Ma è veramente l’Europa il problema dell’Italia?

Forse a qualcuno non è sfuggito che  nonostante Belgio e Italia abbiano più o meno lo stesso rapporto tra debito pubblico  e PIL, esiste un’enorme differenza nello spread col bund tedesco: 160 punti il Belgio, 470 l’Italia.

Perché? Gli oltre 300 punti di differenza rappresentano la sfiducia che gli investitori hanno nel sistema Italia.

I problemi dell’Italia derivano dall’Europa? Certamente no, sono quasi tutti endogeni. Spese clientelari che hanno gonfiato il debito pubblico, sprechi, inefficienze, nepotismo diffuso, difficoltà di accesso al credito, tassazione asfissiante, evasione fiscale, burocrazia ormai fuori controllo.

Nel nostro Paese ormai fare qualsiasi cosa è diventato costoso e complicato: pensate ad esempio al passaggio di proprietà di un autoveicolo, oppure a una causa civile in tribunale.

Parte dei mass-media fanno trasparire che se l’Italia fosse fuori dall’Europa, tutti o gran parte dei suoi problemi sarebbero risolti. In realtà chiunque abbia un minimo di autonomia di pensiero può facilmente avvedersi di quanto sia lontana dalla realtà questa affermazione.

Grazie all’Europa, in Italia è stata introdotto un minimo di concorrenza, di trasparenza e di possibilità per i giovani che hanno talento, ma pochi santi in paradiso.

L’Italia ha bisogno di idee fresche e innovative, e soprattutto di una nuova classe dirigente.

Il “piccolo mondo antico” in cui l’Italia ha vissuto finora, grazie al debito pubblico, sta drammaticamente finendo. La crisi economica ha accelerato fenomeni già in atto da anni, e il risveglio potrebbe rivelarsi più traumatico del previsto. Chi vede rapidamente tramontare le certezze in cui ha vissuto (e talvolta prosperato), cerca disperatamente di addossare la colpa all’Europa e all’Euro.

Tanti indicatori ci dicono da anni che l’Italia sta scivolando verso il basso, inesorabilmente.

Prendiamo ad esempio il problema degli investimenti, sempre deboli in Italia, nel settore della ricerca e dell’innovazione. Anche in questo ambito, il nostro Paese presenta delle lacune strutturali che ci frenano nella competitività con gli altri Paesi.

Nella classifica stilata dalla Commissione europea con la relazione IUS 2012 sulla ricerca e innovazione, l’Italia risulta sedicesima.

Tale classifica ha diviso i 27 Paesi dell’Unione europea in quattro grandi fasce: i “leader dell’innovazione”, gli “inseguitori”, gli “innovatori moderati” e quelli “modesti”. Noi italiani risultiamo innovatori moderati, assieme a Spagna e Grecia. Ma il dato preoccupante sono soprattutto gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, con un tasso di crescita tra i più bassi della zona euro.

L’indagine evidenzia anche la difficoltà del settore italiano della ricerca nell’interagire con l’estero, ma anche di attrarre studenti, dottorandi e ricercatori provenienti da altri Paesi.

Anche a prescindere dal settore della ricerca, è chiaro che l’Italia non sia un Paese internazionalizzato, a volte neanche completamente europeizzato.

I problemi endogeni che affliggono il nostro Paese ci distanziano inevitabilmente dal resto d’Europa e frenano quel processo di integrazione di cui ora più che mai abbiamo bisogno per non cadere in un’irreparabile arretratezza socio-economica.

di Fabrizio Spada
Direttore della Rappresentanza a Milano


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