Le Gattoparde, ritratto di donne siciliane

“Le Gattoparde” (Giunti) di Stefania Aphel Barzini, autrice di libri e saggi che indagano la storia della cucina e del nostro Paese, descrive “il tramonto di un’epoca in una grande saga siciliana”. Dalle prime pagine de “Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958, risulta molto chiara quale sia la considerazione che il Principe Fabrizio Salina ha nei riguardi di sua moglie Maria Stella. Una figura in ombra, che vive di luce riflessa del marito, il Gattopardo, nobile fattrice di una schiera di sette figli, come la tradizione del ceto nobiliare, al quale appartengono i Salina, vuole e impone. In Sicilia il mondo appartiene agli uomini, ai Gattopardi, che sposano giovani aristocratiche, più o meno belle, da loro tradite e qualche volta a loro volta traditrici, che la sorte spesso rende orfane di figli, morti in tenerissima età.

Le storie di queste Gattoparde sono state raccontate poco o male, eccetto quella della più Gattoparda di tutte: la splendida Franca Florio, e non è un caso se l’autrice sceglie come esergo del presente testo una riflessione di questa donna, che ai primi anni del XX secolo comprese che il mondo magnifico che finora aveva girato intorno alla sua bellezza era finito. Gattoparde che hanno visto i loro consorti sperperare l’immenso patrimonio ereditato e mal gestito, che hanno assistito imponenti al frantumarsi di un universo dorato, che hanno dovuto superare tragedie, lutti e dolori. E sono le vicende di queste fiere Gattoparde che sono vissute a cavallo tra Otto e Novecento, che compongono un affresco della società aristocratica palermitana, che Stefania Barzini ripercorre insieme ad Agata Giovanna Piccolo, ultima discendente consapevole di un mondo che affonda le sue radici nell’Ottocento per spegnersi dopo le macerie della II Guerra Mondiale.

Il racconto di Agata Giovanna, ormai anziana, cugina di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, inizia dalla nonna, la principessa Giovanna Filangeri di Cutò, erede di una famiglia patrizia risalente al 1045, andata sposa a sedici anni a Lucio Mastrogiovanni Tasca, secondo conte d’Almerita, erede di una fortuna colossale in tenute agricole e palazzi. Giovanna muore a soli quarantacinque anni, dopo aver messo al mondo sette figli, (due dei quali morti in giovane età), appena in tempo per non assistere al declino delle grandi famiglie, all’emergere dei conflitti sociali e al generale fallimento delle speranze, che aristocratici e borghesi avevano coltivato insieme, dopo Garibaldi.

Tra la nonna e la nipote, Giovanna Filangeri principessa di Cutò e Agata Giovanna Piccolo di Calanovella, vi è poco più di un secolo: dal 1850, anno di nascita della principessa, al 1974, data della morte di Agata Giovanna. Ma in questo secolo accade di tutto, a partire dallo sbarco di Garibaldi a Marsala, il consolidamento di una nuova classe politica siciliana che avrà un peso decisivo negli anni Ottanta e Novanta sulla scena nazionale, l’ascesa della famiglia Florio e in seguito il crollo del loro impero, lo sviluppo industriale e un’economia del capitale non più legata solo allo sfruttamento delle terre, il terremoto di Messina, due guerre mondiali. È quindi vero che “tutto deve cambiare, perché tutto resti come prima”, adattamento con cui viene citato il passo che nel romanzo Il Gattopardo, pronunciato da Tancredi Falconeri, nipote del Principe di Salina, si legge così: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

 

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