Chi volesse cercare uno spunto per riflettere sul tempo di Quaresima che stiamo vivendo e sui quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto potrebbe trovare soddisfazione nel dipinto su tavola del 2011 intitolato “La tentazione di Cristo”
L’autore del quadro è Eric Armusik, un pittore contemporaneo nato in Pennsylvania nel 1973. Le sue numerose opere improntate sul realismo rimandano all’arte del XVII secolo e risultano decisamente attraenti per la profondità e la drammaticità dei soggetti illustrati. Nelle varie rappresentazioni dei suoi lavori, Armusik cattura un momento o un’esperienza umana che trascende il tempo e gli schemi esteriori e li fissa sulla tavola con una naturalezza e un cromatismo di grande impatto.
Nell’opera intitolata “La tentazione di Cristo” è raffigurato Gesù nel deserto durante l’azione tentatrice di Satana, proprio nel momento in cui avverte tutta la debolezza umana e lo sfinimento dovuti al digiuno e alla fatica dei quaranta giorni trascorsi all’aperto, in solitudine e preghiera.
Il clima del dipinto è molto cupo e pare voler esprimere tutta la bruttura della tentazione: la luce è crepuscolare, il cielo quasi non si vede, oscurato com’è da nubi tenebrose e incombenti; la chioma di un esile alberello che si staglia all’orizzonte si confonde con le nuvole e pare quasi uno sbuffo di fumo e cenere che si eleva dalla terra brulla e sassosa; corvi neri si aggirano nell’aria, già pregustando la preda. Il Diavolo è raffigurato con sopracciglia cespugliose e coperto da un mantello nero che lo mimetizza col tetro ambiente circostante. Egli, sfoderando tutta la sua malizia e mostrando un atteggiamento premuroso e quasi amichevole nei confronti di Gesù, lo circonda con un braccio e gli appoggia la mano -con le dita affilate e rapaci e con le unghie scure- sulla spalla destra, già pronto a ghermirlo. Il suo viso è confidenzialmente vicino al volto di Gesù e sembra volerlo consolare mentre gli sussurra: “Non temere, ci sono io, fai come ti dico, fidati. Asseconda i tuoi bisogni e non pensare ad altro. Hai fame? Trasforma le pietre in pane! Troverai sicuramente sollievo e gioia di vivere, anche su questa terra”.
A prima vista l’aspetto di Gesù è quello di un uomo fragile. Il suo stato sembra di sconforto e di depressione e il colore bianco e smunto della pelle del viso, oltre che delle mani e dei piedi, indicano esteriormente una situazione di estrema spossatezza e vulnerabilità: Gesù è quasi esangue. Le mani abbandonate sulle ginocchia, lo sguardo che apparentemente fissa il vuoto e la fronte leggermente corrucciata, danno l’impressione di un uomo sopraffatto e sull’orlo dello scoramento. Anche la sua veste, pur mantenendo un certo primitivo candore, risulta consunta e macchiata alla base a causa del cammino lungo e impervio.
A una osservazione superficiale, nel dipinto non emerge un uomo risoluto, forte, pieno della forza e della potenza che viene da Dio e si potrebbe presumere che Gesù sia quasi sul punto di cedere allo spirito malvagio invece di resistere e contrastarlo.
Facendo un confronto tra noi stessi e l’immagine appena descritta, risulta coerente affermare che, in quell’ atteggiamento, Gesù appresenta tutti gli uomini nel momento della fragilità e del limite. E si sa! il Maligno trova sicuramente un buon terreno nella nostra fiacchezza, nelle nostre delusioni, nelle depressioni e nei dolori. Egli compie la sua opera proprio approfittando dei momenti di nostra maggiore fragilità e, attraverso l’inganno e le lusinghe, vuole darci l’illusione di poter condurre la nostra vita in totale indipendenza e autonomia, escludendo Dio e il suo il progetto su di noi.
Tuttavia, osservando con più attenzione la raffigurazione di Gesù, notiamo che in realtà egli non sta assecondando il Diavolo, non è scoraggiato, non è vinto, ma assorto nei suoi pensieri e nelle sue riflessioni. Lo sguardo non è assente, ma volge altrove, in una introspezione meditata, nella tensione e nell’ascolto di altre parole, quelle del Padre. La resistenza di Gesù contro lo spirito del Male e il suo combattimento contro il Diavolo non consistono nell’affrontarlo con armi materiali ed esteriori, ma con quelle della preghiera e dell’abbandono fiducioso alla volontà di Dio; sono esse, infatti, che lo porteranno alla vittoria.
Il lungo periodo di penitenza e digiuno trascorso nel deserto, così, pur avendo spossato il corpo di Gesù, in realtà ha reso il suo spirito totalmente libero perché svincolato dagli appigli materiali dei piaceri, del successo e del potere, lo ha fortificato e consolidato nella determinazione di portare a compimento la sua missione di donazione e sacrificio.
In conclusione, nella raffigurazione dell’opera tutto potrebbe apparentemente illudere, facendo presagire una possibile vittoria del Maligno, che però non avverrà!
S. Spiniello