Nel cercare uno spunto di riflessione per la Domenica delle Palme vediamo l’analisi di un dipinto del 1617 esposto all’Indianapolis Museum of Art degli Stati Uniti. Si tratta dell’Entrata di Cristo in Gerusalemme del pittore fiammingo Antoon Van Dyck
Figlio di un ricco mercante, Antoon nacque ad Anversa nel 1599 e già a 19 anni fu ammesso nella corporazione di San Luca della città come maestro; nello stesso anno iniziò un periodo di collaborazione con Pieter Rubens, già affermato e noto pittore, che ebbe grande ascendente sul giovane artista. Importante ritrattista, Van Dyck soggiornò a lungo in Italia e la sua permanenza a Genova, Roma, Firenze, Venezia e Palermo per approfondire gli studi artistici, accentuarono in lui il gusto per una sapiente e raffinata coloritura e un’elegante armonia tra i soggetti raffigurati e l’ambiente circostante. Dimorò a lungo anche a Londra dove fu nominato Primo Pittore di Corte dal re Carlo I Stuart e dove morì a soli 41 anni; fu sepolto in quella stessa città, nella Cattedrale di San Paolo.
Passiamo ora ad osservare il quadro nel quale notiamo che l’intensità dei colori, il vigore muscoloso dei personaggi, l’irruenza delle figure dovuta alle loro notevoli dimensioni insieme all’espressione dolcissima e pacata del bel viso di Gesù seguito dai suoi discepoli, concorrono nel comporre un capolavoro di grande impatto visivo che chiunque può riconoscere e ammirare. Infatti, l’armonia cromatica data dal rosso acceso del mantello del Messia che contrasta e rimbalza sulla sua tunica scura appare di grande effetto; come pure colpisce la luce che investe la spalla nuda dell’uomo in primo piano, esaltandone la muscolosa fisicità e illuminando di un bianco radioso le pieghe della camicia. Impossibile infine non notare ed ammirare i minuziosi e perfetti dettagli, come le foglioline frastagliate del ramo tra le mani del personaggio chino o l’intreccio della cordicella per condurre l’asino nella mano di Gesù.
Naturalmente non si può essere certi che la raffigurazione del dipinto corrisponda perfettamente all’episodio reale accaduto perché è risaputo che gli artisti interpretano soggettivamente, o influenzati dalle richieste dei committenti, l’evento riportato sulla tela. In ogni caso, rispetto ad altri con lo stesso soggetto, ho optato per questo quadro perché mi ha colpito per la sua immediatezza e la sua originalità, ma anche per qualche particolarità che tento di esprimere.
Anche la Bibbia racconta l’entrata di Gesù a Gerusalemme
Sulla Bibbia, il brano di Zaccaria 9,9 riporta: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”; e in Gen. 49,11 leggiamo: ”Egli lega alla vite il suo asinello e a una vite scelta il figlio della sua asina, lava nel vino la sua veste e nel sangue dell’uva il suo manto”. Al contempo in Marco 11, Gesù dice: “Andate nel villaggio di fronte a voi ed entrando in esso troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e conducetelo qui”.
Nei brani sopra citati si parla, quindi, di un puledro, ma è cosa nota che un giovane puledro difficilmente si sarebbe potuto condurre da solo senza la compagnia della madre, con la quale mantiene un legame strettissimo fino all’età adulta. Nel dipinto di Van Dyck invece si vede chiaramente raffigurato un solo asinello, quello che trasporta Gesù. Se poi si confronta questo dipinto con altri dello stesso soggetto balza immediatamente all’attenzione il fatto che nella maggior parte delle opere, specialmente le più note, gli animali raffigurati sono due, l’asina ed il suo puledro. Sicuramente Van Dyck avrà avuto un motivo per dipingere sulla sua tela un unico animale al quale, per di più, fa seguire una direzione che procede da destra verso sinistra in un contesto fuori dalle mura della città, dettaglio quest’ultimo che differisce ulteriormente dalla generalità delle altre opere e che ha contribuito ad attirare la mia attenzione. Secondo la tradizione cristiana Gesù entrò in Gerusalemme su un asinello passando attraverso la Porta d’Oro, anticamente chiamata Porta Bella, quella che guarda ad oriente, verso il monte degli Ulivi. Da lì ritornerà per il giudizio universale. Anche un versetto del Corano si riferisce alla stessa porta chiamandola col nome arabo Ba bar-Rameh o Porta della Misericordia, come essa è pure conosciuta: ”E venne posto tra loro un muro e in esso una porta, verso l’interno c’è misericordia e verso l’esterno il castigo (Sura 57,13).
Asini bianchi? Asini bigi?
Un’altra particolarità del dipinto è costituita dal fatto che l’asino pare decisamente scuro e non bianco, come ci si aspetterebbe considerato che Gesù ottemperava in tutto alle antiche profezie. Si legge infatti in Giudici 5, 9-10: “Il mio cuore si volge ai comandanti d’Israele, ai volontari tra il popolo: benedite il Signore! Voi che cavalcate asine bianche, seduti su gualdrappe, voi che procedete sulla via, meditate”.
Ebbene, al riguardo noi sappiamo che sia in Oriente sia in Egitto gli asini bianchi venivano allevati proprio per un uso nobile di cavalcata e che nell’antico Israele l’asino chiaro era la cavalcatura di coloro che amministravano la giustizia e la politica. Per queste considerazioni il mantello dell’asino montato da Gesù lo si può immaginare bianco e non scuro come nel dipinto in esame.
Ma tant’è! Van Dyck è quello strepitoso pittore che tutti conosciamo e ammiriamo e quando concluse questo lavoro non aveva più di 18 anni in un Paese, come quello delle Fiandre, che solo da pochi anni aveva intrapreso la restaurazione del cattolicesimo dopo l’iconoclastia del periodo protestante. Se poi si rileva che le perplessità sopra esposte riguardano dettagli solo secondari rispetto all’evento ed alla sua raffigurazione e che non sono esperta di arte o bibbia o animali, non si può che procedere nelle considerazioni, seppure con la dovuta accortezza.
Come abbiamo constatato, nella Bibbia gli asini costituivano la cavalcatura regale in periodo di pace ed erano ritenuti animali nobili, intelligenti e pacifici; per la guerra invece erano inadatti e si usavano prevalentemente i cavalli, meno influenzabili dal trambusto della battaglia, più difficili da addestrare e più impegnativi da bardare e accudire. Nell’Antico Testamento l’unico animale al quale è concessa la dignità di parlare oltre al serpente è l’asina di Baalam che, in Numeri 22,21-35, dice: “Che ti ho fatto perché tu mi percuota per la terza volta?”. Le parole dell’animale aprono gli occhi all’indovino Baalam il quale comprenderà la volontà di YHWH e benedirà Israele anziché maledirlo come invece gli aveva chiesto il re di Moab.
Gesù, dunque, entrando nella “città della pace” su un asino, si conforma alle Sacre Scritture scegliendo una cavalcatura opportuna e regale adatta ad un re di pace che, mite ed umile, viene a portare la salvezza e non un ulteriore giogo. Anche lo stendere i mantelli al suo passaggio è un chiaro riferimento alla sua regalità, perché coprire la terra con mantelli o rami di palma (v.Giov.12, 12-13) era un onore riservato solo ai re durante il corteo di intronizzazione: con tale atto si esprimeva la totale fiducia e disponibilità del popolo a riporre la propria vita nelle mani del sovrano.
Per tutto ciò risulta naturale ora chiedersi quale equino, o quale altro animale, può vantare un cavaliere più regale e nobile del “Re dei re”?
Come abbiamo notato, la presenza dell’asino nei testi sacri ci porta direttamente nei luoghi dove si sono svolte e sono state scritte le vicende bibliche: ambienti nei quali questo animale costituiva una presenza decisiva come aiutante dell’uomo, sua cavalcatura e sicuramente suo fedele compagno.
A questo punto appare evidente che l’obiettivo al quale miravo per la riflessione non riguarda tanto l’intera opera di Van Dyck, quanto piuttosto l’asino in essa ritratto.
Gli asini sono creature straordinarie, simbolo di concretezza e duro lavoro, ma anche di docilità, mansuetudine e pazienza. Essi non sono secondi a nessun animale per capacità di adattamento di vita e lavoro in ambienti impervi ed ostili; per millenni hanno servito le popolazioni in qualsiasi tipo di attività e nei lavori più umili e faticosi come girare le macine, trasportare pesi e persone e anche nel fornire il loro digeribilissimo latte. Resistono bene a qualunque temperatura e si accontentano di poca biada ed una manciata di rami spinosi. Non hanno bisogno di essere necessariamente ferrati giacché i loro zoccoli, adattati ad ambienti secchi e semiaridi dove si sono evoluti, comprimendosi sul terreno si induriscono resistendo ai suoli più pietrosi e malagevoli.
Sono tolleranti, fedeli, leali ed intelligenti; sbuffano solo in caso di paura o palese pericolo. Conoscono i propri limiti: se hanno un carico eccessivo che potrebbe stremarli rifiutano testardamente di muoversi, a costo di numerose bastonate.
L’asino, l’animale che apre e chiude la vita terrena di Gesù
Gli asini riconoscono il percorso migliore, se si vuole andare a destra ma l’asino insiste a sinistra bisogna fidarsi, perché esso “fiuta” il sentiero più adatto e meno pericoloso. Nel percorrere quella che riconosce essere la sua strada, nulla può distogliere l’asino né distrarlo: non i rumori, non i clamori, non le ovazioni o gli incitamenti, non le percosse, esso indifferente ed ostinato prosegue col suo passo uguale, lento e cadenzato, fino alla meta.
L’animale che apre e chiude la vita terrena di Gesù è l’asino: un asino porta Maria incinta verso Betlemme; un asino è tradizionalmente presente nella grotta dove nasce il Salvatore e lo riscalda col suo fiato; un asino cede la sua mangiatoia colma di ciuffi di paglia e fieno per farne culla al neonato bambino; un asino accompagna la famiglia di Gesù in Egitto per trovare rifugio dalla persecuzione di Erode; infine un asino è la cavalcatura di Gesù per il suo ingresso in Gerusalemme, dove muore.
Pertanto l’asino, che nella Domenica delle Palme trasporta il Messia, può senza dubbio ricordarci la preziosità della nostra vita quando essa diventa “veicolo” per il trasporto della Verità. L’asino può ben rappresentare quelle doti di discrezione, fedeltà, coraggio e tenacia necessarie per seguire Gesù, non per un solo giorno ma per tutta la vita.
di M.S.Spiniello