Le aperture
Pochi i quotidiani in edicola oggi, per via della “Giornata del silenzio”, ovvero lo sciopero indetto dalla Fnsi contro il disegno di legge sulle intercettazioni. Vi daremo conto quindi solo di quelli che hanno deciso di non aderire alla mobilitazione.
Il Riformista: “Spunta la P3”, “Tre arresti eccellenti per lo scandalo dell’eolico”, “Il ritorno di Carboni. Il faccendiere del caso Calvi accusato di associazione segreta: avrebbe tramato con Denis Verdini per far approvare il lodo Alfano alla Consulta. Senza riuscirci”. A spiegare perché il quotidiano è in edicola è il direttore Antonio Polito, in un editoriale dal titolo “Opporsi alle leggi vuol dire saperle cambiare”. E parla di “Auto-bavagli”. A centro pagina, “due storie di soldi” che “spaccano il centrodestra”: le quote latte e il disegno di legge della ministra Meloni sui finanziamenti alle comunità giovanili, che due giorni fa provocò alla Camera la rissa con aggressione al deputato dell’Italia dei Valori Barbato. Titoli: “Mucche tra Lega e Galan” e “I bamboccioni di Meloni”. Di spalla un riferimento ad un emendamento governativo alla manovra che viene definito “Pro-Mondadori”. In taglio basso: “Luttazzi, l’epurato vero dalla Rai”: il re dello swing fu fatto fuori -ricorda il quotidiano- per un’accusa falsa di droga. E poi, lo scandalo pedofilia in Belgio: “Una bimba nuda nel computer dell’ex primate del Belgio”.
Il Foglio: il titolo in rosso è per un editoriale dell’Elefantino titolato “Le doppie vite degli altri”, “Carboni & C. non sono santi, ma certi arresti sono da stato di polizia”. Sullo sciopero dei giornalisti, una panoramica sulle motivazioni espresse ieri dai direttori dei vari quotidiani per giustificare la decisione di aderire. E il quotidiano pubbica il testo dell’appello per il diritto alla privacy, “appello fogliante in difesa di un principio liberale”.
Nella colonna in prima dedicata alla politica interna, Il Foglio continua a seguire il percorso del “Ghe pensi mi”. Il capitolo di oggi dice che “Il Cav. accende e spegne le correnti ma si ritrova in casa circoli e cordate”, “I pretoriani della ex FI vogliono sciogliere ogni club, ma i ministri donna non mollano. Ex finiani in agitazione”, “Il premier con tutti e con nessuno”. Un’intervista al presidente della Regione Lombardia Formigoni “spiega il rapporto con lo spigoloso prof. Tremonti” e anticipa al quotidiano “la sua contromanovra”.
Il Giornale: “Berlusconi minaccia: si vota”, “Il premier sfida gli avversari interni sulla manovra economica: o passa o nuove elezioni. Senza alcun timore del terzo polo: un progetto destinato al flop. Ecco perché”. Ed è il vicedirettore Sallusti a spiegare che il grande centro “è solo una chimera figlia dei sondaggi”. Anche Marcello Veneziani si occupa del tema e parla dei “Golpisti mancati di un governissimo che non si farà mai”, perché “è pura follia pensare che possano dare vita a una maggioranza compatta personaggi che si detestano come Fini, Casini e Bersani”. Il direttore Vittorio Feltri spiega: “Ma noi il bavaglio non ce lo mettiamo”. A centro pagina: “Privilegi dei giudici: 1000 permessi in sei mesi”, “la giustizia è in crisi ma per i magistrati abbondano consulenze e incarichi. Pagati extra”.
Libero: “Fini ha 2000 badanti”, “I costi della Camera. I fedelissimi ormai scarseggiano, ma lui può consolarsi coi commessi: sempre di più e più costosi”. A centro pagina un collage di foto di Fini sotto il titolo “Il passato del leader che vuol fare futuro”, “Ma dove vuole andare?”. Secondo il quotidiano “l’ex-An” sarebbe “innocuo anche al 4 per cento”: è convinto ch econ quella percentuale creerebbe problemi, almeno in Senato. Ma coi risultati 2008 farebbe perdere a Berlusconi soltanto quattro regioni, non la maggioranza. Va segnalato che Libero riproduce oggi la trascrizione integrale dell’intervista che ieri il presidente del Consiglio ha concesso al direttore di Studio aperto Giovanni Toti: “O con me o a casa” è il titolo che sintetizza il suo pensiero. E poi: “Quella sulle intercettazioni è una legge sacrosanta, la faremo”. E su Fini: “Chi dissente prenda atto di non essere in sintonia con il Paese e gli elettori”.
L’arresto di Carboni
Spiega Il Riformista che secondo il giudice delle indagini preliminari Giovanni Di Donato, l’associazione tra Flavio Carboni, il geometra Pasquale Lombardi, magistrato tributario e già esponente locale della Dc campana e l’imprenditore campano Arcangelo Martino, avrebbe costituito una banda segreta come la P2 per pilotare giudici e politici. Si tratta di uno stralcio dell’inchiesta sugli appalti per l’eolico in Sardegna in cui sono coinvolti, tra gli altri, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci e il coordinatore del Pdl Denis Verdini. A Cappellacci si contesta l’abuso d’ufficio e la corruzione, a Verdini il riciclaggio e la corruzione. L’ipotesi di reato per gli arrestati Carboni, Lombardi e Martino, è quella di associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Alla fine del 2009 i tre tentarono -secondo le accuse- di avvicinare alcuni giudici della Consulta allo scopo di influire sul Lodo Alfano Contemporaneamente si sarebbero impegnati ad ottenere la candidatura alla presidenza della Regione Campania dell’onorevole Cosentino. Il quotidiano dedica un “ritratto” a Flavio Carboni: “fu Scalfari a definirlo il faccendiere”, “e lo rimase”. E’ stato un protagonista della lunga notte italiana, dal caso Calvi a Moro, da Emanuela Orlandi (era intestata a lui la Bmw su cui fu vista salire la ragazza prima di scomparire), alle speculazioni immobiliari. Relazioni trasversali da Caracciolo, a cui piaceva, fino a Berlusconi che da lui comprò casa.
Giuliano Ferrara: “come al solito non è dato ravvisare un fatto o una catena di fatti empiricamente configurabili come reati puntualmente compiuti da persone penalmente responsabili dei medesimi, a meno che non si intenda come reato la vaga associazione per delinquere semplice senza riscontri inattaccabili intorno ai quali far ruotare la brutta fattispecide dell’imoutazione di tipo associativo”.
Scioperi e bavagli
Gridare ‘intercettateci tutti’, secondo l’appello de Il Foglio per il diritto alla privacy, , “significa dimenticare il massacro di umanità che si è compiuto nel corso del Novecento per la pretesa del potere di interferire nelle vite degli altri”, “bisogna salvaguardare l’efficienza delle indagini penali contro ogni forma di criminalità e la libertà della stampa”, ma non nel disprezzo di un basilare diritto del cittadino sancito dall’articolo 15 della Costituzione, che sancisce quello alla riservatezza.
Il Foglio intervista Massimo Fini ( ora a Il Fatto) , che spiega al Foglio “perché lo sciopero non s’aveva da fare”: “molti giornalisti protestano contro la parte giusta della legge, ovvero “quella che cerca di evitare che le persone che non c’entrano nulla con le indagini vengano massacrate dal circuito mediatico giudiziario. La magistratura deve essere libera di fare il proprio lavoro, e qualsiasi tentativo di ridurne la libertà deve essere fustigato, ma da vecchio cronista giudiziario come sono io non posso non notare che lo sciopero dei miei colleghi è, per usare una metafora, un pochino ambiguo. I giornalisti si accorgono solo adesso delle bruttezze del processo penale italiano perché in questo momento c’è in ballo una legge che li colpirebbe davvero”. Qui da noi c’è un problema che in Paesi come l’Inghilterra non c’è, fa notare Fini: “lì le indagini preliminari non durano molto, e ti credo che poi a nessuno salta in mente di pubblicare tutte le intercettazioni che mettiamo in pagina noi”. Ma “sono comunque convinto che i miei colleghi sarebbero stati più credibili se fossero scesi in campo per combattere contro l’indecente durata dei processi, e non per protestare contro una parte della legge che pone una questione importante e condivisibile: il diritto a non essere sputtanati”.
Maurizio Belpietro, direttore di Libero: il problema non riguarda solo gli innocenti ingiustamente sbattuti in prima pagina, “ma anche i motivi per cui ciò accade”. I lettori infatti ignorano che “dietro alla pubblicazione di un verbale c’è spesso un commercio o degli interessi inconfessati”. Si citano le parole di alcuni anni fa del segretario Fnsi Piero Agostini, che condannava “il barbaro rito sacrificale” con sui arrivano sui giornali “mostri” e denunciava uno “sfrenato e perverso mercato degli scoop”. E nel 1984, Paolo Mieli, che “poi nel 1992 trasformò il Corriere nel megafono delle procure”, scriveva che a soffiare i segreti alla stampa erano abitualmente i giudici “perché sanno che il cronista li ricompenserà descrivendo sempre il loro operato come una coraggiosa sfida al potere costituito”.
Il direttore de Il Giornale ribadisce le perplessità sul provvedimento intercettazioni, dice di non condividere il principio per cui a pagare siano i giornalisti che pubblicano gli atti “mentre i magistrati che li producono, e non li custodiscono”, “la passano liscia”. Più opportuno sarebbe stato obbligare i pm a trattenere esclusivamente le intercettazioni indispensabili ai fini dell’inchiesta e a distruggere tutte le atre, “cioè quelle penalmente irrilevanti e che, se divulgate, violerebbero il sacrosanto diritto alla privacy”.
Antonio Polito, direttore de Il Riformista, ricorda che l’opposizione ritiene “pessima” questa legge sulle intercettazioni, ma invita l’opposizione a “tentare di cambiarla nelle parti peggiori, cercando alleanze in Parlamento, sfruttando tutte le sponde istituzionali di cui può disporre”, evitando tentazioni aventiniane. Se essa “costringe il governo a cambiare idea”, come è accaduto nel caso Brancher, “la gente si accorge che esiste”. Il testo -ricorda Polito- è molto cambiato da quando è iniziato il suo iter parlamentare, si stanno riscrivendo gli emendamenti e c’è il lavoro della presidente della Commissione giustizia Buongiorno: se il provvedimento migliorerà, l’Anm e i finiani se ne potranno vantare, “ma nessuno si accorgerà del Pd” se sarà stato intransigente, se avrà confuso “la cultura dell’emendamento con la tendenza all’inciucio”.
(fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)