Le aperture
La Repubblica: “Grecia in rivolta, guerra nelle strade. Black bloc in azione ad Atene, a fuoco i palazzi del governo. Il presidente: siamo sull’orlo dell’abisso. Spagna e Portogallo sotto tiro. Tre morti in una banca in fiamme. Euro a picco, allarme contagio”. Di spalla il voto di oggi in Gran Bretagna: “Inglesi al voto. Cameron teme una vittoria dimezzata”. Bernardo Valli spiega cosa succede se andasse così (“Se non c’è la maggioranza”). A centro pagina: “Indagato Verdini, Berlusconi: una congiura. Il senatur e Fini: nessun complotto. L’autista di Anemone: portavo buste e assegni a Lunardi”.
Il Corriere della Sera: “Atene sconvolta dalla guerriglia. Uccisi tre bancari. Esplode la protesta per le misure di austerità imposte dalla crisi. Attaccati edifici pubblici e sedi di istituti di credito”. Antonio Ferrari si sofferma sui tre morti, giovani impiegati di un istituto bancario. “Quei corpi di lavoratori innocenti”. A centro pagina: “Sospetti su 15 vendite di case. Nell’inchiesta tanti altri casi come Scajola. Fini e Bossi: non c’è nessun complotto”. L’editoriale è firmato da Sergio Rizzo: “alle radici della corruzione”. In prima anche un richiamo ad una analisi del “quirinalista” Marzio Breda, che cita le parole del Presidente Napolitano ieri a Genova per ricordare l’impresa dei Mille: “Celebrare l’Italia non è tempo perso”.
Il Foglio: “La morte in banca. Ad Atene si spezzano in un colpo la Grecia e il patto europeo. Dallo sciopero al rischio di collasso dell’Euro”. Di spalla: “Così nel Pdl cresce la fobia del complotto e si moltiplicano le correnti. Psicosi a Palazzo. La successione a Scajola si complica, voci di nuove indagini. Berlusconi si affida ai Promotori di MVB. Guerra di tessere tra ex An”.
La Stampa dedica il titolo più grande alla Grecia: “Guerriglia ad Atene, tre morti tra le fiamme. Giù le Borse, Moody’s mette in osservazione il Portogallo”. E poi: “Eolico in Sardegna, Verdini indagato per corruzione. Indagine sulle autorizzazioni degli impianti”. E accanto: “Fini e la Lega con i magistrati. Nessuna congiura. Carceri, duello Maroni-Alfano”. In prima il commento di Lucia Annunziata sulle elezioni britanniche: “A Londra finisce la Terza via”.
Il Sole 24 Ore: “Rivolta in Grecia contro l’austerità. Borse e bond europei ancora deboli, tiene Wall Street. L’euro cade sotto i 1,29 dollari, ai minimi da 14 mesi. Tre morti ad Atene. Il presidente sull’orlo dell’abisso. Rischi per Spagna e Portogallo”. A centro pagina: “Ue: in Italia ripresa lenta, Pil +0,8 per cento”. Il quotidiano di Confindustria dà spazio in prima all’intervento con cui ieri Guglielmo Epifani ha aperto il congresso della Cgil.
Il Fatto: “Fuori Scajola, restano 7 gli inquisiti di governo. La questione morale travolge l’esecutivo di B. Caserme e 007: ‘Sciaboletta’, Lunardi e la “cricca”. Denis Verdini indagato per corruzione dice: ‘Dimettermi? Non fa parte della mia mentalità’”. In prima l’editoriale di Furio Colombo e un commento di Marco Travaglio: “Il mezzanino della libertà”. Sotto, oltre agli scontri di Atene, una storia: “Un prete mi ha violentata. La chiesa ha coperto tutto. Storia di Mariangela, stuprata a 10 anni dal suo sacerdote”.
Libero: “Gli altri furboni della casa. Gli affari d’oro dei politici. Non solo Scajola. Comprare a prezzi di saldo in centro a Roma vi sembra strano? Ci sono riusciti anche Veltroni, Marini, Mancino, Violante, la Cossutta e la Bindi”.
Il Giornale parla delle “avventure del baffino elettrico: D’Alema pagato da Berlusconi. A Ballarò ha insultato il condirettore del Giornale, dandogli del prezzolato retribuito con donnine. Ma anche lui ha lavorato per il premier: ben quattro libri pubblicati da Mondadori. Vuol spiegarci che tipo di compenso ha avuto?”. Sotto, una grande foto di Denis Verdini, indagato: “Ma io non mi dimetto”. Sugli scontri in Grecia: “La tragedia greca ha ora 3 morti. Scontri ad Atene, brucia il palazzo di una banca. E’ il dramma di un Paese politicamente fallito”.
Il Riformista: “La crisi del debito impone le riforme. Non solo ad Atene. Che farà Tremonti?”. Il titolo più grande è per la politica interna: “Avanti il prossimo. Indagato anche Verdini. Ora a chi tocca?”. A centro pagina i retroscena politici: “Fini e Bossi negano la ‘congiura’ di Silvio”. Antonio Polito scrive sull’Unità d’Italia.
Grecia
Il Corriere della Sera intervista lo crittore greco Vassili Vassilikos, che racconta il punto d’origine della crisi: gli anni 90, Maastricht, “parametri ambiziosi e irrealistici che accostavano i Paesi più forti, come la Germania, a Paesi deboli. Forse la mia Grecia era la più debole di tutti, ma nessuno voleva pensarci. Poi sono arrivate le Olimpiadi del 2004, dove erano in gioco il prestigio del Paese e il desiderio di mostrare, con un esempio moderno, la grandezza del nostro passato. Ci siamo riusciti, ma a che prezzo! Un ministro mi disse che ci sarebbero voluti dieci anni per ripianare quei debiti. Non gli credetti, ma aveva ragione”. Vassilikos parla poi della vittoria elettorale del centrodestra di NuovaDemocrazia, e del suo leader, Karamanlis: “Persona seria, ma forse quello di capo del governo non era il suo mestiere. I suoi cinque anni e mezzo al vertice dell’esecutivo mi paiono quelli del dolce far niente”. Quindi Karamanlis sapeva che erano state date cifre false a Bruxelles? “Ovviamente. Ma credo che lo sapesse anche George Papandreu, leader del Pasok”, che, per lo scrittore, non ha colpe, se non quella di “non aver parlato per troppo tempo, almeno 4 mesi”.
Secondo Allen Sinai, “guru finanziario di Wall Street” intervistato da La Stampa, in Grecia “la popolazione non è pronta a sostenere drastiche misure di austerità e il governo non ha strumenti economici per uscire dalla crisi del debito”. Secondo Sinai rischiano ancheSpagna e Portogallo, “subito dopo c’è l’Italia ma, attenzione, anche Francia e Germania”. La via d’uscita “più naturale” è la “ristrutturazione dei debito sovrani, ma se non fosse possibili bisogna guardare altrove”. L’euro indebolito “può essere un vantaggio per l’Europa”, perché le esportazioni possono riconquistare mercati. “La realtà è che avete bisogno di un euro debolissimo in maniera analoga a quanto avvenuto in America con il dollaro negli ultimi anni”. Sulla stessa pagina un colloquio con Jean-Paul Fitoussi, che dice: Oggi il rischio non è il default ma la deflazione, nel senso che l’Europa potrebbe uscira dalla crisi con una ulteriore diminuzione del Pil. L’Europa quest’anno crescerà a malapena dell’1 per cento, contro il quasi 3 degli Usa. Secondo l’economista l’Italia non è a rischio di contagio.
Giuseppe Pennisi su Il Foglio spiega che la strada della ristrutturazione del debito (“in pratica una insolvenza parziale”) è la soluzione “più concreta” per la Grecia, che contemporaneamente dovrebbe “curare il profondo male oscuro” di Atene, cioé “la bassa produttività del lavoro come pure del capitale”.
Cameron, Lib-dem.
“David ce la fa, ma il difficile viene dopo”, dice Andrea Romano, intervistato da Il Riformista. Il saggista (scrisse qualche anno fa un libro su Blair) dice “anyone but Nick Clegg”, nel senso che pensa “il peggio possibile” del candidato LibDem: “Trovo i LibDem terribilmente ideologici e irresponsabili. Se fossi un britannico non mi sentirei rassicurato dal fatto che possano arrivare a Downing Street. E’ il partito della chattering class”. Quanto al nuovo parlamento, “dalle urne uscirà una maggioranza parlamentare chiara e un governo chiaro”.
Su Il Foglio, tre articoli della pagina 3 sono dedicati alla campagna britannica. Attenzione per il ruolo del media, che è stato decisamente importante in questa campagna elettorale: “Le immagini hanno fatto più degli endorsement”. E si spiega come Guardian e Observer hanno creato il mito di Clegg. Quanto ai Tory, sono diventati gli “United colors of Cameron”, poiché il loro leader ha creato una lista di candidati multiculturale e politicamente molto corretta”: “Come molti sondaggi hanno dimostrato, le minoranze etniche non hanno più motivo di votare a sinistra. Anche la variopinta comunità gay indica ‘Dave’ Cameron come il proprio beniamino, persino più del leader LibDem Nick Clegg. Sono almeno una ventina i candidati omosessuali che fanno parte del manifesto ideale ‘United colors of Cameron’.
Anche su Il Sole 24 Ore si scrive che la lunga corsa al voto è stata segnata dalla tv e che gli inediti dibattiti in video hanno rivoluzionato la scena politica e spinto i LibDem. Il quotidiano intervista il sondaggista John Curtice, che dice: “La media degli ultimi quattro opinion polls ci dice che i conservatori otterranno il36 per cento, i laburisti il29 e i liberaldemocratici il 27. Questo significa che il partito di Nick Clegg cala”. Si va verso un ‘parlamento impiccato’, ovvero senza maggioranza assoluta? Curtice dice che le percentuali appena indicate “assegnano ai Tory i 285 e il 315 seggi su 650. Se resteranno nella parte bassa della forchetta dovranno cercare un’intesa con i liberaldemocratici, se saranno invece nella parte alta, potranno tentare un governo di minoranza. Sarà, secondo i sondaggi, un hung parliament, ma resta da vedere impiccato come”. Nell’ipotesi di un governo di mnoranza Cameron dovrà affidarsi ai voti dei partiti unionisti dell’Ulster? “L’Uup (Ulster unionist party) ha un deputato che è già calcolato nei numeri dei Tory. Il partito spingerà Cameron a chiudere un’intesa con il Democratic Unionist party, che di deputati ne ha nove. Non sarà difficile. Duecento milioni di sterline in più all’Irlanda del Nord e qualche garanzia politica e sarnno contenti. Ma sono numeri ridotti, che non danno garanzie di stabilità secondo le proiezioni degli istituti di statistica”. Resta centrale il voto tattico nei seggi marginali, che può consentire di aggiungere 1-1,5% ai 36 punti previsti per i Tory: “tradizionalmente rappresentava il 2 per cento delle schede complessive. In passato è stato spesso determinante, i laburusti dipendono già dal voto tattico trovato tra gli elettori LibDem che hanno votato Labour per far perdere i conservatori. Il sostegno liberaldemocratico ai laburisti ora non è più garantito. Per questo i Tory possono andare meglio. Ma il voto tattico calcolato su tre forze è molto più difficile da prevedere”.
L’inviata de La Stampa ha seguito l’ultimo giorno di campagna elettorale di Nick Clegg, “candidato-rivelazione”, che dice: “Ogni voto conta, ho fatto i lpossibile per persuadere gli indecisi ma non sembra mai abbastanza. La gente si è svegliata. Molti non avevano voato alle passate elezioni e stavolta, a giudicare dal’aumento impressionante d’iscrizioni, lo faranno”. Secndo il Financial Times sarebbe pronto a rinunciare alla precondizione della riforma elettorale pur di accordarsi con i Tory. Lui risponde: “Non ho mai parlato di precondizioni. Agirò sulla base delle urne”, “Il nostro sistema è iniquo, Tory e Laburisti si sono alternati imponendo decisioni senza la maggioranza dei consensi. Brown è stato al potere con i 22%, gli elettori erano stufi”.
E poi (Israele, Jcall, Onu).
Ancora sull’appello di Jcall alla ragionevolezza, indirizzato al governo israeliano: ne parla ancora Il Foglio soffermandosi però sul “controappello” lanciato da Fiamma Nirenstein e sottoscritto anche dal direttore Ferrara oltre che da Paolo Mieli. E’ la stessa Nirenstein a spiegare cosa accadrebbe se Israele seguisse Jcall: “dovrebbe ritirarsi da tutti i territori e dividere Gerusalemme”, “il problema in Cisgiordania non è la cessione di territorio, ma che da parte palestinese ci sia il riconoscimento di Israele come stato ebraico”, quando i coloni sono andati via da Gaza al posto delle loro magnifiche serre i palestinesi hanno piazzato i missili. “Con quale coraggio si chiede ad Israele di ritirarsi ancora senza nulla in cambio”? E poi, dice la Nirenstein: “E’ vergognoso che intellettuali che se ne stanno comodamente seduti sulle loro poltrone parigine lancino sentenze su Israele. Solo quando condivideranno con noi tasse e servizio militare avranno il diritto di esprimere critiche che veranno ascoltate. Io personalmente, che non ho votato per Netanyahu, mi rifiuto di prendere in considerazione ciò che alcuni illustri fuggiaschi vorrebbero dettarci”.
Sulla prima pagina de Il Riformista una intervista allo scrittore israeliano Assaf Gavron, che dice: “Le critiche sono una cosa sana, specie quando arrivano da chi ti vuol bene”. Alcuni hanno criticato questa “ingerenza” della diaspora nei confronti della politica israeliana, e Gavron dice: “Abbiamo bisogno di gruppi come Jstreet, di ebrei a cui importa di Israele”. Iniziative del genere sono utili perché così si dimostra che gli ebrei sono gente aperta. E poi perché “specie negli Usa, i gruppi di pressione ebraici hanno delle possibilità concrete di influenzare la politica. In Europa forse questo è un po’ meno vero, ma in America mi ha fatto molto piacere vedere così tanti ebrei, genuinamente innamorati di Israele, che però chiedono ad Israele di essere più aperto”.
Su Il Sole 24 Ore la notizia che i cinque Paesi con potere di veto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Usa, Gb, Francia, Russia e Cina) hanno deciso di appoggiare la proposta di creare un’area libera dalle armi atomiche in Medio Oriente. In una nota diffusa al Palazzo di Vetro, dove è in corso la Conferenza per la revisione del trattato di non proliferazione nucleare, i cinque si sono impegnati a “dar seguito alla risoluzione del Tnp del 1995 sul medio Oriente”, che puntava ad un’area “libera da armi nucleari” e di “distruzione di massa”. L’iniziativa, riferisce Il Sole, è arrivata mentre il rappresentante permanente dell’Egito chiedeva ai Paesi del Medio Oriente di imegnarsi in “negoziati sinceri” per stabilire l’area denuclearizzata: l’Egitto -ricorda il quotidiano- preme da tempo su Israele, che possiede testate nucleari mai annunciate ufficialmente.
(fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo, Paolo Martini)