che abbia bisogno di me. Ieri ho visto X ed ho passato la giornata con lui.
X è un suo antico amore, con cui ha avuto una storia durata anni, altalenante, senza che mai si concludesse in qualcosa di più duraturo o impegnativo, pur rimanendo una calda e affettuosa amicizia. Adesso X è molto anziano, ed anche malato e Giovanna aveva avuto la fantasia che se lui l’avesse sposata lei ne avrebbe avuto un vantaggio economico (ereditando da vedova la pensione) che in fondo non avrebbe danneggiato nessuno, visto che lui non aveva nessun erede. Io ero rimasta perplessa da questa fantasia. Si riferiva a qualcosa di un po’ bizzarro, anche perché sicuramente Giovanna non ha difficoltà economiche. Pensavo al desiderio di un indennizzo per quanto di non vissuto in termini amorosi, e che era venuto a mancare, ma non avevo detto niente. Mi racconta invece che ieri gliene ha parlato, ed è stata contenta di averlo fatto. Lui però ha reagito imbarazzato e disturbato, e le ha risposto: “Sai, io pensavo al matrimonio in altri termini.” Poi il discorso era finito lì e nessuno dei due ne aveva più accennato.
A: Mi sembra cha allora il termine elefante possa avere un altro significato. Le è sembrato di essersi comportata un po’ come un elefante ieri, con una certa mancanza di tatto.
La seduta è vis a vis, e la paziente, da tempo, durante la seduta utilizza degli oggetti sulla scrivania per rappresentare delle costruzioni, che ogni volta interpretiamo. Quest’oggi ha messo tante barriere tra me e lei, tanti baluardi spessi e decisi. Glielo faccio notare.
A: Sembra che l’argomento la imbarazzi moltissimo.
B: Bah, di certo non mi ha fatto piacere. Diventa di colpo molto animata e vivace: Quello però che mi ha infastidita di più è che lui non ha assolutamente pensato a me, a come mi potevo sentire. Lui che sembra sempre così attento e partecipe e sollecito, non si è minimamente preoccupato di chiedermi perché glielo chiedevo, come mi sentivo, come mi sentivo dopo la sua risposta. Mi ha fatto venire in mente un episodio del passato: Una volta gli avevo regalato un disco, raro, che per me aveva un certo significato, e lui è stato così, distratto, ma sembrava gli avesse fatto piacere. Poi un giorno siamo da amici comuni e mettono su proprio quel disco ed io gli faccio notare che è lo stesso disco, e lui mi dice no, è proprio quello, glielo ho dato io. E non aveva capito che era una cosa da non fare, imperdonabile. E poi, ancor peggio, una volta c’era stata una vicenda nella quale io ero molto esposta, e lui doveva valutarmi, un concorso, e invece si è messo a parlare con un suo collega per tutto il tempo e non mi ha dato retta un momento, senza capire che per me era importante ed era molto fastidioso.
A: Veramente imperdonabile. Ma adesso che ci penso, mi sembra che forse il pensiero possa essere non tanto che lei sia stata goffa, ma che lui abbia avuto il tatto di un elefante, e che era così arrabbiata e dispiaciuta e seccata, da pensare che poteva anche andare a morire, in un cimitero di pari suoi.
B Ma sì. Lui è sempre stato così, uno che pensa agli altri, ma da lontano, in realtà pensa sempre a se stesso, non si è mai sposato, non ha mai avuto delle donne, a parte me, una vita molto così, narcisistica, chiusa e in fondo ha ragione lei, senza tatto.
Nel frattempo, man mano che parlava, aveva tolto tutte le barriere sul tavolo, e le aveva trasformate in una sorta di strada reale, con colonne e bordure.
Glielo faccio notare e aggiungo che nonostante siano passati tanti anni, mi sembra che il suo orgoglio sia rimasto intatto e vitale, e che sembra pensare che lui avrebbe dovuto sposarla molti anni prima.
Annuisce soddisfatta e dice: “Sì, sono contenta di averglielo chiesto adesso. Lui si è comportato male, per come mi ha risposto. Io in fondo sono soddisfatta di averglielo chiesto.”
Commento
Questa piccola vignetta clinica mi sembra contenere tutto quello che dicevo prima, sull’assoluta necessità di “stare sul pezzo”, di non perdere cioè l’emozione, i vissuti del tempo presente. Le barriere che Giovanna andava costruendo sul tavolo, man mano che parlava, erano evocative di un bastione difensivo, che veniva eretto proprio per proteggersi da ciò che stava raccontando, di cui in parte si vergognava, ed in parte ne era fiera. La sua vita sentimentale era stata in buona parte legata a una necessità imprescindibile di proteggere la sua autonomia e indipendenza. Anche in lei il legame edipico infantile era stato molto forte, ed aveva non poco danneggiato le sue esperienze affettive. Essere stata la preferita di un padre importante e molto amato aveva da un lato “alzato l’asticella” di ogni pretendente, che non poteva mai reggere il confronto con l’imago paterna, ma contemporaneamente aveva indebolito la sua autostima. L’amore incondizionato paterno, infatti, anziché proteggerla psichicamente e preparare il terreno per futuri oggetti sostitutivi, l’aveva piuttosto indebolita, portandola a ritenere immeritato tutto ciò che aveva autonomamente costruito. Spesso era caustica, con se stessa e con i suoi cari, pretendendo molto, ma aspettandosi poco nella realtà. Ciò che lei era, la sua identità più intima, le era sembrata fittizia, non dovuta alle sue doti e competenze, ma alla fortuna del caso, ovvero l’essere stata la preferita del padre. L’analisi con una persona più giovane era stata utile. Non era una relazione paritaria, e si era sentita sufficientemente protetta narcisisticamente dalle sue esperienze e competenze, superiori per età. Al tempo stesso aveva permesso a se stessa di accettare una certa reciprocità affettiva della relazione analitica, proprio perché al di fuori di quegli aspetti competitivi o seduttivi che avevano compromesso le precedenti esperienze terapeutiche. Precedenti esperienze analitiche erano state segnate anch’esse dal pre-giudizio di avere “imbrogliato” l’analista, di averlo depistato dai suoi veri bisogni. Ora, questa “confessione/richiesta” tardiva di matrimonio/ amore la metteva a nudo e rivelava i suoi bisogni, non tanto economici, ma soprattutto affettivi, e come questi fossero stati disattesi quella volta e molte altre volte nella sua vita. C’era, in tutto ciò, una certa urgenza, mescolata alla paura di perdere la sua autonomia e indipendenza. Come nel caso di Francesca, rimaneva il bisogno di ricordare di avere amato e di essere stata amata, nonostante i successivi rifiuti e negazioni subite. L’analista diventava il testimone di questi antichi amori, ma anche un nuovo oggetto di investimento. Anche l’analista infatti, veniva amata, e in qualche modo entrava nel panorama affettivo della paziente. Questo placava le ansie e colmava antichi bisogni disattesi del passato.
L’analista partecipe e attenta, che non si faceva “imbrogliare” poteva lenire le antiche ferite, e permettere di riprendere il corso della propria vita, ancora lunga, con un’aumentata confidenza in sé e nelle proprie capacità di amare e di essere amata.
Filippo
Filippo ha superato la settantina. Anche lui ha fatto in passato una terapia per qualche anno, per disturbi ansiosi depressivi. E’ rimasto sodisfatto dei risultati della psicoterapia, che gli hanno consentito di superare alcune fobie riguardanti il viaggiare, specificatamente riguardo ai viaggi di piacere e di svago. Adesso arriva in consultazione per uno stato di malessere indefinito: “Un’insoddisfazione generica… Non sono più quello di prima, provo meno piacere a fare le cose, mi muovo di nuovo sempre meno e con sempre più fatica. Mi sembra di essere ritornato indietro ad anni fa, quando feci la prima analisi”
E’ perplesso, ovviamente sulle possibilità di ottenere un aiuto. “Non è che ormai per me è tardi e che mi debba adattare a vivere così, tanto ormai il più della mia vita è passato e non credo di potere cambiare. Sono stato così per tanti anni e come posso trasformarmi adesso?” D’altra parte: “Non voglio rassegnarmi a vivere in questo modo così limitato a lungo. Sia mio padre che mia madre hanno vissuto oltre novant’anni in ottima salute, e mi aspettano quindi altri vent’anni almeno di vita, che vorrei affrontare con uno stato d’animo più positivo.”
Anche di Filippo non intendo raccontare nei dettagli la breve analisi (durata tre anni), ma solo accennare, anche qui, agli aspetti libidici e amorosi che lo inquietavano.
Filippo conduce da sempre una doppia vita. Da molti anni ha una relazione stabile con una donna all’insaputa della moglie. Racconta subito questi aspetti della sua vita amorosa, che sono stati una sua costante fin dall’inizio del matrimonio. Dopo pochi mesi dal matrimonio infatti si era accorto che: “Avevo fatto un grande errore. Mia moglie mi piaceva moltissimo, ma non è la donna con cui passare una vita insieme. Ha qualcosa di fastidioso, di irritante, per me, anche se non è una donna né fastidiosa né irritante. Solo che ogni volta che parla, ogni cosa che dice per me sono cose ovvie, ha una stolidità impenetrabile, si prodiga nel volontariato ma sempre in mezzo a luoghi comuni, ed io mi annoio a morte con lei. Non condividiamo niente. Nulla di ciò che lei dice mi interessa. Per passare del tempo con lei in vacanza ci deve sempre essere qualcun altro, amici, o parenti, se no io dopo un po’ non resisto. Con Chiara invece sto benissimo. Non è stata la prima, subito dopo il matrimonio ho avuto una lunga relazione con una donna che mi piaceva molto, ma che dopo qualche anno ha capito che non avrei mai lasciato mia moglie, e allora ha chiuso lei la relazione. Peccato, perché eravamo molto innamorati.” Chiara invece, conosciuta poco dopo, ha accettato senza troppi problemi la sua situazione di amante. Hanno sempre avuto un’ottima intesa sessuale, oltre che intellettuale, ed entrambi proseguono anche adesso che sono anziani. (sono coetanei) Ma Filippo adesso si sente inquieto. Cosa accadrà di questa sua doppia vita in caso di morte?
“Non vorrei trovarmi in situazioni imbarazzanti, capisce? Per questa ragione ogni volta che dormo fuori casa sono agitato, una volta non era così, adesso temo di essere scoperto, non che mia moglie lo voglia fare, o abbia dei sospetti, lei è quel tipo di persona che dice “ Vedo questo, allora non è vero”, cioè è una che si difende molto dalle cose spiacevoli, e finge di non vederle anche quando le ha sotto il naso; io d’altra parte non ho nessuna intenzione di crearle dei dispiaceri, le voglio bene davvero, ma come faccio, se non la sopporto?”
“Teme di finire come il vescovo, morto tra le braccia di una donna?”[2]
“Esatto! Il mio problema è sempre stato questo, che io voglio fare delle cose, ma non sopporto che ciò che faccio possa avere delle conseguenze sgradevoli sugli altri. Però poi mi sembra sempre che la mia libertà ci vada di mezzo, e che io non riesca mai a fare quello che voglio. La conseguenza adesso di questo mio stato d’animo però è peggiorata: io conto le notti che riesco a passare con Chiara fuori casa, e quest’anno sono state meno di 10, pochissime. Lei si lamenta, vorrebbe passare più tempo con me, e anche io, ma mi vengono delle paure, delle vere e proprie fobie, quando partiamo, divento tutto sudato, mi agito, e poi decido di tornare indietro oppure addirittura di non partire, e mi tranquillizzo immediatamente. Però il risultato di tutto ciò è che alla fine mi sento depresso, vigliacco, uno che non riesce a fare neanche il minimo di ciò che vuole. E poi a poco a poco mi sembra che mi passi la voglia di fare qualcosa, che non mi interessi veramente più niente Cioè, mi sento quasi inerte, io che ero sempre in movimento. Ma lei pensa che queste fobie mi passeranno, che riuscirò di nuovo a passare delle notti fuori casa?”
“Perché parla di fobie? Non mi sembra fobico, lei viaggia spesso per lavoro, più volte a settimana, e dorme fuori. Mi sembra che il problema che lei porta qui dentro, e che la agita così tanto adesso sia il protrarsi senza alcuna soluzione di questa doppia vita, quando in realtà potrebbe benissimo fare delle scelte. “
Filippo passa allora a raccontare della sua vita familiare infantile, di quanto temesse le improvvise scenate paterne e di quanto desiderasse non provocarne mai la perdita di controllo. “E’ per questo che non mi sono mai sentito libero veramente di fare delle scelte -dice- Odio le scenate, le urlate soprattutto, le perdite di controllo. Io dico sempre che voglio essere maitre de moi même, è il mio motto”
Sottolineo come possa essere quindi particolarmente penoso per lui essere così in balia di emotività che non condivide, di essere costantemente privo della libertà di scegliere.
“Io ho sempre cercato di accontentare tutti, di rendere felici gli altri. Soprattutto che non protestassero contro di me. Ho avuto fortuna, ma adesso sono preoccupato di questo mio stato d’animo”
Mi sembra che Filippo stia passando un momento di grave crisi narcisistica. Le difese che gli hanno permesso di proseguire imperterrito nella sua vita, pur con molta attenzione ai sentimenti degli altri, stanno scricchiolando. Anche qui, ritorna un antico fantasma edipico, il padre castrante che pensava di avere da tempo sconfitto e seppellito.
Gli rispondo che mi sembra ancora giovane e soprattutto molto vitale, e che proprio questo suo preoccuparsi della diminuzione delle notti passate con Chiara sembra essere un chiaro segno delle passioni che lo agitano, espressione di una vitalità e di un desiderio libidico ben presente.
Questo intervento ha un effetto dirompente: la volta successiva arriva con un sogno erotico ben evidente, molto piacevole. Forse riguarda l’analista, forse Chiara, forse un’altra donna ancora. Sottolinea come siano molti anni che non gli capita più di avere sogni erotici. Io lo interpreto alla lettera: “C’è un erotismo che può nuovamente essere desiderato e sognato, e che è ritornato in superficie dopo le prime sedute.” Preferisco non accennare a interpretazioni di transfert anche se, per riprendere Fonagy, ritengo che sia stato proprio il rinnovato interesse dell’analista per lui ad avere scatenato questa risposta libidica. Ma questa libido si pone subito a livello dell’antico scontro edipico: può stare con Chiara? O deve sempre costantemente temere la moglie/madre e non potersi permettere di superare suo padre, non una ma ben due donne? L’analisi procede e Filippo man mano acquista di nuovo quella confidenza e anche quella certa tendenza a rompere le regole clandestinamente che lo aveva sempre caratterizzato e lo aveva salvato dalla durezza e dal rigore genitoriale. Continua a lavorare, sempre con successo e accantona l’idea di interrompere prematuramente il lavoro. Vede Chiara con regolarità, e comincia a pensare a lei, le fa dei regali inaspettati, pensa a come potrà restarle vicino anche quando non ci sarà più, sempre senza che questo abbia a turbare moglie e ordine coniugale.
A metà dell’analisi porta un sogno significativo: “E’ in un tunnel e ci sono delle presenze minacciose che lo tirano per la giacca, lui si libera con fatica, con un colpo simile ad un rovescio di tennis. Esce dal tunnel ma ancora qualcuno lo segue in un vicolo. Allora si gira, smette di fuggire, lo affronta e lo atterra, con un colpo.”
Commento che gli sembra che tutti cerchino di tirarlo per la giacchetta di questi tempi, e che sembra desiderare uscire da questo tunnel apparentemente senza uscita. Il segreto che inventa, è il colpo di rovescio, ovvero rovesciare le prospettive. Solo così riesce a uscire dal tunnel (della morte? Della fine della sua vita?) e combattere vittoriosamente e all’aperto con gli aspetti persecutori, interni ed esterni.
Filippo sembra molto d’accordo con questa interpretazione. Dice che anche Chiara ha delle pretese che in fondo non dovrebbe avere, sapeva da sempre che era un’amante, e che lui non avrebbe mai lasciato la moglie. E d’altra parte sua moglie deve accettare il fatto che lui ha bisogno di avere quella libertà che non riesce a vivere con lei. Se non la conquista adesso, a questo punto della sua vita, quando lo potrà fare?
Il rovescio del sogno è un rovesciamento di prospettiva: non cosa deve fare lui di meglio per soddisfare le sue donne e venire incontro ai loro bisogni, ma cosa loro dovrebbero fare per lasciarlo più libero.
La ricerca della libertà gli sembra un desiderio a lungo rimandato che però adesso forse può perseguire un po’ di più, libertà soprattutto dagli aspetti persecutori interni che aveva forse sempre sottovalutato.
Da questo punto in poi la sua vita amorosa va incontro a una svolta. Passa molto più tempo con Chiara e con gli amici e parenti di lei, e trova meno fastidiosa sua moglie, con la quale è riuscito a costruire un ménage familiare accettabile. Così, in un certo senso è come se vivessero separati, pur non essendolo di fatto e anzi, passando in fondo più tempo insieme e di qualità migliore che in passato. I sensi di colpa gli sono passati, Si concede spesso delle vacanze brevi ma frequenti con Chiara e non è più preoccupato di una sua eventuale dipartita. Se dovesse accadere – dice- non lo riguarderebbe più, è ovvio.
Ad analisi finita si ritrova a essere di nuovo maitre de soi même, ma con un Sé più maturo, non più sofferente per antichi complessi di castrazione.
Commento
Mi rendo conto che commentare questo spezzone di analisi implichi affrontare aspetti etici che altri commenti clinici avevano potuto trascurare. Sarebbe facile etichettare Filippo come un egoista da un punto di vista amoroso, uno che desidera “la botte piena e la moglie ubriaca”, ma qui stiamo affrontando la situazione dal punto di vista di quale può essere il suo equilibrio psichico, tenuto conto anche delle sue necessità etiche e libidiche. La libertà che Filippo ha sempre desiderato avere nella sua vita, quella che lui chiama “essere maitre de soi même » è stata disattesa per troppo tempo. La dipendenza, mai del tutto risolta, dal giudizio paterno, mescolata alla paura delle sue collere descriveva un’angoscia di castrazione che era stata più volte aggirata nel corso della sua vita, ricorrendo a vari strumenti di evitamento psichici. A questo punto, tardi nella vita, si sentiva di nuovo impotente, e di nuovo in preda a quelle minacce persecutorie (o di castrazione) ben descritte nel sogno. Il colpo di rovescio a tennis gli permette una volta uscito dal tunnel (della morte? dell’impotenza?) di ribaltare/rovesciare le prospettive del suo futuro. Anche qui la vicenda transferale era stata essenziale nel fare rinascere quelle caratteristiche di investimento libidico oggettuale che sembravano ormai spente od esauste. Attraverso il transfert aveva ripreso fiducia nelle sue possibilità e capacità amorose, era tornato a sentirsi interessante per qualcuno, ovvero possibile oggetto di investimento libidico (da parte dell’analista ) e capace di nuovi investimenti libidici (sempre l’analista). Da qui si era reso conto di come si fosse ristretta negli anni la sua libertà di movimento e le sue possibilità di investimento. Quello che era sembrato un eccesso di abbondanza (due donne!!) si era rivelato una mancanza di libertà e di autonomia, proprio quello che lui aveva sempre temuto nella sua vita. Arrivato avanti negli anni questa riduzione della sua indipendenza aveva riecheggiato la mancanza di separazione della sua tarda adolescenza, e la sua incapacità di rendersi davvero autonomo. Adesso, con il passare degli anni, l’idea della morte, che pure si rifletteva come qualcosa di molto distante nei suoi pensieri, grazie alla sua forte fibra fisica e alla buona aspettativa genetica familiare, gli sembrava intollerabile da affrontare senza avere risolto questo problema di recupero della sua libertà, soprattutto libidica. L’eccesso del senso di dovere, un super-io sadico e persecutorio rischiavano di minare gli ultimi anni della sua vita, come una malattia. L’analisi l’aveva “guarito”, ristabilendo l’equilibrio tra Io e super Io, e rimettendo nella giusta distanza le sue due donne.